Parrocchia, Sinodo, Giubileo… e se facessimo ‘come se’?

Di fronte ai silenzi e alle resistenze dei ‘piani alti’ della Chiesa italiana a percorrere nuove strade, a partire dal Sinodo, possiamo tentare alcuni passi – che non intacchino il depositum fidei - ‘come se’ i vescovi avessero approvato, magari avendo come meta e ripartenza il Giubileo del 2025.
8 Febbraio 2021

Ha riaperto il dibattito sull’eventuale Sinodo italiano quanto detto pochi giorni fa da Papa Francesco ai membri dell’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana. Dibattito che si sviluppa ormai sottotraccia da diversi anni, quasi in un andamento a fisarmonica, a seconda di quanto arriva dal Papa: quando Francesco, o qualche suo stretto collaboratore, ne fa cenno, per qualche giorno si dà fuoco alle polveri. Poi il dibattito scema e tutto torna nella penombra. Tanto più che, cosa ormai chiarissima, i vertici dell’episcopato italiano non hanno alcuna intenzione di seguire le indicazioni che arrivano dalla cattedra di san Pietro (come ha palesato anche il recente intervento di monsignor Bassetti su Avvenire, cosa peraltro ‘apprezzabile’: meglio non fare che fare un Sinodo inamidato e astratto).

Lo stesso sembra accadere a quanto vivono le parrocchie, delle cui fatiche si parla da tempo, anche in sedi autorevoli, tema a cui abbamo dedicato spazio pure in questo sito. Però la musica è la stessa: ammessa la crisi, il disorientamento, le incertezze della parrocchia come istituzione, poi non si giunge ad alcun passo realmente concreto nei luoghi che contano, là dove risiede quel potere giuridico / amministrativo o di indirizzo che dovrebbe, se non fa da stimolo, almeno accompagnare i processi.
Così, a seguito dei miei interventi legati alla crisi della parrocchia o ad alcune proposte per provare ad uscirne, ho letto alcuni scritti interessanti mandatimi da alcuni laici o sacerdoti, oppure ho ascoltato diverse opinioni. Ma troppo spesso il dialogo terminava con un ‘vorrei ma non posso’: sarebbe bello, sarebbe utile provare a fare quel passaggio, tentare quella via, ma… non c’è la possibilità concreta, manca l’avallo del vescovo, non si ha la benedizione degli uffici centrali, si rischia la solitudine, la critica, se non l’intervento censorio.

Ho provato allora a rilanciare: ma che cosa realmente impedisce ai fedeli e al clero di azzardare un cambiamento? Se non si intacca il depositum fidei – e mi pare che questo non accade – perché non iniziare a ragionare, a muoversi, a concretizzare qualche intuizione che uomini e donne di fede e sapienza trovano come necessaria e buona per un territorio?
Non è forse, in qualche modo, un riflesso del clericalismo attendere sempre la benedizione dall’alto, il placet che rassicuri? O la sua mancanza non risulta un alibi all’inerzia?
Non è certamente un invito alla disobbedienza e nemmeno un disconoscimento dell’autorità dei vescovi, sia chiaro, ma si tratterebbe dell’esercizio libero ed equilibrato della responsabilità battesimale, secondo le ‘pieghe’ che lo stesso Magistero permette e offre.

Ad esempio: impostare diversamente la ‘gradualità eucaristica’ (così chiamavo alcune riflessioni sul ruolo dell’Eucarestia nelle nostre comunità), valorizzare l’ars celebrandi, riconoscere alcuni ministeri, riorganizzare le parrocchie sulla base delle peculiarità del territorio, usare nuovi linguaggi, osare nuovi luoghi d’incontro con chi sta fuori, mettere mano alla pastorale giovanile… richiede necessariamente la benedizione del vescovo? Qualche passo concreto non può già essere attuato ‘come se’ il magistero avesse approvato (cosa che peraltro, stando ad alcuni passi di Papa Francesco, così sembra essere)?
Anche la revisione dell’organizzazione e dei compiti della parrocchia non può già essere progressivamente messa in moto, ‘come se’ fosse stata autorizzata dall’alto? Perfino la questione del ‘potere giuridico’ del parroco: non possiamo cominciare a comportarci ‘come se’ non fosse solo in mano sua, ma anche degli altri organismi parrocchiali? Ugualmente: chi vieta che quanto propone un consiglio pastorale non abbia solo parere consultivo, ma risulti, per il clero, ‘come se’ fosse ‘legislativo’?
Mi pare che così si realizzi davvero quel sacerdozio battesimale che è uno dei grandi doni e delle grandi intuizioni del Vaticano II.

Lo stesso vale per il Sinodo: ammesso che i vescovi non lo vogliono, ma cosa impedisce ai fedeli laici e ai pastori più coraggiosi di trovarsi a pensare e a dialogare, su scale e con modi differenti, sulla Chiesa italiana del futuro, facendo tesoro di alcuni grandi documenti, come Evangelii Gaudium?
Certo, qualcuno potrà dire che c’è il rischio dell’anarchia, del ‘liberi tutti’ e quindi del caos: ma proprio per questo andrebbero ‘messi come argine’ quei testi del Papa che aprono, che suggeriscono, che spingono al rischio contro l’immobilismo che sembra diventata la faccia concreta del cattolicesimo istituzionale nostrano.
Indubbiamente ci potrebbero essere dei problemi di organizzazione, di leadership, di conflittualità: ma se queste intuizioni vengono dallo Spirito, lo sappiamo, cresceranno e coaguleranno attorno a sé altri, fino ad arrivare al coinvolgimento auspicabile dei vescovi.
Non è spiritualismo né irenismo, ma il tentativo di aprire un cantiere su alcune questioni che tanti ormai sentono come ineludibili, prima che sia il contesto ad obbligarci a farlo, quando magari le risorse non saranno più sufficienti e il tempo ormai ristretto.

