L’orecchio destro di Malco

Nei Vangeli anche un dettaglio insignificante dice qualcosa: se non altro, che il fatto di cui si parla ha avuto dei testimoni oculari. Ma quanto contano per noi i particolari?
25 Giugno 2013

CHE FIGURA!

Oltre a far cogliere i collegamenti, uno dei punti di forza del racconto è la capacità di fare attenzione ai dettagli.

Un esempio: la moltiplicazione dei pani viene narrata da tutti e quattro gli evangelisti (Mt 14; Mc 6; Lc 9; Gv 6), che concordano su tante cose, dal numero di ceste di pane avanzato (12) al numero di persone che mangiarono (5.000 uomini, anche se Matteo aggiunge «senza contare le donne e i bambini»). Ma è solo Giovanni a ricordare che i 5 pani d’orzo e i 2 pesci di partenza li fornì un ragazzo, peraltro senza nome, segnalato da Andrea.

Ora, che sia stato lui – anziché un adulto o un anziano – è indifferente o non lo è? Giovanni ne scrive perché ci ha fatto caso? Quindi per darci un’informazione più completa? O vuol farci sapere che all’origine di un miracolo così grande c’è il poco, il meglio di niente, messo a disposizione da un ragazzo? Chissà: forse il quarto evangelista, assieme al gesto di offerta, ha visto anche una relazione con l’indisponibilità di altri. Che, paralizzati dal realismo, riuscivano solo a dire «Ciò che abbiamo non basterà mai».

E com’è che Matteo, Marco e Luca non ne fanno menzione? Può essere che non abbiano visto la scena o non vi abbiano dato peso. L’abbondanza e la scarsità di notizie dipendono spesso dal posizionamento del narratore, che può giustificarne tanto i blackout quanto le illuminazioni: la luce sul ragazzo dei pani e dei pesci era magari dovuta alla vicinanza di Giovanni e il silenzio altrui non è da interpretare come omertà.

Se andiamo a rileggere i racconti della cattura di Gesù (Mt 26; Mc 14; Lc 22; Gv 18), possiamo notare che ogni evangelista cita almeno un particolare omesso dagli altri tre (tra l’altro, un particolare che solo le parole possono svelare e non facile da rendere in un’immagine). Matteo è il solo a riportare ciò che disse Gesù a Giuda: «Amico, per questo sei qui!». Marco parla di un ragazzo al seguito di Gesù «che aveva addosso soltanto un lenzuolo» e che gli fu afferrato, per cui, «lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo»: confessione che fa ipotizzare si trattasse di Marco stesso. Luca, guarda caso un medico, è l’unico a ricordare che fu Gesù a toccare e a guarire l’orecchio staccato al servo del sommo sacerdote (il destro, precisano Luca e Giovanni). Il quarto evangelista, infine, cita la richiesta di Gesù ai soldati – «Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano» –, da cui si deduce che non furono gli undici a scappare ma Gesù a intercedere per congedarli.

Giovanni si distingue anche per altro: tra i quattro, è il solo a svelare chi ebbe l’orecchio tagliato (Malco) e soprattutto da chi (Pietro). Mentre Matteo, Marco e Luca dicono il peccato e non il peccatore, forse per non mancare di rispetto al leader. Reticenza? Autocensura? Se così fosse, diciamo subito che c’è cascato lo stesso Giovanni, quando evita di parlare dei primi posti richiesti dalla madre per sé e il fratello.

E comunque, pur essendogli grati per averci detto il vero intorno a Pietro, che cosa dobbiamo pensare di lui quando scopriamo che – unico dei quattro – non s’è accorto del bacio di Giuda, del segno che simboleggia l’ambiguità dei segni?

Insomma: in quell’orto, in quel buio e in quel caos, ognuno ha visto ciò che è riuscito a vedere e probabilmente lo ha riferito come meglio poteva e sapeva. Senza ovviamente dire tutto, perché un avvenimento non è restituibile per intero né dalle parole né dalle immagini e in ogni rappresentazione – sia che racconti, sia che dipingi o fotografi o filmi – qualcosa resta fuori. Anche non volendo, anche perseguendo la massima obiettività, anche con le migliori intenzioni di non tralasciare nulla, dire tutto o far vedere tutto è umanamente impossibile.

Il problema, semmai, nasce dopo (e ci riguarda): quando cioè il fatto viene riraccontato – e fatalmente deformato – dai narratori di seconda, terza, quarta… fascia. Che, nel riferire quanto appreso da altri, possono riportare un particolare o tacerlo, enfatizzarlo o ridurlo. Anche condizionati dal mezzo usato.

Gli artisti, che sono pieni di limitazioni imposte dal linguaggio e dal supporto (le misure di una tela, di una scultura, di un film…), a volte sono ammirevoli per la fedeltà ai Vangeli scritti. Nell’Annunciazione di Santa Maria Maggiore a Roma, raffigurano le case di Maria e Giuseppe per sottolineare – come Matteo («prima che andassero a vivere insieme») – che i due erano ancora fidanzati.

In altri casi sono assai creativi. Matteo non svela quanti fossero i Magi: accenna a tre doni, che in teoria avrebbero potuto avere trenta donatori. Gli artisti ne mettono in scena tre, non per lusso o per capriccio quanto per l’esigenza di semplificare. E se talvolta peccano di omissione (Erode che «restò turbato e con lui tutta Gerusalemme», più facile a dirsi che a farsi), tal altra indulgono ad aggiunte (corone regali, segni dell’età, pelli nere… inesistenti nel testo scritto).

Però questi narratori successivi possono accorgersi di dettagli sfuggiti persino agli evangelisti. Ad esempio del catino, usato nel giro di poche ore con due diverse finalità: da Gesù per lavare i piedi agli apostoli (Gv 13) e da Pilato per lavarsi le mani (Mt 27). Il primo catino segno di responsabilità, il secondo del suo contrario, del non volersi far carico.

Giudicare un racconto dalla quantità di dettagli non ha senso, perché anche chi narra sfronda molto. Ed è rischioso farsi prendere dalla sindrome dei dettagli significativi (quella che carica di aura simbolica persino i sassi della Terra Santa, non foss’altro per la possibilità d’essere stati calpestati da Gesù). La presenza di un dettaglio può essere random, cioè casuale.

Poi può darsi che un giorno si troverà un significato anche all’orecchio destro di Malco. Finora utile più a pittori e registi preoccupati della precisione. Meno a noi, che, abituati a raccontare per sommi capi, senza dar peso ai particolari, salteremmo a piè pari l’intera scena del taglio.

Eppure proprio un dettaglio inutile e insignificante potrebbe spingere a credere al reporter che lo ha riferito. E, di conseguenza, a dire il Credo.

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