La forcella della gradualità

Una meta si raggiunge per soste e ripartenze; anche il cammino spirituale ha bisogno di passaggi intermedi, in cui guardare indietro e avanti
8 Settembre 2020

Perfino la salita più ripida non è mai completamente in… salita, come se il sentiero sentisse il bisogno di un tratto piano per rifiatare, per guardarsi indietro.  Questa pausa, fisica e psicologica, è disegnata da secoli nel paesaggio della nostra escursione e si presenta con una forma di lettera u oppure v. La chiamiamo forcella  perché quando da sotto la vediamo stagliarsi contro il cielo limpido ci ricorda appunto una piccola forca, con le punte laterali costituite da due costoni rocciosi o due pendii erbosi distanziati tra loro.

“…ma arriviamo almeno fino alla forcella!” Già, essa può diventare “la” meta. Quando il cielo si fa minaccioso oppure quando l’energia si esaurisce quella pausa naturale assume il valore di un traguardo (parziale o definitivo). Ti obbliga a ricalcolare – come un navigatore satellitare – la tempistica prevista e quindi anche la velocità del tuo passo.  Può anche intimarti di tornare indietro.

Sia che si tratti di un passaggio famoso come la forcella dell’Orso sull’Ortles o la forcella del Sassolungo, sia che rappresenti un valico più anonimo, va studiata e affrontata con rispetto la salita alla forcella. Essa può anche ingannare: ti sembra di averla lì, a portata di mano, “un quarto d’ora e ci siamo”, mentre invece i tornanti sono così ripidi e quasi compressi uno sull’altro che gli ultimi 100 metri di dislivello possono rivelarsi interminabili.  E allora la forcella impone con severità le esigenze di una cima:  non avere fretta, mantenere una progressione regolare, senza strappi o pause troppo ripetute, così da lasciare che l’apparentemente lento zig zag consenta di guadagnare quel tratto piano.

E’ la gradualità che sperimentiamo anche nella nostra ricerca spirituale o nella vita cristiana:  non si raggiunge mai una meta senza passare e fermarsi ad una “forcella”, stretta o larga che sia, comoda o esposta.

Sono passaggi intermedi, che non sono secondari o provvisori, ma vanno considerati come essenziali al cammino, tanto che spesso – al termine della giornata – si riconosce che proprio lì, su quella forcella, abbiamo raggiunto lo scalino più ostico, ma decisivo.

Una volta raggiunta, la forcella possiede già tante caratteristiche della cima: la comodità, perché ti consente di posare lo zaino, tenere i piedi in piano e perfino sederti per sorseggiare dell’acqua ristoratrice; la spaziosità, perché la vista non è ristretta dalle montagne e l’occhio in posizione dominante può volgersi avanti e indietro; la novità, perché ci spalanca di fronte una vallata o una valletta nuova,  aprendoci uno scenario impensato. Che gioia poi quando capita di scoprire che il rifugio è già lì ad appena cinque o dieci minuti,  appoggiato dietro la forcella in posizione protetta, a lungo prima nascosto alla nostra vista.

Raggiungere la forcella può cambiare radicalmente la nostra gita, così come certi momenti di verifica o di scelta della nostra vita: ci fa intravvedere cosa ancora ci aspetta, ma ci appaga con  la soddisfazione di aver già lasciato alle spalle centinaia di metri di dislivello o di aver superato passaggi insidiosi. La forcella dà la sicurezza di una crescita avvenuta, certifica che lo sforzo compiuto non è stato vano, incoraggia a proseguire e rilancia verso mete superiori.

Tira vento di “bocchetta”, lassù. Ci richiede un pile o una ventina,  il riparo dietro ad un masso. Qualche minuto di pausa è meritato, un selfie, la verifica sulle distanze indicate dai segnavia, le sentinelle della forcella.  Nei sentieri più battuti la forcella si trasforma in un pianerottolo affollato dove condividere la gioia del panorama o dove chiedere a chi è arrivato dalla direzione opposta come si presentano le condizioni del sentiero: un modo per cominciare lentamente a pensare a riprendere il cammino.

Esatto, non fermiamoci troppo a lungo. Godiamo appieno della salita compiuta, delle sorprese che ci ha riservato, anche delle acquisizioni ottenute a fatica. E’ quello che la fedeltà alle nostre scelte e ai nostri ideali ci invita a rispettare: sapere che altre forcelle ci attendono. Senza annullare il ricordo di questa tappa, rimettiamo lo zaino in spalla corroborati dal ristoro e rassicurati dalla gioia di poter sempre ripartire.

(Nella progressione in roccia, il ruolo della forcella è garantito dalle rare soste sui terrazzini: obiettivi parziali, ma indispensabili, pause nelle quali recuperare per poi ripartire, assicurando ai compagni di cordata che – un tiro dopo l’altro – si arriverà all’ultimo pianoro, la cima vera e propria.  Seguendo l’impegnativa ma intramontabile legge della gradualità).

(3 – continua)

2 risposte a “La forcella della gradualità”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma se si vuole paragonare la vita come a un percorso per raggiungere forcelle, convengo vi sia somiglianza. Uno immagina come possa essere un certo percorso per arrivarci, ma poi tutto può presentarsi diverso, sorprese di difficoltà nuove da superare, imprevisti non considerati, si parte col sole e poi diventa, pioggia o neve, cielo sereno che improvvisamente troppo presto cambia.Per questo quando si parte bisogna tener conto delle sorprese che costringono a passi diversi anche dislivelli impegnativi che richiedono certa resistenza. Certo la forcella è una tappa anche una punto di arrivo, si può proseguire o tornare indietro. a vedere un panorama ampio, tappa a riacquistare forza, per arrivare alla metà. Sono del parere che tutto quanto ci sta davanti sia scoprire cose nuove: sia hiking in the mountain che nella vita, una esperienza che allena al cambiamento e conoscenza di se.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Però quante volte si ripete “gambe in spalla”.!Prima di arrivare a quella forcella, dove sostare e respirare quell’aria da cima, seduti su un masso, magari trovandoci ai piedi delle Tre Cim di Lavaredo, che tanto rimandano alla SS.Trinita. Possenti fanno da baluardo tra cielo e terra. Oggi però certi sentieri risentono dei cambiamenti climatici e quello dell’anno prima Non si re senta più praticabile. I danni provocati dal cambiamento climatico come trombe d’aria,d’acqua, sono ingenti, tanta violenza sconvolge i ritmi di vita, gli allagamenti,frane, sono distruttivi al nostro habitat, e sorgono anche malattie nuove..Per questo del creato dobbiamo averne cura a garanzia della nostra salute.In Laudato si’ :” l’ambiente locale e globale non può essere sfruttato fino al suo punto di rottura,”l’umanità e interpellata a cercare il bene comune del pianeta e non il proprio bene come unico interesse.

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