La chiesa sinodale che verrà. In dialogo con Dario Vitali

La bella e lunga intervista rilasciata su SettimanaNews dal teologo sinodale è stata l'input per immaginare un confronto a tutto campo sul futuro sinodale della Chiesa
30 Agosto 2024

Il consultore della Segreteria generale del Sinodo e coordinatore degli esperti teologi della prima sessione del sinodo sulla sinodalità (ottobre 2023), don Dario Vitali, ha rilasciato (qui) una lunga intervista sull’Instrumentum laboris (IL) per la seconda sessione (ottobre 2024), in risposta ad alcune valutazioni critiche espresse su di esso. Alla fine della lettura ho tirato un sospiro di sollievo, potendomi considerare, se mi è concesso un pizzico di autoironia, promosso.

Chi ha letto i miei contributi sull’Il in questione (qui e qui) sa che nel valutare le cosiddette «decisioni» del processo sinodale ho sempre indicato la necessità di non chiedere all’«istituto sinodale» più di quello che, con «le sue dinamiche», può offrire. Forse, però, c’è qui un equivoco che deve essere sciolto. Chi si è “lamentato” della «mancanza di certe decisioni» immagino sappia benissimo che tali decisioni siano di competenza del vescovo di Roma. Semplicemente, nella maggioranza dei casi, si è espressa la speranza che il processo sinodale si concluda non con un rinvio infinito, ma con delle proposte di «riforma del sistema» condivise, ossia dotate del «consenso (…) maturo» richiesto dalle procedure: in questo senso, con delle decisioni concrete (cf. Il 71) che, ovviamente, varranno come proposte da indirizzare al vescovo di Roma.

A tal proposito, invece, è interessante notare un passaggio dell’intervista che riguarda anche una delle questioni su cui molti si aspettano una decisione. Non solo nell’Il non ci sarebbe alcun «no al diaconato femminile» (come scrive Lorenzo Prezzi), ma soprattutto, afferma Vitali, «l’istituzione delle commissioni per studiare i dieci temi che non saranno argomento di discussione alla prossima Assemblea del Sinodo (…) non è uno scippo al Sinodo che, in merito a quei temi, ha già espresso il suo consenso pieno; al contrario, esprime un’autorevolezza e una forza del consenso maturato dall’Assemblea tali da aprire un processo concreto di ripensamento di quelle materie». Come ho già evidenziato (qui), lo stesso card. Grech si è espresso in termini analoghi durante la presentazione dell’Il, per cui possiamo chiederci veramente se due indizi autorevoli costituiscano una prova del fatto che sul diaconato femminile qualcosa si sbloccherà. D’altronde, una possibile soluzione o direzione in tal senso l’aveva di recente espressa (qui) lo stesso Dario Vitali: «che natura ha il diaconato? A che cosa serve? Nella Chiesa per che cosa è stato pensato? È evidente che se si pensa in unità strettissima con gli altri due ordini, in chiave sacerdotale e in una forma di ascesa verso il grado più alto, allora non c’è spazio per una attribuzione a soggetti che non siano uomini (…) che, però, non corrisponde alla Tradizione», la quale, invece, «pensava il ministero diaconale come forma di servizio alla comunità e nella [quale] era attestata anche una presenza di donne che svolgevano questo servizio. Proprio questa presenza femminile nella Tradizione obbliga a riflettere se non si possa restituire un diaconato anche alle donne. Una riflessione che dovrebbe permetterci di trovare un equilibrio all’interno della Chiesa nel rispetto di tutte le sensibilità esistenti» (cf. anche qui [50.00-53:00], con un argomentazione più ampia che tocca e differenzia la questione dell’ordinazione delle donne [53:00-1:03:00] ).

