Per una nuova spiritualità laicale

Nel libro “Quando finisce la notte” il teologo don Francesco Cosentino individua nella crisi ecclesiale generata dalla pandemia le tracce profetiche di una nuova spiritualità
14 Giugno 2021

“Il peggio di questa crisi sarebbe il dramma di sprecarla” ha affermato lapidario Papa Francesco nell’Omelia di Pentecoste del maggio 2020, mentre l’Italia usciva timidamente dal lockdown.

Molte parole sono state spese nel frattempo per riflettere su come la Chiesa, italiana ma non solo, possa trasformare la crisi sanitaria, umanitaria e sociale della pandemia in un’opportunità di rinnovamento della fede.

A fare sintesi di molte di queste e a lanciare un bel sasso nello stagno, un po’ limaccioso, del dibattito teologico nostrano, è arrivato di recente il volumetto “Quando finisce la notte: credere dopo la crisi” (Edizioni Dehoniane Bologna) di don Francesco Cosentino, sacerdote calabrese, docente di teologia fondamentale alla Gregoriana, che lavora presso la Segreteria di Stato vaticana.

Cosa ci ha insegnato l’esperienza della chiusura forzata causa pandemia, secondo l’autore? Che la vita cristiana oggi non deve svolgersi necessariamente in parrocchia, che la vita spirituale non è riducibile esclusivamente alla Santa Messa, che la Chiesa non è quella di mattoni e che esiste una spiritualità laicale, quotidiana, feriale e domestica che è forse una profezia per vivere oggi il Vangelo.

Partendo dall’assunto che la Parola di Dio è viva e ha urgenza di parlarci nell’oggi, Cosentino spazza via subito ogni pretesa di conservatorismo e ogni timore del cambiamento. Puntare al ritorno alla normalità significa non fare i conti con la realtà. Anche perché quella che chiamiamo normalità era – anche per la Chiesa – una situazione di crisi: una realtà fatta di scristianizzazione compiuta e di chiese vuote. Lo racconta bene il dibattito apertosi recentemente nella rubrica “Sabato italiano” dell’Osservatore Romano, ripreso anche su VinoNuovo.

Cosentino non ha l’ingenua pretesa di trovare la ricetta per sconfiggere la secolarizzazione ma, appoggiandosi in ogni pagina al pensiero di teologi contemporanei che, prima o durante la pandemia, hanno indagato le radici e gli effetti della crisi assumendola fino in fondo, prova a tracciare una via d’uscita originale e al contempo radicale.

Una via che passa innanzitutto – ed è la pars destruens – per il progressivo superamento di un modello ecclesiologico e spirituale tridentino, inevitabilmente clericale e pretocentrico, fondato sulla sacramentalizzazione, il devozionismo e la liturgia comunitaria. Una via che conduce con determinazione – ed è la pars construens – all’attesa attuazione di un modello pastorale e spirituale finalmente conciliare, fondato sulla riscoperta dell’autonomia laicale, del sacerdozio battesimale, centrato sulla Parola di Dio incarnata e la missionarietà.

Gli effetti collaterali ecclesiali della pandemia italiana – con una parte dei cattolici in lutto per il divieto della Messa, il moltiplicarsi delle celebrazioni digitali di preti senza popolo in streaming, mentre molti altri riscoprivano la preghiera personale silenziosa o le liturgie familiari nella Chiesa domestica – servono all’autore per sottolineare l’effetto premonitore di questa crisi. Sono sintomi di distorsioni ormai insostenibili ma anche anche crepe luminose da cui s’intravede una possibilità di futuro.

La pandemia, secondo Cosentino, ha mostrato dunque  che Dio e la fede non erano stati cancellati, ma “semplicemente relegati nella superstizione o confinati all’interno delle sagrestie, dove pochi reduci di un vecchio cattolicesimo amavano crogiolarsi con le loro credenze e i loro riti”. Oggi, esiste ormai da tempo una sete di spiritualità vissuta nella contemporaneità, profondamente diversa da quella di cinquant’anni fa, a cui la Chiesa può dare una risposta solo se sarà capace di rinnovarsi. La sfida – prospettata dall’autore senza toni rivoluzionari ma con ponderata decisione – è quella di accompagnare un processo di abbandono del modello unico del credente-praticante domenicale, impegnato in parrocchia, per aprirsi a una nuova spiritualità laicale “incarnata nella parola e nella preghiera personale, vissuta nel quotidiano, integrata con la vita, capace di cogliere i segni della presenza di Dio nel trambusto e nella monotonia delle ordinarie attività, aperta all’incontro col suo Signore specialmente nella compassione e nell’amore verso l’altro”.

Diceva Karl Rahner – che con Adriana Zarri è il principale ispiratore dell’ultima parte del libro – che i cristiani del futuro “o saranno mistici, o non saranno”.

3 risposte a “Per una nuova spiritualità laicale”

  1. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Segnalo:
    https://www.vaticannews.va/it.html
    Del bravo Fabio su un mio bravo conterraneo…👍💐⭐🙏
    Spero solo che non lo soffochino di incarichi.. anche qs è un sistema x mettere a tacere..
    Due key words che mi mandano in estasi:
    Relazione
    E
    Realtà

    Buon lavoro!

  2. Daniele Gianolla ha detto:

    Temi fondamentali, di cui Vino Nuovo già parlava nel vivo della pandemia; ora necessariamente devono entrare al centro del dibattito. La notte sta per finire, ma il giorno non è ancora arrivato!

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Questo “dunque” circa chiese vuote, ma non solo percovid, fa emergere un retro che pre-esistente, umile, povero, quotidiano di vita cristiana non è mai cessato di esistere,l’invisibile che abita nel cuore, fede provata, non mistica devozione ma un credo nel vivere quell’amore che essendo dono brilla di luce propria, non sale agli onori dell’altare ma ne fa parte, Dio solo lo conosce, E’ come quello che Cristo sapeva vedere, fatto di fede che a Lui si rivolgeva chiedendo quel l’aiuto che sapeva non doversi aspettare da nessun altro. E’ una fortuna aver visto persone che hanno incarnato questa “fede” la quale operava miracoli, dava corpo a parole desuete oggi, devozione, dedizione all’altro, generosità, capacità di accettare la vita non come sognata, ma a trasformarla in qualcosa che vive nel tempo, che se conosciuta induce altri a proseguire sul medesimo solco. Chissà perché ma tante di queste parole-definite virtù astratte, sono al femminile, e fanno luce!

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