Cercare di presentare in poche battute e con un linguaggio semplice una recente sensibilità teologica non è certo un compito agevole. Il fatto, poi, che si cerchi di farlo scandendo diversi interventi tra loro distanti l’uno dall’altro, certo non facilita le cose. Cerchiamo quindi di mettere in luce due aspetti, di ripresa e di rilancio, che possano essere utili all’obiettivo che ci siamo posti con questa mini-serie sull’incarnazione profonda.
1. Una collana di perle
Innanzitutto, se ripercorriamo le tappe svolte finora, possiamo vedere che tra loro, com’è ovvio che sia, sono legate l’una all’altra. Nella loro singolarità, tuttavia, esse sono allo stesso tempo abbastanza autonome, proprio come una collana di perle. Ciò significa che ciascuna perla affronta un tema in sé e per sé ben identificabile e strutturato, anche se ovviamente presa da sola non ci permette di vedere il “tutto” dell’argomento. Nello specifico, per offrire un elemento di sintesi, la prima perla ha incentrato l’attenzione su cosa consista questa “profondità” dell’incarnazione, legata tanto al significato più ampio della “carne” di Gesù, quanto al fatto che a incarnarsi sia stato il Verbo creatore. La seconda perla, a sua volta, ha messo in luce la ricaduta salvifica di tutto il discorso, includendo così nell’orizzonte escatologico della risurrezione tutto il creato. Infine, l’ultima perla è servita per esplicitare il voluto rimando alla tradizione canonica e patristica che l’incarnazione profonda non solo non esclude ma, anzi, esplicitamente recupera e vuole rimettere doverosamente al centro.
Tre aspetti, quindi, che in maniera forse solo evocativa ma fedele cercano di offrire un primo profilo che vorrebbe quantomeno suscitare interesse e, potremmo dire, tendere la mano alla ricerca accademica, all’approfondimento personale o anche solo alla curiosità di quanti non si accontentano di ciò che già sanno ma desiderano ampliare o, meglio, approfondire la propria comprensione della fede. Abbiamo avuto modo più volte di ribadire, infatti, come ogni ricerca (almeno nelle intenzioni) dovrebbe sperare di poter essere alimento per la vita di fede di tutti, per evitare così di ridursi a mero “esercizio accademico” fine a se stesso.
2. Quale Gesù? Quale Dio?
Un secondo aspetto che vorremmo sottolineare, dopo questa veloce carrellata, è proprio l’argomento di questa quarta tappa che, oltre a “fare sintesi”, vuole provare a rispondere ad alcune domande che potrebbero sorgere arrivati a questo punto del cammino. In particolare potremmo chiederci: se Dio ha assunto tutto il creato, cosa resta di Gesù nell’incarnazione profonda? E ancora: ma chi è Dio per l’incarnazione profonda? Domande che cercano, come si suol dire, “il succo” del discorso, e che è bene affrontare prima di cadere in equivoci o lasciare in sospeso perplessità troppo rilevanti.
Cosa resta di Gesù?
Se è questa la prima domanda che vogliamo porci, la risposta è densa ma nella sua semplicità: la singolarità di Gesù è semplicemente al cuore di tutta questa riflessione. L’essere umano, storico, maschio di Nazaret è il Figlio di Dio incarnato. Questo è il punto di partenza pulsante del discorso, quello che i teologi dell’incarnazione profonda definiscono l’incarnazione “in senso stretto” e (aggiungo) definitivo. Abbiamo visto come il discorso, nelle intenzioni dei teologi e delle teologhe dell’incarnazione profonda, debba ampliarsi e approfondirsi, arrivando così a coinvolgere tutto il creato. Ciò però non significa perdere l’unicità di Gesù: questi, infatti, rimane l’autentico mediatore, il principium partecipationis, ovvero il fondamento, l’origine, il principio appunto per la partecipazione di tutto il creato alla divinità.
