Quell’idolo del Vaticano II

Si dovrebbe avere il coraggio di provare a rileggere i testi del vaticano II con gli occhi dell’oggi, scoprendo che su molte cose, forse, dovremmo riscriverlo
16 Giugno 2020

Enzo Bianchi ha accettato la disposizione del vaticano che lo allontana dalla comunità da lui stesso fondata. Forse questo rasserenerà gli animi o forse aprirà una ferita difficile da ricucire. Sta di fatto che questo evento ha rinfocolato le divisioni nella Chiesa cattolica tra coloro che sono fautori di una via di realizzazione del vangelo che sappia essere efficace per questo nostro tempo e coloro che ritengono che la via di realizzazione del vangelo sia quella che è stata abbandonata da qualche tempo dalla Chiesa. Lo snodo storico in cui le due parti si trovano schierate una di fronte all’altra “a singolar tenzone” sembra essere un evento che ha molto segnato la storia di Enzo Bianchi: il concilio vaticano II.

Bianchi decide di ritirarsi a vita monastica l’8 dicembre 1965, giorno di chiusura del Vaticano II. Cresce alla scuola di Taizé, nel lavoro con l’Abbé Pierre, nella scoperta della teologia e della spiritualità di area francese, e nell’ispirazione monastica di san Basilio. Tutto questo conduce Enzo a Bose, con l’intenzione, riconfermata qualche giorno fa, di ritrovare un monachesimo “delle origini”. Per Bianchi, quindi il vaticano II è stato un evento ispiratore per recuperare la Chiesa delle origini, almeno nella forma monacale.

Sembra paradossale, ma forse è invece sintomatico, che negli stessi giorni, Mons. Carlo Maria Viganò, abbia apertamente ribadito come il vaticano II, invece, sia l’origine e la causa delle deviazioni dottrinali, morali, liturgiche e disciplinari sorte e progressivamente sviluppatesi, esplose poi con il papato di Francesco. Deviazioni che sono tali se rapportate ad una Tradizione, secondo lui, perenne, che è rimasta immutata dall’inizio della Chiesa ad oggi. Per Viganò, quindi, il Vaticano II è stato un evento catastrofico, che ha deviato la Chiesa dall’alveo della tradizione precedente, per cui il suo intento è quello di lavorare per riportare la Chiesa a quella tradizione.

In ballo, tra questi due esempi degli opposti schieramenti, c’è il senso della storia del cristianesimo. Per Viganò, non esiste una vera storia del cristianesimo, ma solo un ripetersi nel tempo di un “depositum fidei” già perfettamente esistente e conservato nella Chiesa cattolica. Nel tempo che passa, la Chiesa non ha il compito di approfondire e sviluppare e dare forme diverse di tale depositum, adatte a ciascun tempo, ma semplicemente deve far sì che ogni tempo debba vedere la medesima forma di realizzazione della medesima fede, fino a che Dio deciderà che questo “giochino” storico può bastare. E il criterio di valutazione della fedeltà al depositum è già dato una volta per tutte e risiede nella forma di Chiesa che si è realizzata appieno dal concilio di Trento alla fine dell’’800.

Per Bianchi, invece, la storia del cristianesimo esiste eccome, e in ogni epoca la Chiesa deve sforzarsi di ritrovare la forma propria della fede per quell’epoca e così facendo quel depositum si approfondisce, si integra e va verso la sua realizzazione piena. Resta però vero, per Bianchi, che il criterio di valutazione di ogni forma storica della fede è già dato una volta per tutte e risiede nella forma della Chiesa apostolica degli inizi.

In questa diversità di approccio alla storicità della fede, c’è però un terreno comune ai contendenti della battaglia: per entrambi c’è un’epoca d’oro della fede, che sta alle spalle dell’oggi e che va ritrovata. Per Viganò semplicemente perché il vaticano II è un tradimento della tradizione. Per Bianchi, invece, perché la storia della fede si muove attraverso un continuo ritrovare le origini, per ripartire da lì e inventare strade ancora non percorse a sufficienza.

In entrambi i casi, il concilio rischia di essere visto come un “eidolon”, un’immagine creata dall’uomo stesso, in cui proiettare chi le proprie speranze, chi le proprie paure, finendo così per renderlo un evento simbolico, non più reale, brandito da una parte come arma per affrontare tutte le battaglie, e dall’altra come origine di tutti i nemici da abbattere. Ma, mentre Viganò dichiara apertamente che il vaticano II è un idolo che va abbattuto, Bianchi, lo legge come “immagine” in cui ritrovare la via per la Chiesa delle origini.

Personalmente non mi soddisfa nessuna delle due posizioni. Una lettura storica che tenti di rendere ragione del vaticano II non lo idolatra, ma lo legge per quello che è stato. Dal mio punto di vista, la risposta più matura della Chiesa alla modernità, arrivata in ritardo di qualche secolo, quando la modernità già stava volgendo alla fine. E quando, dalla metà degli anni ’80 la modernità è trapassata in qualcosa d’altro (post – modernità?) l’efficacia delle direttrici del concilio hanno iniziato a mostrare tutta la loro difficoltà di essere realizzate, perché pensate in un mondo e per un mondo che non esisteva più. Perciò si dovrebbe avere il coraggio di provare a rileggere i testi del vaticano II con gli occhi dell’oggi, scoprendo che su molte cose, forse, dovremmo riscriverlo.

