Novità dell’antico o di nuovo l’antico?

A sette giorni dalla sua istituzione, il ministero "laicale" del catechista presenta già alcuni nodi da sciogliere prima che diventi operativo, tra i quali quello del rapporto tra Vangelo e Catechismo.
18 Maggio 2021

Chi è il catechista? Certo il motu proprio di papa Francesco, Antiquum ministerium (AM), non intende rispondere a questa domanda, dando per così dire “per scontato” che sia ben conosciuto l’oggetto di cui si sta parlando, e che lo si voglia, piuttosto, configurare in modo istituzionale, riconoscendone il carattere di ministero, radicato nelle origini del cristianesimo e necessario all’odierna situazione ecclesiale di «nuova evangelizzazione».

Ciononostante è possibile riscontrare nel sentire comune, e nello stesso motu proprio, una certa oscillazione nel concepire questo antiquum ministerium che sarebbe il catechista. Le prime citazioni neotestamentarie, con cui si apre la lettera apostolica e che richiamano il fondamento del ministero nella prima comunità cristiana (specialmente a partire dalla testimonianza paolina), indicano come l’insegnamento rivolto ai primi cristiani sia incentrato sulla Parola: «Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce» (Gal 6,6, citato in AM 1). È l’incontro con il Vangelo, la salvezza rivelatasi in Gesù Cristo, l’obiettivo di coloro che con «il linguaggio di sapienza» vivono il proprio carisma che gli è donato dall’unico Spirito (cf. 1 Cor 12). In questo senso parliamo strettamente di evangelizzazione, vale a dire portare il Vangelo, la buona novella, il senso autentico per e della vita di ciascuno, che è Gesù Cristo.

Ben diverso il tenore di altre espressioni dello stesso motu proprio, che talvolta sembrano scivolare verso un’identificazione (quanto pertinente?) tra evangelizzazione e catechesi, tra la Parola e gli insegnamenti della chiesa, tra il Vangelo e le verità di fede. Da un lato, infatti, possiamo leggere: «Lo sguardo alla vita delle prime comunità cristiane […] sollecita anche oggi la chiesa a comprendere quali possano essere le nuove espressioni con cui continuare a rimanere fedeli alla Parola del Signore per far giungere il suo Vangelo a ogni creatura» (AM 2, corsivo nostro). Dall’altro, invece, si ribadisce come: «Il Catechismo della Chiesa Cattolica […] unitamente a tanti Catechismi nazionali, regionali e diocesani sono un’espressione del valore centrale dell’opera catechistica che mette in primo piano l’istruzione e la formazione permanente dei credenti» (AM 4, corsivo nostro). Vediamo fin da subito lo slittamento richiamato in precedenza: l’obiettivo, in prima istanza, è far giungere «il Vangelo», salvo poi mettere «in primo piano» l’istruzione a partire dal Catechismo.

Una sintesi interessante la ritroviamo in AM 5: «Fedeltà al passato e responsabilità per il presente sono le condizioni indispensabili perché la chiesa possa svolgere la sua missione nel mondo». Una domanda potrebbe sorgere al termine di queste parole: se il presente è sotto gli occhi di tutti – con le sue sfide, i suoi limiti e le sue difficoltà –, a quale passato è necessario restare fedeli? A quale Parola o parole deve rifarsi colui che è chiamato a servire la chiesa come catechista? L’impressione è che troppo facilmente si identifichi la res dell’opera di catechesi con il Catechismo, il che sarebbe quantomeno paradossale, considerando le conseguenze prodotte proprio da questo stile di catechesi, che ha condotto all’attuale situazione di “aridità e freddezza” nei confronti della fede cristiana.

Se l’obiettivo del catechista è formarsi nella conoscenza delle verità di fede così come custodite dal Catechismo della Chiesa Cattolica al fine di istruire il prossimo, ovunque e chiunque esso sia, per proseguire l’opera di evangelizzazione della comunità ecclesiale, il risultato non potrà che essere fallimentare. La formalizzazione che la fede cristiana trova nel Catechismo è qualcosa d’altro, ritengo, dalla fede quale incontro con Gesù Cristo, verità autentica dell’esistenza di ciascuno a cui è possibile affidarsi in quanto vi sono delle serie «ragione del credere».

