Nella prima tappa di quello che potrebbe essere un ideale percorso volto a scoprire ed esplorare la teologia dell’incarnazione profonda (o deep incarnation) abbiamo provato a richiamare quelli che per certi versi sono i cardini portanti di questa attuale e (almeno in Italia) inedita sensibilità teologica. Nello specifico abbiamo messo in luce come a partire da una più ampia interpretazione del dettato giovanneo sia possibile ripensare la dinamica dell’incarnazione, ovvero del farsi “carne” del “Verbo” di Dio (cf. Gv 1,14), scoprendo così una profondità apparentemente nascosta. In Gesù di Nazaret, infatti, il Verbo non si “limita” ad assumere un corpo umano singolare bensì, proprio attraverso questo corpo, assume la “matrice creaturale” di tutto ciò che esiste, si coinvolge in quella fitta rete di legami (biologici, storici, culturali, familiari…) che è propria di ogni creatura. Il fatto, poi, che questo stesso Verbo sia colui nel quale tutto è stato creato e in cui tutto verrà ricapitolato alla fine dei tempi, non fa che confermare la profondità dell’evento dell’incarnazione, che così viene a collocarsi in un unico disegno salvifico d’amore.
Arrivati a questo punto, in questa seconda tappa vogliamo continuare a scavare in questa dinamica, indagando ulteriormente come questa profondità determini e sia a sua volta determinata dall’evento che più di ogni altro manifesta l’identità filiale di Gesù: la sua risurrezione, da intendere – come vedremo – insieme all’ascensione come un unico mistero di ritorno del Figlio al Padre.
Unitamente a questo primo aspetto, a entrare in gioco sarà anche il riflesso personale, esistenziale del percorso che stiamo intraprendendo. Proveremo quindi a domandarci: ma cosa significa tutto questo per la mia esistenza? Che portata può avere questo discorso (all’apparenza molto “teorico”) per il compimento della mia vita fede, per quella che in termini teologici definiremmo la mia “salvezza”?
Una tappa, dunque, impegnativa e che vuole toccarci da vicino, per dischiudere sempre nuovi orizzonti e nuove domande, per vivere a pieno, in profondità, il mistero cristiano.
1. Una duplice assunzione
Fino a questo momento la nostra riflessione sembra esserci concentrata su quello che potremmo definire l’aspetto storico, concreto dell’incarnazione, vale a dire la profondità inerente all’esistenza umana di Gesù assunta dal Verbo. Questo, a ben vedere, è un dato fondamentale. Non è un caso infatti che Niels Gregersen (come già visto, teologo danese iniziatore di questa teologia) abbia coniato l’espressione deep incarnation proprio interrogandosi sul senso della croce in un mondo in evoluzione. Cercando di rispondere o, forse meglio, di inquadrare la problematica del male nel mondo – non tanto il male morale quanto quello apparentemente naturale, “scontato” e quasi necessario per la dinamica evolutiva del mondo – il teologo danese sottolinea come proprio la croce ci permetta di dire che Dio, facendosi uomo in Gesù, ha assunto ogni aspetto, anche il più violento, il più tragico dell’esistenza creaturale. Gesù ha sopportato e vissuto in pienezza tanto il male frutto della libertà umana quanto il male legato alla dinamica evolutiva propria di questo mondo, che in lui stesso è stato creato, e proprio così ha redento l’uno e l’altro. È quindi necessario partire dall’esistenza di Gesù nella sua globalità e drammaticità per comprendere a pieno la portata della profondità dell’incarnazione.
Questo primo aspetto tuttavia non esaurisce il discorso attorno alla profondità dell’evento-Gesù. Lo stesso Gregersen, infatti, parla di una “duplice assunzione” (in inglese twofold assumption), volgendo questa volta lo sguardo a ciò che viene “dopo” la croce e “dopo” l’esistenza concreta di Gesù, vale a dire la risurrezione.