 

7 risposte a “Quell’idolo del Vaticano II”

  1. Luigi Puddu ha detto:

    D’accordo con l’autore. Tre anni dopo la fine del CVII, ci fu il ’68 che scompaginava le pie intenzioni ecclesiastiche d’allora (come ben riportava, nell’ultimo suo libro bello, una nota firma di VN). Nel frattempo, il mondo è stracambiato più volte, finendo per dar paradossalmente ragione ai perdenti. Perché la Chiesa al passo coi tempi, quella che vuole recuperare i 200 anni etc. etc., continua ad essere in ritardo. Ma tant’è, un defunto nichilista come Emo fu profeta: non più protagonista, né antagonista, solo cortigiana…

  2. Alberto Farina ha detto:

    L’ottimo Borghi questa volta non mi convince: il CVII resta un momento imprescindibile nella storia della Chiesa per le acquisizioni teologiche che lo hanno caratterizzato e per il metodo basato sul confronto. Che alcune delle acquisizioni siano passibili di aggiornamenti è evidente, ma ciò può avvenire solo attraverso un processo realmente sinodale. Il problema è che i pontefici postconciliari hanno congelato questo metodo sterilizzando di fatto le potenzialità scaturite dal Concilio. Ora Francesco sta cercando faticosamente di reintrodurre il metodo sinodale, ricucendo il filo con la più straordinaria esperienza di Chiesa dell’età moderna e contemporanea.

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Scusate x bis.. suggerisco qs traccia:
    La CC ha nei secoli dei secoli creduto che la STRUTTURA fosse l’unica garanzia di permanenza. Con la moribonda fine del suo Stato si è illusa di riuscire lo stesso a conservarsi. tramite il collateralismo, i voti a Cristo ( tipo oggi la mafia..) senza accorgersi che con la morte terminale della RELIGIONE aveva trascinato nel baratro anche Dio. Se si capisce questo si deve partire dal fondamento.
    E qual esso è??
    Certe volte dubito che la on “coscienza” di qs sia xchè esiste una struttura che nn è Stato della Chiesa ma suo residuato, nel senso che dà da mangiare. Troppo kattivo?

  4. Lorenzo Marini ha detto:

    Sposto l’angolo visuale dal piano teologico a quello pastorale. Guardò al popolo di Dio prima che alla riflessione teologica. Se Dio parla al suo popolo è essenziale dire Dio alle persone del nostro tempo.
    E il nostro tempo è diverso sia dalla Chiesa delle origini sia dalla sua raffigurazione in epoca tridentina.
    La Chiesa vive ed è vissuta nella fede con modalità sempre diverse, fedeli alla Verità, ma intrise delle gioie e sofferenze umane. Oggi ciò mi sembra particolarmente urgente e necessario per non perdere il contatto con la realtà.

  5. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Grande tema.
    Grande riflessione
    Tante volte nn si ‘quaglia” perché la domanda è sbagliata.
    QUALE la domanda vera??
    SE il ns amato buon Gesù non aveva nessunissima intenzione di vestire i panni del Messia che riscattava la Nazione Israele, se “tanto i poveri li avrete…” se tutti quelli che hanno cercato di vestirlo da comunista, agit-prop, rivoluzionario sociale hanno miseramente fallito.. PERCHÉ??
    Ecco LA risposta ( alla domanda ti sta):
    Sostituire a TN, modernità &post, modi di catechesi e porsi.. una parola sola :
    La Parola.
    Esattamente come fa Francesco.
    … Non preoccupatevi di cosa risponderete…
    ….basta la fede che è in noi.. se c’è!

  6. Dario Busolini ha detto:

    Esatto e ciò che accomuna tradizionalisti e novatori è proprio la necessità di attaccarsi ad un modello di riferimento considerato intoccabile, per gli uni le definizioni di Trento e del Vaticano I per gli altri le linee guida del Vaticano II, dimenticando, entrambi, la storia di prima e quella di dopo e, soprattutto, che i cristiani non devono essere solo i notai di un deposito intoccabile ma i testimoni attivi e credibili di una Parola sempre viva e sempre nuova per tutte le generazioni. Forse ci vorrebbe un nuovo Concilio, ma per poterne definire almeno i temi servirebbe uno sforzo di comprensione della contemporaneità e del prossimo futuro che al momento sembrano invece troppo complessi e contraddittori così per i credenti che per i non credenti. Oltre a una certa maggior dose di fede in Dio e ottimismo sul cammino dell’uomo nella storia (il Vaticano II questo lo aveva avuto).

  7. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La venuta nel mondo di Gesù Cristo è stato una iniziativa del Padre per la necessità di santificarlo,di riportarlo vicino alla idea iniziale di un uomo fatto per l’eternita, per la vita senza fine. Il Vaticano II ha inteso rimuovere il troppo mondano concetto di Chiesa di umanità che si rassegna a essere mortale.Giovanni Paolo II ha ripreso il Vangelo via all’amore vincastro che separa morte da vita, ha creduto che solo il potere dell’amore vince il male,a Sarajevo e corso con quel Libro, la santità di vita che in esso è indicata senza deviazioni, non la guerra,la distruzione,ciò che è mortale far prevalere, ma i sentimenti santi dell’animo umano a regolarne la vita a renderla così santamente umana da essere e diventare vita eterna.Questo sta realizzando Papà Francesco camminando con l’umanità che soffre per le ingiustizie subite,per un Vangelo non più santo.

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