Rispondere alle domande e alle necessità delle persone della società di oggi (fanciulli, adolescenti, giovani e adulti) significa innanzitutto rivolgere a questa società non un insieme di verità da credere o da ritenere (secondo una classica distinzione giuridico-canonica), bensì portare la Parola, la verità che è Gesù Cristo. Per fare questo non è sufficiente “sapere” il Catechismo da “comunicare”, bensì è richiesta la capacità di approfondire, elaborare e interrogare il testo sacro, confrontarsi con la tradizione teologica della chiesa, rileggere e interpretare, con fedeltà al Vangelo, quanto nei diversi tempi il Magistero della chiesa ha cercato di esporre e di comunicare. Tutto questo al fine di saper e poter dialogare (non solo istruire!) con il presente, con le persone, con le situazioni di crisi, e , nel mondo secolare proprio dei laici (riprendendo la citazione di LG 33 citata in AM 6), portare la verità che è Cristo. Se, come leggiamo: «Il Catechista è chiamato in primo luogo a esprimere la sua competenza nel servizio pastorale della trasmissione della fede che si sviluppa nelle sue diverse tappe: dal primo annuncio che introduce al kerygma, all’istruzione che rende consapevoli della vita nuova in Cristo […] fino alla formazione permanente» (AM 6), dobbiamo anche sottolineare come questa “scansione” sia quantomeno riduttiva e manchevole. Tralasciando la “riduzione” insita nel riferimento dell’istruzione catechistica alla preparazione per i «sacramenti dell’iniziazione cristiana», ben più urgente è mettere in luce come la prima tappa qui citata sia in realtà il tutto della fede cristiana, il cuore da cui non si deve semplicemente partire ma a cui si deve rimanere ancorati e legati, come i tralci alla vite, pena il perdere il senso autentico del Vangelo e il rischio di “ricoprirlo” (e non dischiuderlo) con il linguaggio, le parole e gli insegnamenti magisteriali.

Il rischio, dal mio punto di vista, sarebbe quindi quello di identificare «evangelizzazione» e «indottrinamento», intendendo quest’ultimo termine nel senso più “elevato”, come tentativo di trasmettere dottrine-verità al fine di farle accogliere liberamente dai catechizzati. Il Vangelo, d’altra parte, è un’altra cosa e la sua accoglienza per mezzo del ministero della catechesi non richiede un semplice sapere ma è un’azione che investe teologicamente uno stile esperienziale in grado di incontrare la vita del destinatario, per dischiudervi il suo senso autentico che è la verità di Gesù. Il Catechismo, in questo senso, può essere uno strumento utile per la preparazione del catechista, ma non è la res da comunicare.

Riprendendo la sintesi di AM 5, il «passato» cui rimanere fedeli ci trasmette la realtà della prima comunità cristiana vivificata dall’azione dello Spirito; il «presente» da affrontare ci mette di fronte a una chiara situazione esistenziale e culturale; il legame tra i due non è il Catechismo ma l’azione testimoniale, teologicamente formata ed esperienzialmente interessata al prossimo del catechista, che così decide di mettersi in gioco per comunicare come la fede (ovvero l’adesione a Gesù) sia il compimento definitivo e insuperabile per la vita di ciascuno.

Il pensare che l’annuncio del Vangelo sia riducibile al trasmettere le verità del Catechismo è un errore che per troppo tempo ha segnato la missione della chiesa e ora non può trovare formalizzazione istituzionale. È questa l’opportunità, semmai, per metterne in luce il carattere strumentale e, per certi versi, solo secondario nell’annuncio della fede, mettendo realmente «in primo piano», invece, lo studio, la passione, l’amore per il Vangelo di Cristo e per la vita di colui cui il catechista è chiamato a rivolgersi, cosciente che solo una vita per il Vangelo è in grado di testimoniare come la bellezza del Vangelo per la vita.

 

2 risposte a “Novità dell’antico o di nuovo l’antico?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Solo una idea: iniziare dal segno della Croce significa sapere, fare conoscenza della Bibbia , la storia sacra dalle origini a Cristo all’oggi che viviamo. Per caso mi è capitato che il segno venisse suggerito a essere imparato praticandolo a specchio. Naturalmente non penso sia solo questo, altrimenti se è naturale che il tempo cancellerà quasi tutto di quanto appreso. Il catechista oggi incontra difficoltà più di ieri, mancanza di quel supporto famigliare in eredità dalla famiglia, pur se con il comportamento positivo esistesse quella realtà umana dell’opposto, presenti tutte e due come guerre. e pace, uomini giusti e ingiusti . Oggi Dio non è un consueto ospite famigliare, tante cose sono prima, manca il tempo, Egli è confuso tra tanti altri personaggi storici. Farlo conoscere sia concentrare tutto sulla Sua Persona, Salvatore del Mondo; significa l’amore cristiano, il Vangelo da vivere per conoscerlo, come esso renda adulti liberi nella fede e amanti della vita vera.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Certamente il catechismo e’ strumento, serve come mezzo , conoscere il Vangelo, fuoco per così dire nella vita della persona che a questo è da questo attinge segna enti. , . Certamente però il catechista deve essere persona formata, avere quelle doti di umana esperienza che gli consentono di avere percezione e cura della persona alla quale si rivolge.Con tutto quel rispetto e la cura che Cristo ha messo quando parlava alla folla quando non erano ancora i suoi. Oggi c’è tendenza a far diventare tutto un gioco, essere fanciulleschi anziché adulti che parlano alla mente e al cuore di chi lo diventerà. . Essere genitori che insegnano, con amore a introdurre l’amore per la vita. Oggi c’è tendenza a fare di tutto un gioco,.qui è scoperta di se stessi e della vita che si vive nel mondo con gli altri il modello è l’uomo Dio, la conoscenza è anche libertà di una scelta di vita Dove l’amore è strumento in tutto.cio che si va compiendo

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