Fra quattro anni celebreremo un altro Giubileo: sarebbe bello porre quel momento così ricco di significato come meta, anche cronologica, dei cammini, delle riflessioni e dei confronti sulla Chiesa italiana.
Sogno un grande pellegrinaggio a piedi dei fedeli italiani che portino alla Sede di Pietro il frutto concreto di un cammino che diventi anche reale movimento sui sentieri del paese.
Sogno un pellegrinaggio che sia conclusione dell’officina e inizio di un volto nuovo della Chiesa italiana nel XXI secolo.
Sogno un Giubileo che provi ad essere arrivo e insieme ripartenza per incarnare il Vangelo nel tempo che attraverseremo.

In fondo, «la realtà è superiore all’idea» [EG 233] è uno dei principi del pontificato attuale: diamo dunque spazio alla realtà, facciamo in modo che l’idea sia in qualche modo costretta a piegarsi alla realtà… e si metta in circolo nelle vite concrete di questi poveri cristiani italiani…

5 risposte a “Parrocchia, Sinodo, Giubileo… e se facessimo ‘come se’?”

  1. Davide Corallini ha detto:

    L’ho detto spesso: il clericalismo non spiega tutti i problemi della Chiesa, forse nemmeno i più importanti. A volte, non basta dialogare/convincere con il prete-parroco-monsignore-vescovo di turno, ma anche con una serie di laici intorno/vicino a loro che, per opportunismo o convinzione, avallano alcune idee/prassi pastorali inopportune.
    Aggiungo solo che nella Chiesa ci sono innumerevoli incontri/convegni/dialoghi/assemblee che pensano e dialogano sul presente e futuro della Chiesa, solo che restano “lettera morta”, perchè pochi che dovrebbero prenderla in carico, non lo fanno…e tutto resta così.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    …provano tanta considerazione per come si è “prestato” per i suoi cittadini e non si rassegnano al suo pensionamento. Mi pare che come cristiani vediamo la necessità di un dare di più che il servizio mensa, che è quello della Parola. Come? Semplicemente a proporre senza tema ciò che si ritiene serva ad andare incontro alle necessità dei fratelli. Insisto, se uno entra in Chiesa e perché sente un bisogno dello spirito e anche questo è un cibo necessario a vivere. Dovrebbe la persona trovare un caldo accoglimento, provare sollievo dal compartecipare al servizio divino, e come questo viene officiato lo ha spiegato il Santo Padre di recente, ma sembra poesia, perché la realtà è diversa, il fedele che piange quello che non sente, quello che non comprende, quello che resta muto perché non ha che la parola, il dolore, il gemito nel cuore. E lì solo Dio vede ma manca chi tende la mano

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Non smettere di sognare mi sembra sia il leit motivo di Papà Francesco, un incitamento a seguire non una fantasia ma un sogno da concretizzare; è giusto anche pensare che lo Spirito sia in ogni battezzato animato dalla voglia di tenere alto il vessillo del Vangelo. Come in politica si è materializzata una Personalità che accetta di “servire il Paese” in un momento in cui siamo tutti a terra ci viene in aiuto una sapienza che sembrava non esistere.Anche per Cristo è bello se si trovano idee piani per non affossare la Chiesa semplicemente al ruolo di dispensatrice di viveri, trascurando di interessarci dello spirito che consentirebbe di dare di più che il cibo del corpo, ma invece il discernimento tra ciò che è bene e male, che convien a dare o anche ridare vita là dove è al lumicino. Per esempio, c’è un ae se che si è slanciato a raccogliere firme per prolungare il servizio di un medico di famiglia del quale

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Molto interessante.
    Lascio discernere a chi lavora “dentro” certe iniziative che coinvolgono strutture.
    Io partirei da due linee di azione:
    1) eliminare o almeno tacitare tutto quello, che con la Fede nn ha niente a che fare, e non è ‘digeribile’ da chi non crede o addirittura rende noi inaccettabili ( cfr il Manifesto, Micromega, ecc )
    2) + importante:
    Alimentare, diffondere, illuminare tutte quelle iniziative di base assolutamente condivisibili da tutti che, grazie allo Spirito, possono suscitare adesioni e partecipazione e quindi una vera svolta nella marginalizzazione in cui siamo ridotti grazie a certi Clerici. Coinvolgendo tutto quanto di positivo c’è, Movimenti e onlus..Tra le iniziative…, con le parole di Francesco.. non dimenticate di PREGARE.

  5. Enrico Parazzoli ha detto:

    Rispetto al ‘come se’.
    Il card. Martini – nella Lettera ‘Tre racconti dello Spirito’ del 1997 – scriveva: “Questa mia Lettera sulla vita secondo lo Spirito nelle persone e nella comunità ecclesiale nasce dunque da una convinzione profonda, […]. E’ la convinzione che lo Spirito c’è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro”. Facciamo come se credessimo ancora nello Spirito Santo…!

    Rispetto ai sogni.
    Sarebbe bello che finalmente la c.d. ‘pastorale giovanile’ trovasse un’armonia con la ‘pastorale ordinaria’ e la ‘pastorale vocazionale’, superando una distonia non dovuta a cattiva volontà ma a separatezza degli sguardi. Se non riusciamo a percepirci come ‘Chiesa’ siamo destinati a diventare un semplice arcipelago di iniziative.

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