Il tempo della vita cristiana si affaccia – nello scorrere così incerto e quasi sbilenco della nostra storia odierna – sui quaranta giorni della Quaresima.
E subito mi torna alla mente lo stesso periodo dello scorso anno: bloccati dentro una bolla di realtà inconcepibile fatta di strade deserte, code al supermercato, sirene di ambulanze, chiese svuotate, uomini e donne alle prese con il confinamento, la paura, la malattia e la morte inattesa. Ripenso alla Pasqua che abbiamo tentato di vivere con un senso di fatica e stanchezza. Conto le settimane e i mesi che abbiamo attraversato, senza avere ben chiaro in che modo potremo riprendere fiato e giungere a una mèta (che non è semplicemente la soluzione dei problemi attuali, o il vaccino, o un futuro che duplica il passato).
Papa Francesco ha scritto che “la Quaresima giunge a noi come tempo provvidenziale per cambiare rotta, per recuperare la capacità di reagire di fronte alla realtà del male che sempre ci sfida”. Abbiamo (forse) compreso che quanto abbiamo vissuto – e stiamo ancora vivendo – non produce automaticamente una rigenerazione morale di persone, popoli e civiltà. La forma e la qualità del futuro non potranno che dipendere da noi, dalle lezioni etiche che sapremo trarre da questa vicenda, dalle conseguenti scelte pratiche, illuminate o meno, che sapremo compiere di qui al prossimo futuro. Dal trauma della pandemia usciremo facendo comunità – poiché la comunità è sempre un ‘fare’ dinamico e mai uno stato di fatto – e cambiando i nostri rapporti con il mondo.
Non credo che si debba dunque indossare una maschera (un’altra…) di convenienza religiosa, interpretando la parte dei penitenti; nessuno ci chiede di assumere uno stile contrito e sottotono, per soddisfare l’apparenza di recitare la parte dei buoni, o per obbligarci a gesti e parole che non coltiviamo nell’intimo. La Quaresima non è un grande eroismo o una grande simulazione. Piuttosto è una grande e serena pazienza: la pazienza di chi si ricorda che occorre seminare per poter raccogliere i frutti. La pazienza di chi non obbliga Dio a essere ciò che non è – garante dei nostri bisogni – ma Lo intravede nel segno dell’umano che si riconosce generato, voluto, amato. Che si riscopre figlio. Che si affida.
«Corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce» (Eb 12,1-2).
La Quaresima per il discepolo è esercizio di libertà, di gioia, di autenticità: perché la ‘corsa’ della vita non sia vana. La Quaresima è allenamento dell’intelligenza che cerca la verità, immersione in quella compassione che non considera l’altro un estraneo. È ascolto di una Parola che risuona al centro di noi stessi, che ci chiama, che ci precede; è silenzio che invoca e interroga nella preghiera, quella dei poveri che non hanno pretese. È disponibilità a condividere, rinuncia a sentirsi al sicuro perché si accumula; è ricerca di nutrimenti che non appesantiscano l’esistenza ma la rendano viva, resiliente, feconda, generativa.
Prepararci alla Pasqua diviene un appello a vivere, ad alzare lo sguardo, a ritrovare la densità della nostra esistenza; coinvolge la mente, gli affetti, la nostra anima e i nostri corpi.
“È il miracolo della vita, della nostra vita, che così – quando sogna di essere salvata tutta e fino in fondo – ha sempre sognato di essere salvata: come cioè è, si scopre in presenza di se stessa come viva coscienza presente a sé nella sua carne, vivente spirito incarnato. La carezza di una parola può essere data anche in lontananza, affidata alla scrittura o a un segnale comunque differito, così come il senso di uno sguardo. Ma la parola di una carezza può essere data solo in presenza. Nel vivo contatto di una mano. E ognuno che ha dato almeno una volta un bacio, sa come l’anima esce da sé per incontrarne un’altra. Paradossalmente è proprio il corpo che muore il vero argine all’umano non ‘telematico’, il pegno del corpo vivo di spirito che siamo.” (E. Mazzarella, Dopo la pandemia: due riflessioni, in: Pandemia e resilienza, Ed. CNR 2020).
(ph dell’autore)
Questa è una Quaresima autentica, il sacrificio ci sta davanti, e la pandemia costringe a fare scelte a impegnare cuore e sentimenti nei rapporti con il prossimo. Non si tratta più di pratica devozionale soltanto ma ci viene chiesto partecipazione, condivisione in quello che significa dare di se stessi,. Non è più per sottostare a un predicato della religione devozionale, e se così fosse sarebbe oggi da farisei, e ci si domanda come si può pensare di potersi divertire quando ci sono ospedali affollati, file di persone in paziente attesa di interventi medici; come dovrebbe essere per chi ricopre cariche istituzionionali impegnarsi a farsi utile servitore Esclusivamente per il bene del Paese. Il pregare Dio, ha questo significato l’aiuto e per essere capaci del medesimo verso quel prossimo che ci sta accanto, o più lontano, il digiuno assume altra forma di rinuncia che sappiamo solo noi e lo Spirito che lo ispira.
La Quaresima, un tempo di grazia per la Chiesa.
Il vento dello Spirito soffia e sospinge la Chiesa verso nuovi orizzonti.
Questo tempo ci è dato per ritrovare qualcosa che abbiamo perduto cioè la novità del Vangelo.
La buona notizia attende di essere proclamata in tutti i confini del mondo e siamo noi i messaggeri scelti per questo.
Il messaggio: Convertitevi e credete al Vangelo deve abitare ogni cuore.
Lasciamo che questo tempo faccia maturare in noi i frutti della conversione e la Parola potrà scendere ad abitare il centro di noi stessi.
Centrati sulla Parola saremo in grado di solcare poi il grande mare dell’incontro con Dio.