La fase continentale del cammino sinodale: verso una nuova “pangea” ecclesiale?

Il documento di lavoro per la tappa continentale invita le Chiese locali e le loro rappresentanze continentali ad approfondire il cammino sinodale intrapreso
17 Novembre 2022

L’ascolto e il discernimento praticato nel cammino sinodale, dopo la fase diocesana e nazionale, è giunto alla fase continentale. Al servizio di questo ulteriore approfondimento dell’ascolto e del discernimento già operato è posto il Documento di lavoro per la tappa continentale (DTC), il quale, seppur frutto del «discernimento» e della «preghiera» condotti a fine settembre sulle sintesi nazionali da un gruppo di «esperti» (§5), è solo «una guida [e] una risorsa che deve facilitare il lavoro» piuttosto che «un documento da emendare, correggere o ampliare» (vedi FAQ). Un documento siffatto, invece, sarà il frutto di ciascuna delle 7 assemblee ecclesiali continentali (Europa, Asia, Oceania, Africa-Madagascar, Nord America, America Latina-Caraibi, Medio Oriente – §107) che si dovranno tenere, tra il gennaio e il marzo del 2023, con i rappresentanti delle Chiese locali (vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici e laiche, giovani, altri cristiani e credenti, atei e agnostici, poveri o emarginati – §108), per individuare le «priorità» da sottoporre in ottobre al Sinodo dei Vescovi (§109, n.4 e 5).

Tale «metodologia» (§12) non esclude quella che il card. Grech ha definito (qui e qui) «restituzione alle Chiese particolari», ossia che, nel frattempo, «le migliaia di gruppi locali che sono stati riuniti per la fase locale estendano la loro riflessione su questo documento [DTC – ndr] per continuare ad approfondire i loro processi sinodali locali con la guida del loro pastore» (vedi FAQ). Infatti, il DTC, in quanto «punto di riferimento» (§104) per «guidarci» ad «approfondire il discernimento» operato (§105), dovrà essere a sua volta oggetto di discernimento da parte di ogni vescovo diocesano e relativa équipe sinodale (focalizzandosi sulle tre domande del §106), cosicché, in una sorta di conversazione spirituale (inter)continentale, «ogni Chiesa locale avrà la possibilità di mettersi in ascolto della voce delle altre Chiese e di darvi risposta a partire dalla propria esperienza» (§109, n.1). Saranno poi le Conferenze episcopali a «raccogliere e sintetizzare» questo ulteriore discernimento per condividerlo con le suddette assemblee continentali (§109, n.2 e 3), in una sorta di continuo circolo di ascolto e discernimento tra locale e universale che si vuole – e si spera essere – virtuoso.

Non a caso il DTC ribadisce che «il senso» del processo sinodale, anche in questa fase assembleare continentale, consiste nel far incontrare, ascoltare e dialogare le voci del popolo di Dio (sempre secondo le tre domande del §106), nella loro «ricchezza» e «diversità» (§6-7), nella «varietà» dei «doni» che esse rappresentano (§102). Con una precisazione importante relativa al valore del sensus fidei di tale popolo, emerso dall’ascolto e dal discernimento della voce dello Spirito operati nella fase diocesana e nazionale: il DTC parla, infatti, non solo di un «senso condiviso dell’esperienza di sinodalità vissuta» (§9), ma soprattutto di un «tesoro squisitamente teologico» (§8): «i documenti che abbiamo ricevuto sono res sacra perché frutto di un discernimento fatto da tutto il popolo di Dio» (M. Grech, 48:10-25). È per proteggere tale valore che – crediamo – nel DTC si invoca lo Spirito affinché ci aiuti «a entrare in queste pagine come su “suolo santo”» (§14) e si ricorda che «il DTC sarà comprensibile e utile solo se sarà letto con gli occhi del discepolo, che lo riconosce come la testimonianza di un percorso di conversione verso una Chiesa sinodale che impara dall’ascolto come rinnovare la propria missione evangelizzatrice alla luce dei segni dei tempi, per continuare a offrire all’umanità un modo di essere e di vivere in cui tutti possano sentirsi inclusi e protagonisti» (§13).

