La sindrome di Tommasino

Per gli ottant'anni di Natale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo, vale la pena rimeditare la maschera moderna dell'insofferente
23 Dicembre 2011

CHE FIGURA!

La maschera, si sarà capito, è quella del figlio di Luca e Concetta Cupiello, detto Nennillo, che, refrattario alla meraviglia dei pastori, non fa che ripetere: «Il presepio non mi piace». Chi non si lascia commuovere porta, guarda caso, il nome dell’apostolo che crede prima di tutto ai sensi: chissà se Eduardo si è ispirato a lui… o se invece ha preso spunto da Benino, il pastorello addormentato del presepe napoletano. Si tramanda, però, che Benino stia sognando il presepe, mentre Tommasino – dal letto – sa solo ribadire la propria avversità. Lui è attratto dai beni materiali: il cibo, i soldi. Non come Eduardo, che, pur confessando d’essere ateo, amava aggiungere: «Ma il presepe è il presepe». E forse non è un caso che il protagonista della commedia si chiami Luca, come l’evangelista che racconta il Natale, e Luca sia anche il nome dato dal drammaturgo al figlio.

La seconda intuizione di De Filippo è stata di non limitarsi a “caricaturare” il personaggio, mettendogli in bocca quel «Non mi piace» come un’ossessione, ma di collocarlo all’interno di una famiglia, dove il padre pensa all’opposto. Qui il discorso potrebbe prendere più direzioni: dall’incapacità di stupirsi ai drammi familiari, dal diritto di dissentire all’analisi delle maschere moderne (Fantozzi, Tafazzi, Cipputi, Furio…). Vado invece per un’altra strada, affermando che anche nella nostra Chiesa facciamo esistere il personaggio di Tommasino – interpretato a turno da ciascuno di noi – quando prendiamo di mira alcune forme e cominciamo a pensarne e a dirne ogni male, senza la capacità di vederne le luci.

Non c’è domenica in cui non si incontri chi dice «Non mi piace» al turibolo, al gregoriano, alla Comunione in bocca… e chi lo dice ai canti moderni, alle opere moderne d’arte sacra, agli avvisi detti prima della fine della Messa… Allargando l’inquadratura ai Santi e ai Beati, si trova chi ce l’ha con Escrivá de Balaguer, con Pio IX, con Padre Pio… E con i beatificati anzitempo: gli stracitati Don Milani, Don Tonino Bello, Card. Martini, Enzo Bianchi… Oppure Don Giussani, Kiko Arguello, i veggenti di Medjugorje… E perché non aggiungere i movimenti e le associazioni ecclesiali? Da giovane aderente all’Azione Cattolica, mi capitò di incontrare un sacerdote così ostile da sostenere che «in tutta la sua storia l’AC non ne ha mai azzeccata una». Cosa che mi inorgoglì, anziché ferirmi, perché occorre essere davvero bravi a sbagliarle tutte: anche facendolo di proposito, qualcosa potrebbe andare storto (n.b.: perfino un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno).

Nonostante sia stato vittima, sono colpevole ogniqualvolta non so esimermi dal dire che non sopporto qualcosa o qualcuno: «A me non mi piace. Ma guardate un poco, mi deve piacere per forza?», dice Tommasino al padre, con la madre pronta a giustificarlo: «È l’età: tutto è perdonabile». Pur concedendo che ogni forma e ogni persona possano contenere qualcosa di indigesto o di non gradito (anche il calcio e la cioccolata hanno dei detrattori), fa male veder presi di mira dei fratelli nella fede. Con un’acriticità che ricorda quella dei tifosi: coloro che, per rafforzare la propria identità, sanno solo scorgere nemici.

Anche in casa Cupiello nessuno è esente da colpe. Però il dramma ha un lieto fine, con Tommasino che cambia idea sul presepio e Luca che riesce a far fare la pace tra la figlia e il marito. A salvare la famiglia è un padre, l’unico che ha a cuore il presepio e l’unico capace di benevolenza. La stessa virtù di cui stiamo facendo esperienza in questi giorni con gli auguri di Natale: includendo tutti e non escludendo nessuno, in nome di Colui che celebriamo col presepio.

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