Nostalgia di Alcatraz

Nostalgia di Alcatraz
14 Gennaio 2019

Quando il 21 marzo del ’63 venne chiusa la famosa prigione dell’isola di Alcatraz, nella baia di S. Francisco, la figlia di uno dei custodi esprimeva così il suo rammarico: “Ecco, ora andremo ad abitare in una città con dei vicini sconosciuti… Qui era semplice. C’erano da un lato i buoni e dall’altro, dietro il filo spinato, dietro le mura e le sbarre, c’erano i cattivi. Ciò rendeva la vita facile” (Paris-Match del 20 aprile 1963). Ora, certo tutti vorremmo avere una vita facile, maggiormente quando ne abbiamo una percezione difficoltosa, spaventosa, distruttiva. Come molti oggi.

Le parole di questa ragazza, possono tranquillamente stare sulla bocca di molte persone di oggi, e prima ancora nel loro cuore. In cui, una sapiente e sottile “inculturazione” ha provveduto a rendere dogma che la percezione emozionale della realtà corrisponda davvero ad essa. La versione cattolica di questa posizione si nutre dell’altro dogma, anch’esso sapientemente “inculturato” nei cuori di molti: bene e male, verità e menzogna sono chiaramente distinti e facilmente riconoscibili, soprattutto se ci si appoggia sulla bi – millenaria saggezza della Chiesa. Ma questo secondo dogma non finisce qui. Nella sua formulazione più completa dice: questa distinzione chiara e facile è il fondamento che certifica l’essere cattolici qui e ora. Perciò la Tradizione bi – millenaria della Chiesa viene prima di qualsiasi altro riferimento per essere cattolici, e ovviamente la si percepisce come definita, compiuta e insuperabile.

Un paio di mesi fa una mia conoscente mi ha segnalato un librettino, concepito nel 1965, ma apparso in italiano solo nel 1993. Preconciliare, quindi. Che in un suo capitolo si avventura a disegnare il senso e il valore della tradizione cristiana.

Cito: “L’unica maniera di essere veramente cristiani è di comprendere in che cosa gli «estranei» del passato lo sono stati. Perciò ogni generazione deve intraprendere l’esegesi spirituale delle testimonianze precedenti, ivi comprese le Scritture, in nome di un’esperienza necessariamente nuova. Solo la nostra differenza, sotto forma di culture, di razionalità e di urgenze umane, ci permette di cogliere il senso di ciò che hanno vissuto i cristiani di ieri; allora la loro testimonianza ci diventa indispensabile, come il segno di ciò che a noi spetta fare e vivere diversamente da loro”.

Ovviamente qui si ipotizza una tradizione non cristallizzata e conclusa, ma viva e generata dal depositarsi nella coscienza ecclesiale dell’esperienze di fede che le varie epoche hanno visto passare e che ancora perciò è in atto anche ora.

Ma l’autore (nel 1965!) dice: “Però una malattia ci acceca tutti: quella dell’identità. Consiste nel rifiutare il dato della differenza. Così bisognerebbe necessariamente che gli antichi avessero sempre condiviso le nostre convinzioni (altrimenti sarebbero eterodossi), oppure, inversamente, bisognerebbe che noi li ripetessimo (altrimenti saremmo noi degli abominevoli eretici). La paura degli altri o il timore di essere diversi diventa intolleranza; tende così a instaurarsi un imperialismo ecclesiale dell’identità che sarebbe il regno della tautologia: non potendo accettarsi diverso, ogni cristiano sopporterebbe unicamente la propria immagine della verità, così che tutti dovrebbero dire o essere la medesima cosa. A questo punto, tutti i mezzi sono buoni”.

I casi sono due. O l’autore è stato profetico, o non siamo molto cambiati, come cristiani dal 1965. Resta il fatto che queste parole sembrano davvero fotografare la condizione attuale dei cristiani nella chiesa.

E allora mi sembrano interessanti anche queste altre parole dell’autore: “Eppure, nel cristianesimo, all’origine della vita spirituale c’è l’esperienza, un’originalità sorgiva. Esce alla luce un volto della verità cristiana che non è già modellato in partenza da una dottrina o da un passato. La vita nello Spirito o, se si vuole, il regime pentecostale che definisce la chiesa, non è più solamente dipendenza da un maestro o sottomissione a un pedagogo; è l’attestazione di una Presenza designata e vissuta all’interno di relazioni fraterne. «Non mi porrete più nessuna domanda» (Gv 16,23); non sarete più di quegli uomini che attendono da qualcun altro la determinazione della loro esistenza. Testimonierete voi stessi, in coscienza, ciò che diventerete quando lo Spirito parlerà in voi. Allora non dipenderete più da una «lettera», ma comprenderete il significato delle mie parole via via che le invenzioni dello Spirito in voi vi faranno dire o compiere ciò che io non ho detto o fatto. Voi sarete altri, perché la verità vi abiterà. L’omogeneità è sempre e soltanto un’utopia. Dio, invece, si rivela sempre strappando i segni che pure, come in passato il velo del tempio, designano già la sua venuta. Non c’è mistero in un mondo omogeneo”.

No, non ve lo dico.

 

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