Perdonare è (soltanto) non odiare?

Dalla lettera di don Maurizio Patriciello alla nota di Enzo Bianchi sino al commento al vangelo di Luciano Manicardi, in gioco è ancora una volta l’essenza del cristianesimo: cosa significa perdonare?
29 Maggio 2020

Ai primi di maggio don Maurizio Patriciello, in una lettera al direttore di Avvenire, ha riportato alla mia memoria la tragica vicenda di Antonietta Gargiulo, sopravvissuta al tentativo del ex marito Luigi di ucciderla, ma anche alla morte delle due figlie per mano del loro papà – infine suicidatosi. Un dramma per il quale, come chiedeva il prete campano, abbiamo pregato e stretto le vittime in un ‘abbraccio spirituale’, anche perché in questo periodo la piccola Martina avrebbe compiuto dieci anni.

Don Maurizio ci esortava inoltre, suffragato dal direttore Tarquinio, a “ringraziarla” per averci sconvolto e spiazzato con il suo perdono quando, appena uscita dal coma e messa a conoscenza della tragedia, registrò un messaggio sonoro nel quale testimoniava che «l’odio, il male, il rancore non hanno vinto, nei nostri cuori regna un senso di pietà, di pace, di misericordia… la Parola di Dio ha vinto sulla morte».

A tal riguardo, però, sono risuonate in me alcune domande, molto simili peraltro a quelle che provengono dagli studenti durante le lezioni dedicate al perdono, soprattutto quando cerchiamo di incarnare riflessioni e dottrine più generali nell’esistenza di persone in carne ed ossa che le sperimentano e le verificano (o falsificano) – come nel caso della lettera in questione commentata anch’essa in classe.

Se può essere immediato pensare e praticare il perdono come un evitare di rispondere al male con il male, come un non farsi dominare dall’odio rancoroso per l’ingiustizia subita, ma anzi come un pacificarsi interiore, subito però viene da chiedersi e ci viene chiesto dagli studenti: “ma questo è il perdono cristiano? o di queste cose – sicuramente segno di grande e nobile umanità – erano già informate e capaci le religioni orientali o alcuni filosofi e soprattutto tragici pagani?”; “cosa significa concretamente, esistenzialmente, far regnare nel proprio cuore pietà e misericordia, quando il dolore ancora morde e morderà il cuore di chi ha subito tale male?”; soprattutto, “si può esercitare tale pietà e misericordia verso un morto suicida, ossia uno che in fondo non c’è più e si è già ‘punito’?”.

Per questo, personalmente, mi sarei limitato a chiedere a noi “cristiani di pallida fede” di ringraziare sì Antonietta, ma per essere stata, secondo la pur bella espressione di don Maurizio, “sacramento” dell’umanesimo presente in una risposta non violenta al male ingiustamente subito. Ci saremmo sentiti altrettanto spiazzati e sconvolti. E non si sarebbe rischiato di “manomettere” questo aspetto della testimonianza, profondamente vero ed esemplare, a causa del riferimento ad un perdono poco comprensibile nelle sue modalità esistenziali e troppo in fretta etichettato come tale.

In tal senso l’invito di Michele Giulio Masciarelli, sempre in quei giorni, “a partecipare alla costruzione di una cultura del perdono, in dialogo anche con le voci laiche del nostro tempo”, mi era sembrato condivisibile e decisivo per non cadere in visioni parziali del perdono: “fra questi il più rigoroso e paradossale è proprio Derrida che con la sua idea del perdono esteso all’imperdonabile è — a livello di enunciazione e di arditezza — portavoce della visione più vicina alla profezia cristiana sul perdono”.

Per comprendere questo “richiamo energico del filosofo francese a un perdonare radicale”, fisserei lo sguardo su quella che ad oggi mi sembra essere l’essenza della questione Bose. Non sappiamo ancora cosa sia veramente successo, anzi paradossalmente potrebbe essere accaduto proprio qualcosa di imperdonabile, ma sappiamo cosa si è imparato frequentando Bose: che il radicalismo evangelico consiste nel tentare di far traboccare la misericordia fino all’orlo (Gv 2,7), nel provare a realizzare il perdono sino alla fine (Gv 13,1).

