La volgarità come valore aggiunto

Talvolta un ingrandimento consente di vedere qualcosa a cui non s'era mai fatto caso. Nell'opera di un artista che non è proprio un cane...
25 Settembre 2019

CHE FIGURA!

Accanto alla porta d’ingresso della chiesa di Villazzano (TN), sormontata dal titolo “Farsi prossimo”, è appesa l’incisione che Rembrandt dedica al Buon samaritano (1633, New York, Metropolitan Museum). Dove l’artista ha scelto di rappresentare il finale, quando la vittima, ricevute le prime cure, viene portata in una locanda e affidata all’albergatore.

Chi si ferma a guardare può fare due scoperte. La prima delle quali è più una conferma che una sorpresa: nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, è possibile mettersi un capolavoro in casa. E pure in chiesa (anche se, a Villazzano, è all’esterno). E persino bello grande… il che fa meditare su quanto contino le dimensioni e il posizionamento per fruire di un’opera al meglio.

Ma la vera scoperta è in un dettaglio, finora sfuggito: quello di un cane intento a espletare dei bisogni fisiologici. Animale, tra l’altro, assente in una prima versione, dipinta a olio nel 1630 (oggi a Londra, nella Wallace Collection), in cui l’artista si era limitato al cavallo in primo piano e a qualche gallina sullo sfondo.

È probabile che la pulsione del cane abbia scatenato altre pulsioni: da quelle censorie, per l’inopportunità di mostrare quel particolare (e chissà quanti l’avranno fatto sapere, all’artista prima e al parroco poi), a quelle didascaliche, utili a riportare le stranezze nei binari della ragione. Il museo dove l’opera è custodita spiega infatti come Rembrandt, di solito restio a replicare un olio in un’incisione, abbia voluto riempire un vuoto, aggiungendo «una nota di realtà quotidiana alla scena biblica».

Poiché la giustificazione “toppa-del-buco” non convince, vale la pena immaginare un significato più profondo, aiutati dalla memoria di qualcosa di simile, facente parte del presepe catalano: la statuina del caganer, il pastore accovacciato in posa inequivocabile, come invito a riflettere sui bisogni materiali, sulla loro imprevedibilità e ineluttabilità. Allo stesso modo della statuina, il cane di Rembrandt è lì a ricordare che non siamo puri spiriti. E che chi vuol essere caritatevole ha da fare i conti con la corporeità in tutti i suoi aspetti, anche quelli repellenti. Alla faccia di chi non ci pensa, forse ritenendosi esentato dal lavoro sporco.

Per quanto volgare possa sembrare, l’immagine del pittore olandese è decisamente preferibile a quella del Gesù extraterrestre, emanatore di raggi rossi e blu, che infesta molte chiese.

Poi, va da sé, ci sono particolari che, invece di guidare ai significati, depistano: può pure essere che quel cane faccia vedere il problema delle deiezioni canine prima di quello di chi sta male. Così come può portare a pensare che è un cane chi non presta soccorso.

 

 

 

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