Il Risorto, infatti, porta con sé le tracce, i segni della propria storia vissuta e patita fino alla fine, ferite che non sanguinano più ma che sono ancora lì a testimoniare la storicità, la concretezza, la profondità del corpo incarnato. Ebbene, la risurrezione in questo senso è una “seconda assunzione”, in quanto quello stesso corpo, una prima volta creato e assunto dal Verbo, è ora nuovamente assunto in Dio, con tutta la sua profondità. Ciò vuol dire che il Risorto, il corpo risorto del Figlio, torna a Dio Padre nello Spirito portando con sé quella rete di legami che, come abbiamo visto, il Figlio stesso aveva già assunto una prima volta nel momento stesso in cui si è fatto “carne”. È questa carne, con tutta la sua profondità, che con la risurrezione e l’ascensione ora occupa il proprio posto in Dio, nello specifico il posto del Figlio.
Vediamo quindi come il legame tra Dio e il mondo creato raggiunga così una prossimità per certi versi impensabile. Siamo passati dal più semplice (quasi scontato) rapporto tra un Dio creatore e il mondo creato all’assunzione da parte del Figlio della carne del mondo, per arrivare adesso al culmine e al compimento di questo legame, laddove questa stessa carne è nuovamente assunta in Dio come carne del Figlio di fronte al Padre, nella comunione dello Spirito. Il posto del creato, dell’altro-da-Dio, in Dio è ormai custodito e garantito per sempre.
2. Una risurrezione profonda di salvezza, per tutti
A questo punto è facile intuire, ma insieme è necessario esplicitare, il senso e la portata che tutto questo ha per ciascuno di noi, anzi, per l’intera creazione. Abbiamo sottolineato come con la “prima” assunzione il Verbo si sia coinvolto a tal punto con la più profonda creaturalità del mondo da porsi in relazione con tutto ciò che esiste, proprio perché ogni creatura, in sé, è a sua volta connessa con tutto ciò che la circonda. È questo – sia detto per inciso – il cuore ecologico di questa teologia, la consapevolezza che ogni cosa nel creato è collegata con il contesto in cui vive e, addirittura, con tutto l’universo che esiste da sempre. Ritroviamo qui né più né meno quanto papa Francesco ha messo in luce parlando di “ecologia integrale”. Ebbene, questa interconnessione – propria di ogni creatura – è propria anche di Gesù, è stata assunta una “prima volta” dal Verbo ed è nuovamente assunta una “seconda volta” con la risurrezione. È questa interconnessione a risorgere e a tornare in Dio nel corpo del Risorto, occupando (come abbiamo detto) il posto del Figlio.
Ma cos’ha a che fare tutto questo con noi? In breve potremmo dire: dov’è “la carne del Figlio”, là sarà anche la nostra carne o, per dirla con un’espressione tratta dell’Antico Testamento, là sarà “ogni carne”. È questo il senso della risurrezione e la speranza nella quale siamo stati salvati (cf. Rm 8,24).
La gioia della Pasqua nasce dal fatto che il destino che si è compiuto per Gesù è ora aperto per tutta la creazione. In questo senso la teologa americana Elizabeth Johnson – una delle grandi voci femminili che si sono cimentate con l’incarnazione profonda – ha suggerito di parlare di deep resurrection, di “risurrezione profonda”. Nessuna creatura (umana o non umana), amata da Dio, verrà lasciata indietro o rigettata, ma sarà trasfigurata con un atto di risurrezione da parte dello Spirito Creatore.
È questa la portata salvifica e di compimento che ci dischiude la teologia dell’incarnazione profonda. Quella profondità inizialmente riconosciuta ex parte Dei, dalla parte di Dio – o per meglio dire del Verbo di Dio, che ha assunto la carne del mondo – con questo affondo nella risurrezione la possiamo riconoscere anche ex parte hominis, anzi, ex parte creaturae, dalla parte della creatura, in quanto apre un orizzonte di salvezza per tutto ciò che è creato. Un orizzonte capace di accogliere e di salvare non solo ciascuno di noi in quanto singoli individui, ma noi in connessione con tutto il mondo creato, come un’unica comunità ecologica. Ciò significa che la risurrezione e la salvezza non riguardano semplicemente il nostro corpo mortale bensì tutto il nostro “mondo”, il nostro essere tessuti di relazioni, intrecci di incontri e affetti con persone, animali, piante, creature. Tutto questo troverà posto in Dio è in lui raggiungerà il proprio compimento, custodito per sempre dall’amore infinito di colui che per primo, nel Figlio, ha voluto entrare a far parte e lasciarsi coinvolgere da questa nostra stessa storia creaturale.
