Le parole del giubileo – 6 – Pena

La “pena temporale” è una condizione esistenziale inevitabile che non va scontata, ma va assunta e attraversata.
8 Febbraio 2025

Pena

Questa parola ci porta nel centro della motivazione che storicamente ha dato origine al giubileo. Il peccato produce sempre un “danno”. All’interno di questo, la pena indica la parte di quel danno che ricade sul peccatore stesso: l’effetto di male che il peccatore produce a sé stesso con il suo atto. Il Catechismo della Chiesa cattolica ci tiene a precisare che la pena non è “una specie di vendetta che Dio infligge dall’esterno, bensì deriva dalla natura stessa del peccato” (CCC 1473).

Questa pena ha due forme. La prima è quella eterna, cioè la rottura del nostro rapporto con Dio, che se non ripristinata dal perdono/pentimento, attraverso la confessione, produce la “morte eterna”, l’inferno. La seconda, quella che ci interessa qui, è la pena temporale, cioè i “residui di peccato” che restano nella persona anche dopo aver ricevuto il perdono, che rendono “difficile” la vita nell’amore di Dio e limitano lo sviluppo spirituale della persona.

Effetti deleteri prodotti dal nostro peccato, che si possono dare su tutti i piani della vita, materiale, psicologico, relazionale, ma soprattutto su quello spirituale: perdita della stabilità nella vita di amore di Dio, appannamento della nostra fiducia nel suo amore, riduzione o spegnimento della speranza di poter crescere spiritualmente.

Il giubileo nasce, storicamente, proprio come possibilità offerta dalla Chiesa ai fedeli di ridurre o cancellare questa seconda forma della pena, in modo che si riduca la necessità di “eliminare” del tutto tale pena nell’aldilà (purgatorio), per accedere al paradiso. Di fatto, però, le forme di approccio a questa possibilità sono due, ben diverse una dall’altra.

La prima è quella di intendere questa pena come qualcosa che va “scontata”, va “espiata”, per riportare in equilibrio la bilancia del bene e del male, spostata dal peccato dell’uomo. Scontare e espiare sono due termini che indicano quelle azioni dell’uomo che gli permetterebbero di “ripianare” il danno commesso.

Il fondamento di questa logica è che Dio è un giusto giudice e l’uomo, essendo responsabile dello squilibrio tra bene e male causato, deve risistemarlo. Ma se le cose stessero così, la misericordia non sarebbe la vera essenza profonda di Dio, ma solo una possibilità che il giusto giudice assoluto (vera essenza di Dio) metterebbe in atto quando vuole (come mai, ad esempio, non tutti gli anni o i mesi?). Con grosse difficoltà a far combaciare questa immagine con ciò che Gesù ci rivela di Dio.

La seconda forma, invece, vede nella “pena temporale” una condizione esistenziale inevitabile che non va scontata, ma va “assunta e attraversata”, con l’aiuto dell’amore di Dio, non per ripristinare una bilancia etica, ma per far progredire sempre di più lo sviluppo spirituale del peccatore. Assumere la propria pena significa impegnarsi a migliorare la propria condizione relazionale nei confronti di Dio, potenziare il nostro “innamorarci” di lui. Gli atti “dovuti” dalla celebrazione del giubileo, sono sensati quando mirano ad aumentare l’amore della persona per Dio, a pulire il canale di questa comunicazione.

Il fondamento di questa logica è che Dio è pura misericordia e l’uomo, inclinato da sempre al bene, deve imparare a trovare i modi giusti, secondo l’ordine dell’amore, per dare corpo a questa sua inclinazione, lasciando fare a Dio il proprio mestiere, invece di sostituirsi a lui nel tentativo di “ripagare” un male che ormai non si può più togliere, perché il tempo non torna più.

3 risposte a “Le parole del giubileo – 6 – Pena”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Che gli errori si pagano, e verità inconfutabile per noi stessi con assunzione di responsabilità e per quanto un proprio errore può ricadere sul prossimo innocente. Così accade nella storia della singola persona come nelle guerre cui siamo coinvolti. La pena dunque e quel carico di cui Gesù fa cenno, Lui si è fatto vittima innocente offerta in riparazione di peccati commessi dagli uomini. E’ con il suo aiuto che si fa più leggera, in Fede della sua Parola, diventa via in riscatto., e se nel caso di una pena immeritata, come il sopportare una malattia, può accadere compiersi qualche cosa altro come nuova vita. Questo accade nel quotidiano vivere, di esperimentare la Misericordia di Dio per cui, senza obiezione a ricorrenze cicliche, il rapporto uomo Dio oggi diventa non soggetto condizioni e tempo, ma le esperienze che si vivono fanno confidare una giustizia divina già operante e nella quale il fedele confida anche la futura discendente da un insondabile amore divino.

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    SE la Parola é Verbo di Dio, non ci sono dubbi su qs 2 punti
    .1) sanarci è compito di Dio. E basta.
    2) avere FEDE è compito nostro.
    PS chi nn capisce NON VUOLE CAPIRE.

  3. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Una terza forma di pena, che è una declinazione della seconda, è attraversare la pena per poter raggiungere la salvezza. Per riconoscere la salvezza di Dio nella propria esistenza è necessario attraversare la pena che però non è causata solo dal proprio peccato ma anche dal peccato del prossimo che causa la propria pena. La salvezza avviene attraverso il prossimo che ci salva quando non ce lo aspettiamo e questa cosa sono convinto possa succedere talvolta a tutti, si tratta solo di riconoscerne i segni. Secondo me, il perdono non deve per forza precedere questa forma di pena ma proprio la coscienza della salvezza apre la strada al perdono, dato o ricevuto, che allevia questa pena. Credo che la parabola del samaritano possa essere un buon esempio.

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