E questo, non è in fondo quello che sta chiedendo Enzo Bianchi? Dal comunicato apparso sul sito della Comunità di Bose potrebbe certo sembrare che egli stia difendendo la sua posizione sino ad un rifiuto, opposto al provvedimento firmato dal segretario di Stato Parolin e approvato da Papa Francesco, che rischia di travolgere poco evangelicamente tutto ciò che ha fondato. Da quanto però egli scrive nella nota apparsa l’altro ieri sera, è la fedeltà al vangelo della misericordia quella che sembra voler perseguire: «Comprendo che la mia presenza possa essere stata un problema (…) Da parte nostra, nel pentimento siamo disposti a chiedere (…) misericordia. Nella sofferenza e nella prova abbiamo altresì chiesto e chiediamo che la comunità sia aiutata in un cammino di riconciliazione”.

Fedeltà difficile e incidentata, perché il fondatore di Bose evoca torti subiti (“false accuse” verso cui “dare misericordia”) e mediazioni che non si sono rivelate tali («invano, a chi ci ha consegnato il decreto, abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere».); paventa possibili scissioni (“ringrazio dal profondo del cuore i tanti fratelli e sorelle di Bose che in queste ore di grande dolore mi sostengono”) e ricorda l’appoggio popolare di cui gode (“le tante persone che mi e ci hanno attestato la loro umana vicinanza e il loro affetto sincero»).

Ma in quale crisi di coppia non è capitato di guardare con sospetto il giudice e financo il proprio avvocato? O non si è caduti nella tentazione di trascinare dalla propria parte i figli e di farsi giustificare dagli amici più stretti, brandendo le menzogne della controparte? Se la pratica del perdono non fosse così difficile, soprattutto quando si tratta di qualcosa di più del non odiare qualcuno che oltretutto è ancora vicino a noi in carne ed ossa, a che servirebbe il cristianesimo? Gesù lo ricorda: basterebbero i pubblicani e i pagani (Mt 5,44.46-47).

D’altra parte, mi sembra che di “amore sino alla fine” parli anche Luciano Manicardi, dal quale molti attendono una parola di spiegazione o una presa di posizione che, forse, è già arrivata nel suo commento al vangelo di domenica: “ogni comunità, è una povera comunità che vive una comunione ferita” e “impara dal Crocifisso Risorto che le ferite possono divenire le feritoie attraverso cui passa il dono vivificante dell’amore (…) L’amore reciproco nella comunità sarà necessariamente esercizio di perdono reciproco. E l’annuncio al mondo sarà necessariamente annuncio del perdono di Dio ed esercizio di perdono verso tutti”.

L’attuale priore di Bose indica anche una pratica possibile, “il lavoro del perdono” a cui tutti siamo chiamati. Innanzitutto “fare spazio in noi allo Spirito”, “riconoscere il male che abita in [sé] e (…) far prevalere l’amore sui nemici interiori e sull’odio di sé”; quindi, “donare attraverso le ferite ricevute, fare del male subìto l’occasione di un gesto di amore, creare pace con una sovrabbondanza di amore che vince l’odio e la violenza sofferti (…), rispondere alla cattiveria con la dolcezza, far prevalere la grazia sulla vendetta e sulla rivalsa”.

Senza nascondersi che tutto ciò sarà comunque un travaglio “lungo e faticoso”, in un certo senso “escatologico”: “occorre rinunciare alla volontà di vendicarsi; riconoscere che si soffre per il male subìto e che tale male ci ha privati realmente di qualcosa; condividere con qualcuno il racconto del male subìto; dare il nome a ciò che si è perso per poterne fare il lutto; dare alla collera il diritto di esprimersi; perdonare a se stessi (soprattutto il male subìto da persone amate o vicine suscita pesanti sensi di colpa che rischiano di imprigionare per tutta la vita); comprendere l’offensore, cioè guardarlo come un fratello che il male ha allontanato da me; trovare un senso al male ricevuto”.

