La barca di Pietro e il mare della complessità

Se prendessimo sul serio la ricaduta pastorale dell'uso della categoria di complessità, molte questioni ecclesiali attuali potrebbero essere vissute con minor virulenza...
24 Giugno 2024

Per chi ha figli piccoli giugno è un mese di chiusure: scuole, attività sportive e musicali, corsi di catechismo… Di solito, è anche tempo di esami, partite finali, saggi e campi conclusivi. Per chi frequenta “cose di Chiesa”, giugno è inoltre un tempo di verifica dell’anno pastorale e, nelle grandi città, di riflessione e di prime progettazioni sull’anno che (dopo l’estate) verrà.

Quello che nel periodo post-pandemia mi sembra affermarsi come segno dei tempi è il fatto che anche a livello ecclesiale, oltre che sociale, il contesto di una grande città non può essere letto se non attraverso gli occhiali della «complessità» – come aveva riconosciuto lo stesso Papa Francesco nel discorso alla diocesi di Roma del 18 settembre 2021.

Possiamo usare lo schema classico dei tre munera (evangelizzazione, liturgia e carità), oppure quello dei cinque ambiti proposto dalla Chiesa italiana durante il decennio 2006-2015 (vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione, cittadinanza), o quello dei cinque temi emersi dal cammino sinodale italiano (missione, linguaggio e comunicazione, formazione, corresponsabilità, strutture); in ogni caso, ciò che traspare dagli ambienti più diversi di una grande città è una «permanente ambivalenza» (Evangelii gaudium 74), un intrigo difficilmente ri-solvibile di segni della grazia e doni dello Spirito con aspetti critici che dovrebbero comportare una conversione personale e strutturale.

Certo, qualcuno di più titolato del sottoscritto aveva già evidenziato il problema duemila anni fa, nella parabola del grano e della zizzania (Mt 13,24-30). A maggior ragione, tale autorevole testimonianza dovrebbe spingere le chiese locali che sono immerse in questa complessità, a non ricercare soluzioni pastorali unilaterali e di conseguenza semplificatorie (di uno «stile uniforme e rigido» parla Evangelii gaudium 75), bensì ad impegnarsi nel lavoro di immaginazione e costruzione di una Chiesa in grado di navigare nella complessità: una Chiesa unita ma non (in) uniforme, arricchita dalle differenze ma senza frammentarsi in esse, una Chiesa quindi – per usare le parole di Papa Francesco – sempre più «poliedrica» (Evangelii gaudium 236).

Se pensiamo, inoltre, che un certo spirito del mondo ci spinge oggi – in questo tempo di «terza guerra mondiale a pezzi» – verso il tipo di soluzione che rigettiamo, basterebbe anche solo indirizzarsi nella direzione auspicata per compiere una scelta che sarebbe al contempo profetica, nel senso richiesto dal cammino sinodale italiano. Una scelta che permetterebbe alle comunità ecclesiali cittadine, non dico di dare una risposta, ma almeno di cominciare a pensarla, rispetto a quelle che, non a caso, Evangelii gaudium (71-75) definisce le «sfide delle culture urbane».

Provando a seguire i cinque macro-temi proposti nella fase sapienziale del cammino sinodale italiano (missione, linguaggio e comunicazione, formazione, corresponsabilità, strutture), tali sfide – con le corrispondenti scelta da compiere – vorrei sintetizzarle nel seguente modo.

Missione e prossimità (vedi già qui): desideriamo una Chiesa non solo capace di aprirsi al territorio (Evangelii gaudium 72) per affiancare (piuttosto che accompagnare) tutte le persone sino a quelle più lontane e critiche, ma anche una Chiesa capace di non spegnere lo Spirito che soffia in esse, di non disprezzare le profezie provenienti da esse, di esaminare ogni cosa e trattenere ciò che di bello e buono vi è in esse (1Ts 5,19-21)? Desideriamo, quindi, una Chiesa non solo capace di fecondare, anche culturalmente, il mondo con i doni ricevuti dal Dio unitrino, ma anche disponibile a ricevere ed imparare da quel mondo nelle cui culture, a volte, bisogna solo scoprire (Evangelii gaudium 71, 73) che – e come – già opera lo stesso Dio trinitario (vedi anche qui)?

