Lo Spirito Santo: chi era costui?

Un processo sinodale “onesto e sincero” deve distendersi tra le riflessioni del vescovo Camisasca e quelle del direttore Spadaro, alla ricerca di una risposta complessa tutta ancora da scoprire
10 Novembre 2021

Dopo aver mosso qualche appunto agli interventi su Avvenire del vescovo Brambilla e del teologo don Leonardi, mi ero fatto venire lo scrupolo di essere stato un po’ troppo severo, anche se – a dire il vero – avevo risparmiato l’intervento del vescovo Camisasca per il timore di risultare inutilmente polemico. Quand’ecco padre Spadaro intervenire così sulla questione sinodale:

«per fare sinodo occorre cacciare i mercanti e rovesciare i loro tavoli… Ma chi sono oggi i “mercanti del tempio”? Solo una riflessione intrisa di preghiera potrà aiutarci a identificarli… I mercanti sono sempre prossimi al tempio, perché lì fanno affari, lì vendono bene: formazione, organizzazione, strutture, certezze pastorali. I mercanti ispirano l’immobilismo delle soluzioni vecchie per problemi nuovi, cioè l’usato sicuro che è sempre un “rattoppo”, come lo definisce il Pontefice. I mercanti si vantano di essere “al servizio” del religioso. Spesso offrono scuole di pensiero o ricette pronte all’uso e geo-localizzano la presenza di Dio che è “qui” e non “lì”» (Civiltà Cattolica, n.4113).

Una parresìa, una franchezza tale da far venire meno quel mio piccolo scrupolo e spingermi a tornare sull’intervento del vescovo di Reggio Emilia (nei giorni scorsi protagonista a Roma, in San Paolo fuori le mura, di un incontro con il cardinal Ruini sul tema della famiglia). Non certo per il gusto della polemica o con il fine di alimentare una sterile contrapposizione tra la Chiesa prima e dopo Francesco, ma semplicemente per il fatto che – come già ricordato (qui e qui) – se «la conflittualità» (card. Grech), se il conflitto si vuole «risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (EG, 227), esso «non può essere ignorato o dissimulato [ma] dev’essere accettato» (EG, 226).

Nascondere infatti le differenti comprensioni ecclesiali di ciò a cui dovrebbe tendere questo cammino sinodale rischierebbe di interrompere bruscamente il sogno del vescovo di Roma di camminare insieme verso una «multiforme armonia» (EG, 117), una «pluriforme unità» (EG, 228) – quella che un tempo si chiamava «“diversità riconciliata”» (EG, 230). Soprattutto quando nella Chiesa qualcuno  – come Camisasca o Spadaro – ha il coraggio di esplicitare le differenze o i problemi reali, mentre in tanti altri interventi «sinodo/sinodalità stanno diventando slogan, una nuova retorica ecclesiale che nasconde le molte difficoltà, se non l’opposizione, di presbiteri e vescovi verso questo cambiamento» (card. Grech).

Nella riflessione del vescovo Camisasca mi aveva colpito il fatto che non comparisse mai – né esplicitamente né implicitamente – il focus del processo sinodale secondo Papa Francesco, ossia l’ascolto di ciò che lo Spirito sta chiedendo alle Chiese. Si cammina «assieme» e «verso» Dio (soprattutto il Padre, ma anche la Trinità), si cammina «con» Cristo, si cammina «tra» fratelli e «verso» coloro che non conoscono («ancora» o «più») Cristo. Tutto questo per «ricentrare su Dio Padre la nostra vita». E lo Spirito? Non pervenuto. A differenza dell’intervento di padre Spadaro, per il quale il processo sinodale è inequivocabilmente «un’esperienza di discernimento spirituale alla ricerca della volontà di Dio sulla Chiesa» e della quale «il protagonista è lo Spirito Santo che “muove e attira”», che «non ama safe zones, aree protette: soffia dove vuole» e, perciò, rende la Chiesa «inquieta, scomoda, tesa».

Siccome neanche lo Spirito è un flatus vocis, non è un caso che il testo del nostro vescovo sia di conseguenza del tutto sbilanciato sul conoscere (Dio, la Sua opera e Gesù Cristo) rispetto all’ascoltare (i nostri contemporanei) o al discernere (non si sa bene cosa e perciò assente anch’esso). E non è un caso che gli altri vengano riconosciuti, identificati, certamente nel loro essere in «attesa intima» (di conoscere Dio, Cristo, etc.), ma soprattutto per il loro essere dei semplici allontanatisi da perdonare, dispersi da radunare, peccatori da rianimare. Di conseguenza, non stupisce che la disponibilità ad ascoltare gli altri riguardi certamente anche «le attese e le domande, le critiche, le delusioni e gli scandali», ma solo e sempre in funzione di «suscitare la sete di Dio affinché la riconoscano dentro di loro, chiamare ogni uomo a partecipare alla vita delle nostre comunità».

Nessun collegamento, dunque, tra questi altri e l’esperienza sorprendente e imprevedibile di imparare qualcosa di Dio e sulla Chiesa da essi (GS, 44), perché Dio, o meglio lo Spirito, è già all’opera in loro. In altri termini – quelli di padre Spadaro – nessun accento sull’«ascolto del mondo» in cui sostanzialmente «Dio è sempre presente, ispirando, muovendo, agitando»; nessuna elevazione a «scoperta scomoda» del fatto sostanziale che «i “lontani”, i non credenti e chi si professa anticlericale, a volte, ci aiutano a capire meglio il tesoro prezioso che conteniamo nei nostri poveri vasi di argilla». Per questo motivo, l’unico passaggio che poco mi convince dell’intervento di padre Spadaro è quello in cui egli collega l’«aprirsi» ecclesiale al «passare dall’“io” al “noi”» – così come non mi aveva già convinto un analogo passaggio presente nell’intervista di Papa Francesco al Tg5 del 10 gennaio 2021. Ritengo che la forza inclusiva della categoria “noi” sia sempre minore rispetto a quella garantita dalla categoria “altro” o “altri”, soprattutto quando riconosciamo «l’altro, ogni altro, come un dono» (card. Grech).