Ma allora, se i due (presunti) protagonisti della contesa, peraltro per vent’anni stretti collaboratori nella guida della comunità, scrivono con sincerità e franchezza quanto appena citato; se allontanare anche solo “temporaneamente” i (presunti) contendenti rischia di produrre esattamente ciò che la Visita Apostolica avrebbe dovuto evitare; se Enzo Bianchi chiede che “la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto”, non potrebbe direttamente Papa Francesco (insieme al cardinale Parolin) fare una visita a Bose e, a tavola con i due, esercitare quel “ministero di misericordia” di cui san Giovanni Paolo II intuisce la straordinaria portata per l’“autenticità e trasparenza” del ministero petrino (Ut unum sint, 91-93)?

Anche perché la questione Bose oltrepassa le persone direttamente coinvolte (con i loro pregi e difetti) e i problemi di “rinnovamento” che possiamo immaginare (liturgici, ecumenici, di genere, di stile, economici, giuridici, politici, etc.) – ciò che Francesco chiama l’idea. La questione Bose tocca la realtà, la vita passata, presente e futura di tutta quella parte di popolo di Dio italiano, cattolico e non, che negli ultimi trent’anni ha trovato nei dintorni di Magnano – e poi a Ostuni, Assisi, Cellole, Civitella – una sponda accogliente per far crescere e maturare la propria fede, non riuscendo ad approdare su altri spazi perché variamente occupati da movimenti e progetti culturali. È per amore e rispetto di questa “generazione Bose” (Massimo Faggioli), resistente per anni nella ‘trincea’ di un certo modo di annunciare il vangelo, pensare la fede, vivere la liturgia e praticare la carità, che tutti gli attori coinvolti – compresa la Santa Sede – dovrebbero travagliare per un finale diverso…

3 risposte a “Perdonare è (soltanto) non odiare?”

  1. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Il silenzio, lo indico, sarebbe stato giusto x lui. Non posso certo elencarti tutto quanto so seguendo lui da anni . Tutto positivo. Non partire in 4a. Intendevo il carattere personale dei 2 contendenti. Ma qui evidenziavo solo le reazioni di Bianchi.
    Possibile che nn sappia il xchè? Dopo, sembra, DUE anni di contrasti? Se il Papa si è mosso…qualcuno si è + che lamentato!
    Ti sembra cristiano voler portare a pubblica discussione qs lamentele? Innescare un pietoso contradditorio? Quando poi è chiarissimo di cosa si tratta: non si è messo da parte, nel nuovo ruolo. Ha continuato come se fosse ancora lui il referente. Se lo conosci, ti sembra il tipo?
    E davvero non trovi penoso che si attacchi alle reverenze ricevute? Senza una parola sul fatto che, mi sembra evidente, la Comunità nn lo ha seguito.
    PS quanto sopra sono argomenti. Che ho dovuto ripetere visto che mi accusi di non dire.

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    So qualcosa di qs. “attori”
    xcio’ leggo le dichiarazioni di Enzo in modo mmmolto diverso da te. Argomento.
    1) dopo anni di probls chiedi ancora il xchè? Dove vivevi? Possibile che non ti sia accorto di nulla?
    2) l’ex-Priore porta argomenti che stanno bene solo in una autodifesa ESTREMA.altro che contrito… Una è al 1). L’altra sta nel proclamare ai 4 venti che TUTTI o quasi sarebbero con lui. A priori. Ci manca solo il GOT MIT UNS. Vuole ridurre la cosa a scontro politico. Terribile. Soprattutto xchè aggiunge che nn sa i motivi. E qs. non lo accetto da parte in causa ( 1), men che meno da parte dei TANTI sostenitori che sostengono senza sapere…
    Chiudo: emerge un carattere ALFA che lotta x nn diventare BETA ( io mi sarei fatto omega). Da qui i contrasti, da qui la pietosa autodifesa. La stessa difficoltà a farsi da parte di un.. Renzi.

    • salvo coco ha detto:

      Buttiglione Pietro, tu quali elementi hai in mano per dire ciò che dici ? Dici di sapere qualcosa di “questi attori”, ma non dici cosa sai. E ti scagli contro Enzo Bianchi sulla base di ciè che dici di sapere, ma che non dici. Così non fai che intorbidire ancor più le acque. Meglio il silenzio della preghiera e la speranza nella misericordia e nel perdono.

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