Resta il problema verificatosi al termine del sinodo sull’Amazzonia, implicito nelle parole di Vitali ma non affrontato nell’intervista, ossia una possibile valutazione da parte del vescovo di Roma di assenza nel «consenso ecclesiale» della «manifestazione dello Spirito e della sua azione nella Chiesa»: valutazione legittima, altrimenti sarebbe come accusare Papa Francesco di «resistere allo Spirito», di «disattendere lo Spirito che parla alla Chiesa»; ma valutazione certamente da meglio definire in termini di tempi, motivazioni e pubblicità, in quanto è solo il nostro essere «ai primi passi nel ricomprendere i processi decisionali nella Chiesa nella modalità di una partecipazione differenziata» che nel 2020 ha reso accettabile una motivazione un po’ troppo generica, pubblicata sulla rivista Civiltà cattolica, un mese dopo l’uscita dell’esortazione post-sinodale.

D’altra parte, nella precisazione relativa alla questione del rapporto tra il cosa della sinodalità «effettiva/affermata» (e non «percepita», come domandato da Lorenzo Prezzi, se non nel senso della «perceptio di Dei Verbum 8») e il come della sinodalità «in esercizio» ritrovo la necessità che ho espresso (qui) di chiarire, in premessa, cosa fondamentalmente rende una Chiesa sinodale (secondo quanto emerso dal processo in corso), per poter poi efficacemente passare al suo come esserlo concretamente nelle relazioni, nei percorsi e nei luoghi ecclesiali (sempre rispettando quanto emerso dal cammino sinodale). In altri termini, Vitali afferma giustamente che si tratta di non partire da «questa o quella singola decisione, questa o quella riforma», ossia da «tante decisioni isolate, che molti invocano su questa o quella materia», proprio per non correre il rischio di scordare, di “rimuovere” cosa rende una Chiesa (costitutivamente) sinodale e, quindi, di riproporre, di “far tornare” gli stessi stili non sinodali nei come singolarmente invocati. Ad esempio, suggerisce Vitali – a conferma (mi sembra) di quanto ho scritto in termini di declerizzazione dall’interno del ministero ordinato e di decostruzione dall’interno del suo potere, «la ministerialità ecclesiale non si risolve nel ministero ordinato e la discussione non può ridursi a questo stretto ambito: il rischio sarebbe di trasformare la questione in una discussione sulle condizioni di accesso al sacramento dell’Ordine (in ultima analisi, sulle condizioni di accesso al potere), spostando più a valle il problema del clericalismo. Bisogna avere il coraggio di ripensare la ministerialità a partire dalla Chiesa, non dal ministero ordinato, e di collocare questo dentro l’orizzonte più vasto della ministerialità ecclesiale, perché il ministero ordinato non si appropri – come è avvenuto in passato – di ogni capacità attiva. Approfondire singoli elementi è importante e la riflessione sulla natura del diaconato indica un fronte aperto a possibili sviluppi. Ma è la Chiesa ad essere ministeriale».

In tal senso, non è un caso che Vitali ricordi tutta una serie di snodi teologici assolutamente condivisibili (come ho argomentato in modo più approfondito nel mio libro Imparare dal vento): l’intento sinodale di invertire la rotta rispetto al «deficit pneumatologico della teologia latina del II millennio» e di «porsi in ascolto dello Spirito per sapere dove e come affrontare il cammino»; il rapporto tra questo «“Spirito della verità”» (Gv 14,17), la «verità tutta intera» (LG 4) e il discernimento comunitario nello stile di 1Ts 5,19-21; la conseguente centralità nel magistero di Papa Francesco dell’«imparare» reciproco tra popolo di Dio, collegio episcopale e vescovo di Roma (LG 12; 22), in quanto «tutti» egualmente sacerdoti come Cristo, dotati dello Spirito e dei cosiddetti tria munera grazie al battesimo comune (LG 10), in una «corresponsabilità differenziata» – per «funzione» e «stile di vita» – solo in vista del «servizio»; l’urgenza, quindi, di «sviluppare compiutamente» la «funzione regale», oltre a quella «profetica», del popolo di Dio con «la partecipazione attiva ai processi decisionali», considerando le «sue funzioni come prime (in ordine di tempo) e necessarie (in ordine alla verità dei processi ecclesiali) per la vita della Chiesa»; il recupero della «circolarità» organica (LG 11) tra gerarchia e popolo di Dio (LG 3; SC 26), tra Chiesa universale e Chiese locali quali «portio Populi Dei (…) che vive la fede in un determinato contesto socio-culturale» (LG 23; CD 11), tra Chiesa cattolica e gli altri cristiani attraverso «un esercizio del primato ripensato non sul versante della giurisdizione, ma del servizio alla communio» (LG 13); il ritorno ad «una Chiesa che viva alla luce del sole, e che adotti la trasparenza, la rendicontazione e la valutazione come criteri che regolano la sua vita, a tutti i livelli». Dice bene Vitali: «chi deprezza tutto questo, in realtà deprezza la partecipazione, o perché non ci crede o perché la teme».

