La perla (che cresce) nel dialogo (conflittuale)

Le difficoltà e le sofferenze insite in ogni discussione valgono tutta la bellezza che al termine di essa potrà essere sperimentata...
21 Dicembre 2021

A due mesi di distanza dall’apertura del Sinodo, anche il recente viaggio del Papa presso Cipro e Grecia è stato occasione per mettere a punto cosa «desideriamo» sperimentare, da cattolici, in questo «itinerario sinodale».

Di certo, secondo quanto detto dal vescovo di Roma al mondo ecclesiale cipriota, esso sarà caratterizzato, volenti o nolenti, dall’incontro con la «diversità» di coloro che hanno «un’altra cultura, un’altra sensibilità religiosa»; in altri termini, dall’incontro con «l’altro».

Questo altro, però, è una persona nella cui vita «l’opera che il Signore compie» è già «una storia sacra», è già «grazia» piena di «doni»: è già traccia dell’Altro. Perciò Papa Francesco ci esorta a rivolgere ad essa «orecchie e cuore», a lasciarsene «appassionare», a farle «spazio». Soprattutto – questo è il suo desiderio più profondo! – senza vivere tale alterità come «una minaccia all’identità» o, peggio ancora, come qualcosa per cui «ingelosirci» o «preoccuparci»: «se cadiamo in questa tentazione cresce la paura, la paura genera diffidenza, la diffidenza sfocia nel sospetto e prima o poi porta alla guerra» o, se va bene, al mondo dei «muri della paura», «abitato da rivalità perenni e inquinato da contese irrisolte».

In effetti, con questo altro – anche se fratello/sorella, anzi forse soprattutto quando è fratello/sorella – può capitare di ritrovarsi in «forte dissidio»: «si discute, a volte si litiga», cercando di non serbare «rancore», proprio perché si hanno «visioni» diverse. Ma sulla legittimità del «conflitto» Papa Francesco è stato (giustamente) sin troppo chiaro, quasi provocatorio: «si può discutere sulle visioni, sui punti di vista, su sensibilità e idee diverse – e conviene farlo, un po’ di discussione fa bene, perché è brutto non discutere mai. Quando c’è questa pace troppo rigorista, non è di Dio… Io sospetto di coloro che non discutono mai, perché hanno “agende” nascoste, sempre».

L’incontro con la diversità, quindi, per non essere distruttivo ma costruttivo, richiede una «Chiesa paziente» che, pur attraverso la «via lunga e tortuosa [del] dialogo», sappia dire tre sì e tre no:

  1. «la pazienza di accogliere “serenamente” la novità senza giudicarla frettolosamente» (ossia «darsi il tempo per conoscerla senza etichettarla»);
  2. «la pazienza di “studiare” altre culture e tradizioni» (e «disporsi a un confronto sincero»);
  3. «la pazienza del discernimento che sa cogliere i segni dell’opera di Dio ovunque» (nel «farsi carico della storia dell’altro» e dei «segni dei tempi»).
  4. «non si scandalizza» né «si lascia sconvolgere e turbare dai cambiamenti»;
  5. «non schiaccia con atteggiamenti rigorosi, inflessibili, o con richieste troppo esigenti»;
  6. «non serve essere impulsivi, aggressivi o nostalgici o lamentosi».

Solo in tal modo saranno maggiori le possibilità che tale incontro con l’a/Altro, pur se conflittuale, venga vissuto come momento voluto dallo Spirito, pieno di «ricchezza» da «integrare» e volto ad una «unità armonica» che non vuole «uniformare».

Non a caso, le parole usate dal Papa per ricordare che nella Chiesa è legittimo, se non doveroso, discutere e financo litigare collegano tale momento a quello della crescita spirituale: «dirsi le cose in faccia, con franchezza, aiuta in certi casi… La discussione è occasione di crescita e cambiamento. Ma (…) non per farsi la guerra, non per imporsi, ma per esprimere e vivere la vitalità dello Spirito».

Non a caso, tra le immagini utilizzate dal Papa per esprimere meglio questa «ricchezza dell’integrazione», questo «spirito dell’allargamento», spiccano non solo quelle della «“macedonia”» e del «popolo “multicolore”», ma soprattutto quella – affascinante – della perla e della sua «lucentezza».

Nel discorso rivolto alle autorità e alla società civile di Cipro, infatti, Francesco ha affermato che: «custodire la bellezza multicolore e poliedrica dell’insieme (…) richiede, come nella formazione della perla, tempo e pazienza… Una perla, infatti, richiede anni perché le varie stratificazioni la rendano compatta e lucente… La perla diventa tale nella pazienza oscura di tessere sostanze nuove insieme all’agente che l’ha ferita… Una perla porta alla luce la sua bellezza in circostanze difficili. Nasce nell’oscurità, quando l’ostrica “soffre” dopo aver subito una visita inattesa che ne mina l’incolumità, come ad esempio un granello di sabbia che la irrita. Per proteggersi reagisce assimilando quanto l’ha ferita: avvolge ciò che per lei è pericoloso ed estraneo e lo trasforma in bellezza, in una perla».

In definitiva, nel processo sinodale avviato, sarebbe la promessa di una bellezza assai preziosa ciò che dovrebbe convincerci della bontà e della verità divine che si possono scoprire in quella paziente accoglienza e conoscenza dell’a/Altro che il proprio Io/Noi dovrebbe operare, nonostante qualsivoglia negatività o sofferenza si debba attraversare.

Una promessa tanto alta quanto difficile da vedersi realizzata. Una bellezza a cui si può solo credere. Quasi come credere alla buona notizia della nascita del Messiapiccolo come una perlao del ritorno del buon Pastorein realtà bello, come una perla: doppia analogia che non dovrebbe dispiacere a coloro che hanno ancora a cuore la riscoperta e l’approfondimento della dimensione sinodale nella Chiesa.

 

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