Processo al Sinodo

Vita familiare e vita ecclesiale sono molto simili nelle loro possibili ferite e nelle loro difficili riconciliazioni...
19 Febbraio 2022

Sappiamo bene che il vescovo di Roma, quando parla di Sinodo, intende (e vuole che si intenda) più un processo che un evento. Uno degli atti centrali di questo processo, poi, è quello del «discernere», ossia del «giudicare» (anche se inteso come «momento in cui ci si lascia interrogare, mettere in discussione» dagli «appelli che il Signore ci rivolge»). Non deve stupire, quindi, che la dedizione di Papa Francesco alla causa sinodale lo abbia portato a riflettere su alcuni aspetti dello «spirito sinodale» durante il discorso tenuto all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota. D’altronde, la vita familiare non è poi così diversa da quella ecclesiale, soprattutto nelle sue problematiche – come si può verificare nei preziosi studi che il teologo Giovanni Cereti ha dedicato alla famiglia e all’ecumenismo.

In entrambi i contesti (familiare ed ecclesiale), soprattutto quando ci troviamo di fronte a realtà «ferite» – in «difficoltà» o in «crisi» – e perciò bisognose della «cura» del «balsamo della misericordia» per giungere alla «guarigione», è fondamentale e prioritario superare una «visione distorta» dei soggetti del processo quali portatori di «meri interessi soggettivi» (ciascuno con la «propria convinzione»), per riscoprire invece la chiamata comune a «far risplendere la verità su un’unione concreta», a partire dai «motivi che li muovono». Essendo, poi, lo Spirito legato alla pienezza della verità (Gv 16,13) e alle nostre mozioni interiori (Rm 8,6), non deve stupire che Papa Francesco evochi anche qui il «mettersi in ascolto dello Spirito Santo che parla nella storia concreta delle persone».

Non si tratta, quindi, di negoziare un compromesso tra estremi o una mediazione tra particolarismi, ma – come ha spiegato lo stesso Francesco – di immaginare una contrapposizione che acceda, o meglio che riceva per grazia l’accesso, ad un punto di vista unitario e più profondo della verità (anche sofferente) propria e altrui. Da esso e grazie ad esso, come spesso è avvenuto nella storia del cristianesimo, si può recuperare una visione più ampia, comprensiva e complessa di tale tensione polare che, pur conservandosi, vedrà sciogliersi i nodi potenzialmente (auto)distruttivi che la caratterizzano.

Questo essere «servitori della verità salvifica e della misericordia» non esclude, infatti, che nel processo di discernimento si verifichi «una dialettica fra tesi contrastanti». L’importante è che essa si riveli «fruttuosa», cioè creativa. Ciò avverrà, secondo il vescovo di Roma, se – da un lato – ci sarà un’«adesione sincera a ciò che per ognuno appare come vero», una «disponibilità ad offrire la propria versione soggettiva», ma – dall’altro lato – «senza chiudersi nella propria visione» o in qualche «alterazione o manipolazione volta a ottenere un risultato pragmaticamente desiderato», essendo anzi «aperti al contributo degli altri», sino alla «autocritica».

Dato che però, difficilmente, i due poli di questa dialettica avranno in ogni momento lo stesso peso, ossia la stessa quantità di ragione e di torto, alle parti in causa potrà sembrare che questo accesso (donato) ad una verità più ampia e complessa comporti sconfitti e vincitori – e che, quindi, non valga la pena credervi. È qui allora che diventa importante la capacità del nuovo (o rinnovato) punto di vista di far sperimentare – o almeno intravedere – alle parti in dialogo o in conflitto la qualità superiore della visione più profonda offerta: risollevando le parti coinvolte da fallimenti e sconfitte, sciogliendo i nodi di fatica e di dolore che hanno accumulato, aprendo nuovi cammini o sentieri interrotti per un futuro migliore.

In questo senso, l’«esercizio costante di ascolto» che caratterizza ogni processo sinodale, il continuo «imparare ad ascoltare, che non è semplicemente sentire», significa e comporta il dovere di «comprendere la visione e le ragioni dell’altro, quasi immedesimarsi con l’altro», «con la sua esperienza spesso segnata dal dolore», con i «problemi concreti delle singole persone», con la loro «concreta “periferia esistenziale”». In altri termini, la fase «istruttoria», ossia preparatoria, del processo sinodale richiede che questo «vigile ascolto di quanto viene argomentato e dimostrato dalle parti», questo «aprirsi alle ragioni presentate dagli altri», avvenga con «spirito di carità e di comprensione verso le persone che soffrono», abbandonando ogni «visione autoreferenziale», per «fare verità su di sé».

Realizzare tutto ciò, chiaramente, richiede «tempo» e «pazienza». Ma solo con tale discernimento si possono evitare «risposte standard» per elaborare, invece, «un giudizio ponderato», una «decisione», «un’autorevole parola di verità sul vissuto personale» che sarà il frutto del «calarsi nella realtà di una vicenda vitale, per scoprire in essa l’esistenza o meno di quell’evento irrevocabile», di quella soluzione non preconfezionata – con la quale a volte si è tentati di entrare nel dialogo – ma che in esso si presenta inattesa e imprevedibile, sorprendente.

 

2 risposte a “Processo al Sinodo”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Del resto, il Santo Padre con il suggerire un “discernere” mi sembra tragga ispirazione da qua o il Vangelo stesso offre. Perché le Parabole? Che sono sempre le stesse fino ad oggi, non offrono all’ascoltatore, uomo libero, un discernere, una istruzione su quale sia la via da seguire per un uomo che abbia fiducia nel Dio cristiano, una piena conoscenza circa il Suo piano salvifico. sul piano salvifico di Dio,. Al punto in cui siamo arrivati, un mondo che sembra perdersi in se stesso, che non dimostra di sapere dove va, che ha lotte intestine senza tregua, un fuoco acceso di sacrifici umani, perché non è gente felice quella che vive in accampamenti, quella sfruttata e affamata, quei giovani che non sanno quale futuro aspirare, Ma se a una analfabeta questo messaggio è arrivato, vuol dire che è grazie al suo discernere interiore che va alla Chiesa, convinta che malgrado tanto di difficile ha vissuto, lo spirito ha saldo in questa Parola, una scelta libera, sinodale?

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Lungi da me sbrodolarmi.. solo contribuire.. Sono almeno 30 anni che sintetizzo in tre le modalità di dialogo/confronto:
    1) FISICO. Lo std oggi in TV, quasi SEMPRE.
    Lotta a chi grida di più, a sopravanzare e annullare l’altro, Ma vedi anche le violenze familiari, gli skontri per strada, ecc
    2) RAZIONALE. Ci si confronta applicando riferimenti razionali condivisibili. Per argomenti. Bello ma difficile. Per quel condivisibili. Perché ad un certo punto bisognerà pure fare sintesi! Cmq l:unica via civile, degna di Uomini.
    3) SPIRITUALE
    SE l’Altro ha idee diverse dalle mie sarà x storia diversa, x cultura, k/h diverse dalle mie. Come uscirne? Facendo MIE le SUE.
    Come ben conclude Sergio.
    Ma la domanda, da vergognarsi, è:
    Quale dovrebbe essere la via CRISTIANA??
    Quindi…

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