Certo, questa singolarità può risultare anche problematica. Roberto Beretta, assidua penna pungente di VinoNuovo, in un commento al primo articolo di questa mini-serie, afferma che è proprio questa singolarità che pretende di essere il Figlio di Dio a fare problema. Cito: “Molto più facile credere che Dio si sia incarnato nella creazione, secondo me”. In effetti questa è una possibilità, come sempre. Userei tuttavia un’immagine, che mi sembra adeguata, per provare a spiegare la prospettiva dell’incarnazione profonda. Immaginiamo il creato come una circonferenza e Dio come una retta. Affinché la retta possa dirsi parte della circonferenza o, al contrario, la circonferenza possa dirsi partecipe della retta, è necessario che almeno un punto tra le due sia in comune. Ebbene, questo punto è proprio Gesù, quell’unico punto in cui le due realtà si toccano, l’una diventa dell’altra, le due possono sentirsi parte l’una dell’altra, pur nella reciproca differenza.
È chiaro che l’immagine rende (bene o male) fino a un certo punto. L’idea però è che la singolarità di Gesù non sia esclusiva bensì inclusiva. Possiamo credere che l’alterità tra Dio e mondo è superata proprio perché c’è un punto in cui i due si incontrano realmente, storicamente e concretamente. Questo punto di ancoraggio, quindi, è insuperabile per l’incarnazione profonda, pena il rischio di cadere in un’interpretazione “sbiadita” dell’incarnazione e, alla fin fine, difficile da immaginare se non come mitologica.
Chi è Dio?
Questa è la seconda domanda spinosa. Stiamo parlando quindi di panteismo? Dio è semplicemente il creato? Le riflessioni fatte sulla singolarità di Gesù dovrebbero aver chiarito alcune di queste perplessità. Per rispondere in maniera più puntuale, tuttavia, lanciamo fin da subito un’espressione più “difficile” per poi esplicitarla meglio: pan-en-teismo kenotico. Tradotto in italiano: tutto (pan) è in Dio (en-theos), cosa ben diversa dall’affermare che tutto è Dio (panteismo). Il punto cruciale, tuttavia, è: come dev’essere compreso questo Dio?
Recuperiamo qui un aspetto che abbiamo già affrontato nella terza puntata a proposito della tradizione patristica. Cercando di superare la mentalità che potremmo definire “figlia di Calcedonia”, comprendere Dio non significa pensare a una sua definizione filosofica, servendosi delle classiche “onni-” categorie (onnipotente, onnisciente…); significa piuttosto ripartire dalla storia della salvezza. In questo senso, Gesù è la rivelazione di Dio; in lui Dio si è rivelato come amore che si svuota, che si dona fino alla fine. Il Crocifisso è rivelazione assoluta e insieme storica di Dio. La kenosi, lo svuotarsi di Dio è la sua vera natura. In questo senso parliamo di panenteismo kenotico. Tutto è in Dio ma in un Dio che è amore, donazione, affetto assoluto. In altre parole, Dio non entra in competizione con l’essere umano (più c’è Dio meno ci sono io) ma esattamente il contrario: la volontà di Dio è che io ci sia pienamente, quindi più c’è Dio più ci sono io. Come facciamo a dirlo? Partendo ancora una volta da Gesù, un essere umano, storico, concreto che nella sua vita ha rivelato in maniera definitiva chi è Dio. In lui (non a prescindere da lui!) anche ciascuno di noi può dire e rivelare chi è Dio.
È questa, alla fine, la grande conseguenza dell’incarnazione, forse la sua vera profondità: Dio è colui che vuole essere rivelato ogni volta di nuovo, con gesti e parole nuove (direbbe Dei Verbum), da coloro che si affidano a lui, perché hanno riconosciuto che Dio stesso si è rivelato così, in un uomo, in Gesù, il Figlio fatto carne.