A questo punto, non ci deve neanche stupire che il vescovo Camisasca accolga senza problemi la categoria della Chiesa in uscita – come già lo stesso cardinal Betori aveva fatto, evidenziandone l’analogia con quella della Chiesa estroversa. Si tratta sempre di una «dilatazione» e «apertura» ecclesiale funzionale al fine che «nuovi uomini e donne possano entrarvi» e (solo?) in essa «possano sperimentare l’abbraccio misericordioso di Cristo alla loro vita»: una classica «opera di evangelizzazione che inizia come ascolto» e che forse troppo velocemente «continua come annuncio e invito alla comunità». Ma ci chiediamo: dov’è il «fermarsi» (card. Grech), il «fare sosta» sul momento dell’«ascoltare» prima di passare a quello del «dire» (card. Bassetti, 6:14-7:43)? È possibile un’esperienza di misericordia di Dio al di fuori della Chiesa? È pensabile un’inattesa e sorprendente evangelizzazione degli (iniziali) evangelizzatori da parte degli evangelizzati?

Per tutti questi motivi, riteniamo che non sia più sufficiente spiegare che la Chiesa sinodale è la Chiesa in uscita – come da ultimo ha cercato di fare in modo autorevole anche Santiago Madrigal (Civiltà Cattolica, n.4111). Bisogna rendersi conto, come ha detto con un insolito umorismo il cardinale Bassetti, che anche ad una Chiesa in uscita «potrebbe venire la voglia di darti una spinta e di buttarti in un burrone e poi dire: – Ho fatto il Sinodo perché abbiamo camminato insieme… -» (14:13-14:28). O, più semplicemente, che anche il vescovo Camisasca può parlare di «approfondire la propria tradizione» e di «una nuova intelligenza della verità perenne», ma sempre dominato dalla preoccupazione che non si tratti di «conoscenza di cose nuove». In definitiva, finché si continuerà a pensare che la Chiesa esce da sé solo per offrire risposte a domande (anche critiche) che restano però solo funzionali al (pur importante) approfondimento e rinnovamento delle risposte stesse, allora sarà difficile un cambiamento sostanziale.

La conversione che ci sta chiedendo Papa Francesco consiste – crediamo – nel pensare e praticare l’uscita come tentativo di ricercare nell’altro risposte (ovviamente donate dall’Altro) a domande – espresse o inespresse – che la comunità ecclesiale si porta dentro. L’aneddoto di Pietro e Cornelio, reso giustamente paradigmatico dal Documento preparatorio al Sinodo (§22-24), non ci parla in fondo di questo mutuo scambio tra Chiesa (presunta solo) docens e Chiesa (presunta solo) discens?

Ecco allora ritornare in me la convinzione secondo cui durante il Sinodo, in questo processo sinodale, sia necessario che i conflitti, o meglio il grande conflitto intra-ecclesiale degli ultimi venti-trent’anni venga detto, discusso e pregato. Noi lo abbiamo detto. Che i partecipanti lo discutano e lo preghino. Altrimenti molto difficilmente quello che avverrà sarà veramente sinodo!

 

2 risposte a “Lo Spirito Santo: chi era costui?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Lo Spirito Santo chi è? Per il cittadino comune capita di ricorrere quando si è in difficoltà nel fare scelte difficili, supponendo sia sempre presente, ma lasciando piena libertà alla persona di pensare e decidere, . Mi viene di pensarlo come persona da interpellare volendo essere coerente non solo con la mia ragione ma quando intendo attingere da quella saggezza che è altro, come fiducia in una una fede. E’sempre da essa che apre a più nuovi orizzonti anche la ragione, a ulteriori considerazioni. Così si suppone debba essere questoSinodo, disposizione ad una apertura quale la realtà fa incontrare nelle persone, conoscere quindi ascolto, ma però sempre ancorati a quell’insegnamento delle origini, ,quello che non muta nel tempo, opera in ogni persona allo stesso modo, permettendo idee a confronto. La risposta Alla domanda, un percorso da scoprire dando spazio allo Spirito; da ringraziare per l’esistenza se si rivela un bene in soccorso ai nostri bisogni

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    A me sembra di scorgere nella mia Chiesa, quindi anche qui, un po’ di Bach.
    Toccata e.. FUGA!
    Si toccano certi temi, qui lo Spirito, ma poi non si entra nel merito, nella sua ontologia, quasi relegandolo nel solo titolo.
    Mi espongo io, piuttosto tranchant.
    1) Dio è DIO. Punto e basta.
    Anche Padre è equivoco, xchè antropologico.
    I predicato aggiunti sono SOLO di qs mondo.
    Cfr. Io sono chi sono. Puntoebbasta
    UNI
    2) Se ieri mio figlio ha visto salva la vita, tutto rotto, da un incidente…
    Quando poi ho chiesto a Dio di fare un miracolo di guarigione x lui e mi ha detto:
    Bamba! Non hai capito che lo ho già fatto?
    COSA cambia se credo che lo ha fatto Lui, lo Spirito o, mia figlia seguace di Med direbbe, la Madonna?
    Raga, tropppppa confusione.
    PS
    Vocina dal fondo: Bravo, lo sapevo già che Spirito è Dio, cfr la Trinità.
    OK.
    Ma cosa cambia in:
    Lo Spirito è manifestazione di Dio??

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