In definitiva, come già aveva anticipato il vescovo L.M de San Martín (sottosegretario alla Segreteria del Sinodo), l’introduzione del DTC vuole rassicurare tutti coloro che sono ancora (giustamente) preoccupati per la possibilità che le sintesi diocesane, nazionali e poi continentali vengano facilmente sottovalutate, accantonate o dimenticate come un documento qualsiasi. Il loro carattere eminentemente «teologico» – nel senso che in esse parla lo Spirito di Dio – non permetterà che ciò avvenga con facilità, salvo rendersi colpevoli dell’imperdonabile peccato contro lo Spirito di cui parla Gesù (Mc 3,28-30; Mt 12,32). Tale carattere teologico viene poi avvalorato dal fatto che «luce» e «chiave per una interpretazione dei contenuti del DTC» (§10) e dell’«esperienza vissuta» (§13) sarà la Parola di Dio (nello specifico quella di Isaia 54,2: «Allarga lo spazio della tua tenda!» – §25), la quale, come già nel documento preparatorio al Sinodo (vedi qui), assume un valore non solo esortativo ma normativo per il cammino sinodale e per i suoi frutti.

La parola e l’ispirazione di Dio che sinora proviene alla Chiesa dal cammino sinodale sembra essere, dunque, quella di «allargare» sé stessa come «spazio di vita e di convivialità», in modo da «spostarsi» per «proteggere anche coloro che ancora si trovano al di fuori [e] che si sentono chiamati a entrarvi», ma sempre cercando di «mantenere la giusta tensione» tra «morbidezza» e «solidità» (§26). In altri termini, la Chiesa è chiamata da Dio, attraverso il Suo popolo, ad «allargarsi [e] spostarsi (…) in terreni sempre nuovi», cercando di «mantenere in equilibrio le diverse spinte e tensioni a cui è sottoposta»: «una dimora ampia, ma non omogenea, capace di dare riparo a tutti, ma aperta, che lascia entrare e uscire (Gv 10,9)» (§27).

Tutto ciò, è inutile nasconderselo – e il DTC non lo fa (a differenza della sintesi nazionale italiana che “cincischia” un po’ su accoglienza e sforzo di apertura), ha il suo “prezzo”: «allargare la tenda richiede di accogliere altri al suo interno, facendo spazio alla loro diversità. Comporta quindi la disponibilità a morire a sé stessi per amore». È anche vero, però, che il “prezzo” di questa «conversione personale e riforma della Chiesa» (§98; 101) dovrebbe essere accettabile per un cristiano, ossia per chi vuole conformarsi a Cristo: sia esso, secondo gli esempi evangelici del DTC (§28), il Cristo-chicco di grano che se non muore non dà il suo frutto (Gv 12,24) o il Cristo-kenotico che si svuota della sua divinità (Fil 2,5-7). Non a caso il DTC parla di «atto liturgico, eucaristico», e quindi non di «un annientamento» ecclesiale, ma di «un processo attraverso il quale riceviamo in dono relazioni più ricche e legami più profondi con Dio e con l’altro»: un processo che in fondo sostanzia «l’esperienza della grazia e della trasfigurazione» (§28) di cui i cristiani, come singoli che si convertono o come comunità che si rinnova e si aggiorna (§99; 101), dovrebbero essere esperti.

Vedremo nel secondo contributo, sulla scia delle tre domande del §106, quelle che nel DTC potrebbero essere, rispetto alla sintesi nazionale italiana, 1) le «intuizioni nuove o illuminanti», 2) le «tensioni o divergenze sostanziali», 3) «le priorità, i temi ricorrenti e gli appelli all’azione condivisi».

 

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