Vediamo quindi come l’incarnazione profonda intende rimettere al centro, rielaborare e ripensare alcune categorie chiave della teologia, non scardinando quello che è il cuore del cristianesimo ma ridandogli spessore e concretezza, proprio perché già in sé, nell’evento-Gesù, rivela una profondità che chiede di essere riconosciuta, indagata e vissuta a pieno in quanto feconda per la vita di fede di ciascuna creatura.
Dio e colui che vuole essere rivelato ogni volta di nuovo!?Ma Dio non mi sembra abbia “voluto” questo da Gesù, ma essendo Dio e Padre era già dal Figlio conosciuto tanto che proprio per questa conoscenza il Figlio prova amore e ama in libertà fare la volontà del Padre. Sempre lo prega prima di ogni sua manifesta azione tra la gente; dimostra spontaneo desiderio di assecondare il progetto del Padre, portare a salvezza l’uomo anche a costo di sacrificio. Supporre di poter da umani sondare la natura di Dio, e solo il Figlio venuto da Lui che può conoscerlo, perché Gesù e’ di natura divina anche se incarnato. L’uomo al contrario e’ conoscendo Cristo che può cambiare proiettando di quella “luce, che è da amore in tutto quanto siamo capaci di realizzare, una vita in divenire eterna in quel regno che il Padre aveva posto in origine l’ uomo da Lui creato.
Aggiungere l’ aggettivo “profonda” al sostantivo incarnazione non ha alcun senso logico. Siamo nell’ assurdo.
Se nasce un bambino questa e’ una ” nascita” sarebbe assurdo definirla una “nascita profonda” ! L’ aggettivo profonda non aggiunge niente a realta’ come la nascita .
Un uomo muore. Che senso ha dire una morte ” profonda” ? Nessuno.
Si aggiungono a caso aggettivi a realta’ che non cambiano affatto dall’ aggettivo.
Si puo’ dire un mare profondo, oppure un burrone profondo. Ma nascita ,morte, incarnazione sono realta’ a cui l’ aggettivo” profondo” non aggiunge o toglie niente. Quindi tutto questo e’ assurdita’ logica.
Come disse il Papa: “Chi sono io per…”??
Nessuno. Ma “approfondire la propria comprensione della fede” ? Basta?
Premesso questo ecco il pretenzioso lancio:
Oggi molti “teologi” dovrebbero ripassare le costruzioni verbali identificando quelle sofistiche avulse da realtà&verità.
Imo nei vari pan-… Recenti abbondano.
Per esempio.
Dio ɜ Amore che si svuota… Quindi cosa resta in Lui? Niente?
OK intendete si toglie di mezzo dal mondo!
Ma chi e come? Cercatemi il pan-teista!
Poi, stessa frase, lo Stesso ” si dona fino alla fine”
A chi? Dove? Come?
Ma nn avevate detto che si era tolto di mezzo?
E mii fermo qui x nn essere murato dall’oversize.,🙃😁
Se c’è uno svuotarsi di Dio, ci deve essere anche un riempirsi.
Gesù è pieno di divinità, tanto da donarLa e riversarLa a Sua volta nel mondo.
Perché questa è la prassi di Dio.
Il riversarsi di Dio, come Azione/ Verbo, È.
Gesù “rivela” ciò che È.
L’incarnazione di Gesù, non smentisce l’atto creatore originario, ma lo esprime e manifesta pienamente in un momento della storia umana.
Unicità non significa però esclusività.
Gesù come precursore.
C’è però un tema che mi sta a cuore: le altre tradizioni che non attingono a Gesù, non si riempiono di Dio?
Certo, lo Spirito Santo, ha invaso il mondo attraverso Gesù, ci ha toccato.
Ma il Cristo si espande nel profondo della carne laddove questa si lasci nutrire e trasformare dallo Spirito di Dio, qualunque nome umano Gli si dia.
Allora, ancora una volta mi dico, Gesù è Via per arrivare al Cristo, che non può essere mai, in nessun modo, unica ed esclusiva.