Come non vedere la magia della Vita, quel Mistero per cui in un Seme è contenuto il frutto..Tutto il Creato parla del Seme del Padre in ogni cosa, come non vederlo?
Dio non è da un’altra parte, e certamente è anche nel nostro dolore, nel nostro male..non c’è Dio da una parte e il creato da un’altra ..se no Dio sarebbe un qualcosa di de-finito e circoscritto..
Forse l’unica frontiera, potremmo dire, peccato, è l’idea stessa della mente, che mente, di differenza e separazione, base di ogni egoi-ismo e desiderio di dominio individuale.
. . Chi pensa di fare per sé, si perde, perché nulla è, al di fuori di Dio..
Cosi io credo che non ci sia un prima e un dopo per Dio, ma per il Creato finito, che appunto, si dà nei limiti temporali e spaziali.
Allora, Gesù, per noi, rende visibile Dio in un momento della storia umana, ma l’incarnazione È, da sempre e per sempre.
Dio in noi, Tutto in Dio..
1) Gesù era anche ‘animale’.Se guardiamo tutti gli studi da 100 anni possiamo attribuire agli animali varie funzioni mentali tra cui anche qualche forma di pensiero… Ma non il libero arbitrio, la coscienza, le costruzioni mentali predittive & di fantasia.
2) UNIVERSO. Non è Dio. La Storia e gli avvenimenti non sono opera sua.
Qs mondo si basa su QUANTITA’, non su oo. Da q.tà-> piccolo/grande..bene/male.. fittest/emarginato…e RELAZIONI. Non è EDEN.
3) UOMO. La sua identità da EVO-DEVO e storia personale. No da imprinting iniziale.. anima o che sia. Solo potenzialità. Anche suicidarsi lui o come comunità.
4) Separo il discorso su Gesù da quello su Dio. Quale fine x Gesù? Non la natura, non gli animali ma solo il singolo uomo.la salvezza di ogni Persona. Hic et nunc, io, tu alla morte subito il giudizio senza aspettare un finale da spettacolo.senza alcun senso.
Incarnazione ma per Resurrezione. Storia umana e storia divina. Dio si è fatto carne, debole natura umana per dare inizio e insegnare come una vita umana possa accedere e si evolva in creata nuova dallo Spirito., Questo aiuto ci è reso possibile In Gesù Cristo, il quale e veramente per ogni uomo persona cui guardare come esempio di vita da seguire per riacquistare quel posto che nelle origini Dio ha riservato all’uomo Adam. Da Lui la parola amare implica anche accettare sacrificio perché così Egli si è manifestato al mondo, disposto a morire per portare ogni uomo a salvezza. La libertà umana ci consente di fare scelte e queste non sempre sono il vero bene per noi, è segno di amore grande da Dio Padre avere Gesù Cristo per Fratello, avendo esempio, aiuto coraggio di come Lui portare il ns.peso con umiltà, fidando nella sua Parola il coraggio a rialzarci ogni giorno con lo spirito di rinnovata speranza . Siamo fatti per vivere e questo è il vero grande dono!
Non sono un esperto e purtroppo non riesco a cogliere quale sia la novità di questo studio. Non è già quello che crede la Chiesa cattolica? Sapevo che con l’assunzione in anima e corpo di Gesù è l’intera umanità, cioè l’interezza dell’ “essere umani”, a venire assunta in Dio stesso. Dalla nostra prospettiva temporale la Trinità è cambiata dopo la vicenda terrena di Gesù. E che la salvezza sia anche universale, per tutta intera la creazione, lo specifica San Paolo in Rm 8,22. Evidentemente devo essermi perso in qualche passaggio, quale?