La grazia e i correttori fraterni del papa

La grazia e i correttori fraterni del papa
4 Ottobre 2017

In questi mesi di silenzio, ho cercato di depurarmi un po’ dal web e ritrovare lo spessore e i sapori delle relazioni reali; ho cominciato a regalare molto tempo a mia madre, per accompagnarla un po’ nell’ultimo tratto del suo cammino; ho accolto un cambio di scuola che mi costringe a rimettermi in gioco da capo; ho cercato di attraversare un po’ di più la mia fatica di accettare da Dio i miei limiti umani.

Ma in tutta onestà il mio demone teologico non la vuole smettere di tormentarmi. Questo proprio ancora non riesco a gestirlo. E si scatena anche quando non voglio. Basta, ad esempio, una cosa molto piccola, che una sessantina di “voci” si levino a dire che papa Francesco è eretico, ed io subito mi metto a pensare. Persino mio zio me la ripropone, come se fosse una questione di discussione familiare o da bar.

Sì, lo so, c’è qualcosa che non va in me. Ma non riesco a togliermi dalla testa che queste “voci” contro il papa forse sono buone. Voglio dire, non tanto per quello che dicono, ma per quello che ci costringono a pensare. Due cose, in particolare.

Primo. Ci obbligano a tornare seriamente su come l’uomo “funziona” dal punto di vista etico. Lo sfondo antropologico con cui gli “anti Francesco” correggono fraternamente il papa, lascia trapelare una dinamica del valutare e dell’agire etico tipico di un computer, più che di un uomo, programmato su due principi assoluti. Da una parte l’uomo conosce cosa è il bene, perché la Chiesa lo dichiara da sempre e in modo oggettivo, senza mai averlo modificato minimamente. Dall’altra la Grazia di Dio è automatica dal momento che uno riceve un sacramento e con ciò l’uomo ha tutta la forza necessaria per fare tutto il bene che ha conosciuto.

Purtroppo per loro sono due principi entrambi non corretti, dal punto di vista cattolico. Perché la Chiesa, nel corso della storia, ha modificato in più punti la definizione del bene etico, anche in materie cosiddette “gravi” e soprattutto perché la Grazia di un sacramento agisce “non ponentibus obicem”, cioè se la persona non vi pone ostacoli, perciò non in modo automatico. E questo, qualsiasi teologo di normale spessore lo sa.

Ma purtroppo, ancora troppi, anche tra quelli non “anti Francesco”, assumono questa modalità “da computer” come quella effettiva che porta le persone ad agire davvero. Nel loro pensiero non c’è traccia di emozioni, sentimenti, passioni, pulsioni, indecisioni, dubbi, errori, perplessità. Non c’è traccia di coscienza, di intenzione, di opzione fondamentale. Non c’è traccia di gradualità, di crescita etica, di sviluppo della conoscenza di sé, di evoluzione della capacità di tenere in equilibrio le proprio forze interne. Mi chiedo sul serio dove vivono e, anzi, se vivono davvero la loro umanità o solo la sopportano. E se fosse così, che tristezza!

Secondo. Ancora più profondamente questi “correttori” fraterni del Papa, ci obbligano a chiederci cosa sia il male e come si debba porre un cristiano di fronte ad esso. Per loro la risposta è chiara, anche qui strutturata su due principi assoluti. In primo luogo il male esiste in sé, ha una sua consistenza ontologica come male, è effettivamente qualcosa e quindi è terribilmente pericoloso perché può costruirsi nell’essere, proliferare, figliare, fino a fagocitare il bene e prenderne il sopravvento. In secondo luogo, come conseguenza, il male va, ad ogni costo, allontanato dall’uomo, separato da esso, perché non ne sia contaminato, e se possibile va annientato, facendolo morire, magari anche con la forza, se necessario.

Purtroppo anche qui, qualsiasi teologo di media levatura sa che nel cattolicesimo le cose non sono così. Il male non ha coesistenza ontologica e può esistere solo perché annidato dentro ad azioni che mantengono comunque una traccia di bene, quel minimo bene che consente a tali azioni di essere effettuate. Ma soprattutto sa che Gesù Cristo ha chiaramente scelto una strada dell’amore nell’affrontare il male: lo ha assunto e ha lasciato che il male stesso potesse arrivare alle estreme conseguenze, e risorgendo lo ha vinto non per distruzione, ma per ricapitolazione, riconnettendo cioè al suo Amore qualsiasi azione umana possibile.

Quanta fatica a credere sul serio nell’Incarnazione! Quanta fatica a credere che Dio è in grado di stare nel più profondo del male che l’uomo può vivere senza esserne toccato e anzi continuando ad attirare al bene anche le cose più turpi. Quanta fatica a credere davvero che Dio abbia accettato di stare con i tempi dell’uomo e del suo essere “storia”, senza preoccuparsi mai di giudicare preventivamente e in modo astorico ciò che l’uomo fa.

Quando ci convinceremo che la grazia non è una magia, ma è una relazione di amore e come tale chiede rispetto di entrambi gli attori, non solo di uno. Che il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato. E che queste due affermazioni vanno prese entrambe insieme, altrimenti o scompare l’uomo o scompare Dio. E in realtà, in entrambi i casi, scompaiono entrambi.

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