Linguaggio e comunicazione: desideriamo una Chiesa che in questa uscita (o estroversione) sia capace non solo di rendere ragione a chiunque la interroghi sulla speranza che è in essa, ma anche di farlo con quella «dolcezza e mitezza» (1 Pt 3,15) fondamentale in questi tempi di guerre combattute e di linguaggi di fede nuovamente armati? E con quella «retta coscienza» (1Pt 3,16) altrettanto fondamentale in anni di scandali economici e abusi di potere, certo non solo, ma purtroppo anche ecclesiali?

Formazione e educazione (vedi già qui): desideriamo una Chiesa che in questa uscita (o estroversione) missionaria, ad esempio verso i giovani o più in generale verso i cosiddetti discenti, sia capace di parlare e comunicare non solo a chi è già dentro (ad intra) e che sta chiedendo con insistenza una formazione spirituale, biblica, teologica e culturale adeguata alle sfide del tempo, ma anche a chi è – per i più svariati motivi – ancora «fuori del recinto» (ad extra) o appena sulla soglia, sulla frontiera? Desideriamo inoltre una Chiesa che, nel primo caso, solleciti e accolga, per quanto possibile, proposte (anche giovanili) di rinnovamento catechetico, liturgico e caritativo? E che, nel secondo caso, non pretenda di superare troppo velocemente la fase dell’ascolto (di sogni e bisogni) e dell’apprendimento (di linguaggi ed interessi) dell’altro?

Corresponsabilità: desideriamo una Chiesa che in questa uscita (o estroversione) missionaria e formativa sia capace non solo di (s)muoversi dal centro della gerarchia e degli uffici corrispondenti, ma anche di farlo attraverso gli organismi di partecipazione e la mediazione di quei battezzati (adulti e giovani) che sono già chiesa in uscita-estroversa-periferica e perciò (in quanto insegnanti, educatori, allenatori, maestri d’arte e di musica, operatori di volontariato, etc.), ricchi di sapienza comunicativa nell’arte di relazionarsi con coloro che si vorrebbe evangelizzare e/o formare?

Strutture: desideriamo una Chiesa che in questa uscita (o estroversione) missionaria e formativa, praticata con un linguaggio e una comunicazione rinnovati da una corresponsabilità adeguata almeno al segno dei tempi della complessità, sia capace non solo di rendere più snelli e missionari gli uffici utilizzati, ma anche di sollecitarli a lavorare tra di loro in modo decisamente più sinodale – almeno nei momenti di ricerca tra ambiti confinanti – e tale da farsi provocare maggiormente dalle figure di alterità che si incontrano nella vita quotidiana?

Così sintetizzate le «sfide urbane» che dovrebbero almeno essere tenute presenti nella progettazione dell’anno pastorale di una grande città, si deve anche notare che forse risulta provvidenziale la coincidenza dell’anno (pastorale) che verrà con un giubileo improntato alla speranza che non delude (Rm 5,5). In effetti, le cinque declinazione dell’attuale complessità ecclesiale potrebbero scoraggiare anche le migliori intenzioni pastorali, a causa dell’estrema difficoltà di districarne i nodi. Sostenuti, però, da una speranza più grande di noi, possiamo affidarci ad essa per cominciare a immaginare e costruire quella Chiesa poliedrica in grado di navigare nel mare della complessità. I piccoli pezzetti di questa barca che piano piano sapremo realizzare ed assemblare potranno essere quei «segni di speranza» che Papa Francesco ci invita a testimoniare nell’anno giubilare che sta avvenendo.

Una risposta a “La barca di Pietro e il mare della complessità”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Da comune fedele, a me sembrano tante le proposte ma se non si ha quel coraggio di riferirsi effettivamente al presente che si sta vivendo e con quella Parola che sa di Verità, rivolta alla umana intelligenza oggi cosi piena di messaggi, resa succube di un comune sentire, a essere illuminante nel discernere per fare buon uso del dono di libertà. Sta in quella Parola come vivere il presente e mirare a un futuro sensibilizzare e indirizzare a valori,uno spirito più umano,. Cristo si è manifestato in Essa a quel suo popolo, lo ha aperto a nuovi orizzonti. Nell’oggi vi è questa necessità, anche negli ospedali dove l’uomo si sente più solo e conta più della medicina una voce fraterna, così come nella vita di ogni persona ogni suo stato.a sollevare spiriti affranti da immeritate tribolazioni.. Lui ha dato ali di vita nuova con Essa e in essa insegnando e operando a essere conosciuto e creduto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)