Addirittura, seppur in modo implicito, emerge dalle parole di Vitali l’esistenza di quel decennale conflitto intra-ecclesiale, spesso a rischio di rimozione, che ho sempre segnalato e che «rischia di bloccare di nuovo il cammino della Chiesa, come è avvenuto per tre decenni, quando si è introdotta un’ecclesiologia di comunione per troncare le discussioni senza fine su una Chiesa “dal basso” contrapposta a una Chiesa “dall’alto”». Oggi, nella convinzione di Vitali, espressa con parole severe ma pensate da tanti, sono «molti quelli che desiderano e lavorano per un ripristino dello status quo; molti quelli che giudicano la sinodalità una moda del momento, che passerà con il passare di questo pontificato», «sono in molti a (…) dire che il sistema non funziona, perché non tutti hanno partecipato. Ma c’è da chiedersi se quanti non hanno partecipato al processo sinodale, lo abbiano fatto per scelta propria, o piuttosto perché (…) troppi vescovi e troppi preti non si sono nemmeno degnati di informare il Popolo santo di Dio, giudicando inutile un Sinodo che veniva a disturbarli nell’esercizio di un ministero ormai ridotto, nella gran parte dei casi, alla custodia delle macerie»: «l’opposizione a questo papa in realtà nasconde l’opposizione non dichiarata e mai superata di alcuni ambienti all’ecclesiologia del Vaticano II. In gioco c’è l’eredità del concilio, che sarebbe ormai un patrimonio condiviso se alle frange che lo contestano rispondesse una Chiesa che il Vaticano II lo conosce, perché lo ha studiato, lo ha assimilato, lo vive. Esiste un’ignoranza del concilio pari alla supponenza di conoscerlo!».

Qui, forse, Vitali indulge sui motivi storico-ecclesiali di tale ignoranza, ma certamente il programma che ne consegue è vastissimo e molte delle contraddizioni e dei problemi che vengono segnalati nel cammino sinodale dipendono anche da tale vastità: «un esercizio del ministero petrino in senso sinodale è tutto da riscrivere», anche perché «se c’è una via per la quale è possibile pervenire a un esercizio del ministero petrino in chiave ecumenica, questa è la via sinodale»; «come è da riscrivere il ministero episcopale (pensiamo alla normativa relativa alle nomine, che non prevede alcuna parte del Popolo di Dio e del presbiterio; o a quella relativa alla fine mandato, consegnata oggi soltanto a un meccanismo burocratico). Ma tutta la ministerialità ecclesiale è da ripensare, e non in termini di rivendicazione… Se la Chiesa è una comunione di Chiese, ogni Chiesa dovrebbe aprirsi a questa sfida di pensare una ministerialità a misura di quella specifica portio Populi Dei». In questo compito, conclude Vitali, sarà fondamentale l’apporto dei teologi, sempre che accolgano un ruolo di «supporto all’Assemblea», «un lavoro di squadra», «umile, nascosto, che mette conoscenze e competenze a servizio» dei padri e delle madri sinodali, spesso «componendo le tante prospettive che non di rado risultano in tensione tra loro», offrendo infine «le motivazioni a sostegno di un cammino di Chiesa che ha bisogno di ragioni convincenti per tradursi in forma e stile di Chiesa».

Ora, non possiamo né sapere né prevedere quanto di questo vasto programma si realizzerà, o la qualità spirituale della sua realizzazione, ma anche se nella Chiesa dei prossimi anni si consolidassero solo gli snodi sopra evidenziati e almeno la consapevolezza del conflitto in corso (se non la volontà di cominciare a risolverlo) – come diceva qualcuno – ce ne sarebbe d’avanzo

 

4 risposte a “La chiesa sinodale che verrà. In dialogo con Dario Vitali”

  1. Marco Ansalone ha detto:

    La sinodalità a livello di base (parrocchie e diocesi) è lasciata alla buona volontà dei singoli perchè gli organismi di partecipazione (consigli pastorali) sono consultivi e opzionali e laddove ci sono per la maggior parte dei casi non sono funzionanti. Bisogna cambiare il diritto canonico per rendere gli organismi di partecipazione obbligatori e funzionanti. Bisogna che i preti e i vescovi si mettanno in ascolto costante del resto del popolo di Dio e non sotanto che i fedeli ascoltino i pastori perchè tutti ascoltino la voce dello Spirito, che parla attraverso ciascun battezzato. Poi lo Spirito Santo farà camminare la chiesa nei sentieri della sinodalità. Se Papa Francesco tergiverserà nel predere decisioni o nel confermare il documento finale (Episcopalis communio art.18) per rendere la Chiesa più sinodale, il pericolo, che la Chiesa possa tornare indietro come è avvenuto con il sinodo del 1985, è molto reale.

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Io mi pongo, come sempre, nei panni di chi vive e si sente fuori e mi/vi chiedo:
    1) Si interesserà a qs Chiesa NUOVA ( se mai lo diventasse..!!)?? Guarderà verso di essa??
    2) qualcuno si chiede se tutti sti lavori&docs siano cose interne, anche in-definite e irrisolte, come il VAT II e capisce che laddove così fosse siamo e resteremo MARGINALI alla societå quindi lavori&discussioni&docs inutili…
    3) dal mio passato lavoro ricordo la diversità, allora, tra i sistemi di produzione occident ale e giapponese.
    Noi si partiva dalla organizzazione interna ( Ford dal bullone) per alla fine arrivare al prodotto finito…
    Loro invece partivano dalle attese/richieste/bisogni del mkt/consumatori x programmare all’indietro la produzione. All’indietro. Noi da cosa stiamo partendo? I ns temi quanto distano dalla Realtá e, temo, anche da Cristo??

  3. Roberto Beretta ha detto:

    Ho trovato l’intervista di don Vitali un po’ “dovuta” e troppo verbosa; alcuni argomenti sono convincenti, altri si potrebbero rovesciare tranquillamente nel contrario (vedi Commissioni,: sono approfondimento oppure dilazione ad infinitum?). E poi: se la Chiesa è sinodale, perché scandalizzarsi o contrattaccare se qualcuno esprime pareri contrari allo stesso Instrumentum? Non c’è solo chi di fronte al Sinodo si oppone al metodo oppure non è stato consultato (vero), ma pure chi resta scettico perché sa che anche il Sinodo è un meccanismo comunque pilotato. Il problema finale è e sarà quello eterno ma necessario del potere: chi decide? Se sinodale significa discutere molto, discernere e lasciare la decisione finale al Papa (che può anche ribaltare tutto, come sull’Amazzonia…) o al vescovo (come quello di Lourdes, che su Rupnik ha deciso di non decidere), mi viene il dubbio che sia ancora meglio affidarsi al potere della maggioranza. Come sta facendo il sinodo tedesco

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma dove sono i Teologi? Che dovrebbero supportare nuove classi di diaconie femminili, maschili? Se ci sono per naturale diversita non si formeranno scuole di diversi intendimenti? . Una Chiesa che già risente di frantumazione in quanto del Maestro, esistono opere artistiche da ammirare come storia passata, ma quale la verità, la realtà vissuta trasmessa ai posteri? Già si avverte frantumato, dispersa la Parola, se poi non sarà più da quegli apostoli ma da molti interpreti, che si diranno Maestri da più del Maestro e Signore? Ma questa è la sola pietra cui interrogare che da risposta adeguata a ogni intelligenza, a ogni cultura, risponde a ogni domanda del cuore di ogni uomo!Essa, che ogni virgola scritta ha significato, questo è il miracolo Voluto, scelto da Cristo Parola . Da mangiare come pane di vita Così, da essere via per chi cerca verità e vita come la Sua. Manca il coraggio di pronunciarla come unica Verità al mondo!

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