Nel giorno in cui mi raggiunge la notizia della sua morte, desidero ricordare Gustavo Gutierrez con devozione e affetto.
Ho avuto con lui tre lunghe conversazioni, durate ciascuna molte ore, nel 2015, in occasione di un mio soggiorno di sei mesi negli USA, presso la Notre Dame University dove Gustavo era professore.
Di quelle lunghe conversazioni conservo un ricordo bellissimo e vivo. Percepivo di trovarmi di fronte a un vero credente, a un uomo profondo, ironico (che mi parlava del senso dell’umorismo come di un luogo teologico). Un uomo generoso, che mi aveva dedicato intere ore, mentre i suoi colleghi concedevano abitualmente appuntamenti di non più di 8 minuti. Un uomo libero, senza rancore, nonostante avesse potuto diventare professore soltanto all’età di 75 anni, al termine di un processo canonico nei suoi confronti durato vent’anni e conclusi – come amava raccontare – con un « lei è cattolico».
Durante quegli incontri sentivo di trovarmi davanti a un uomo vero: non un personaggio, come talvolta accade quando si ha a che fare col clero e con gli accademici. Gustavo Gutierrez era stato studente di medicina, poi prete, assistente per decenni degli studenti e dei laureati cattolici del suo Paese, per poi farsi domenicano per devozione verso i suoi maestri di teologia, e in particolare Chenu. Era un uomo che aveva vissuto e questo lo si percepiva chiaramente.
Vorrei in questa occasione richiamare soltanto alcuni punti della teologia della liberazione, a partire dal libro Teología de la liberacíon (1971), di cui egli stesso mi ha voluto regalare una copia, e dalla prefazione all’edizione del 1988 del libro, dal titolo “Mirar lejos” (guardare lontano). Teologia della liberazione è originariamente il titolo di una conferenza tenuta da Gutierrez a un incontro nazionale di laici, religiosi e preti nel ’68 a Lima e pubblicata nel 1969 a Montevideo, per iniziativa di Pax Romana.
La teologia della liberazione prende le mosse da un “hecho mayor”: l’irruzione dei poveri nella chiesa latinoamericana. Per la prima volta entravano sulla scena della storia coloro che ne erano da sempre stati assenti, iniziando così ad essere agenti del loro destino. Di qui la miopia di coloro che hanno interpretato la teologia della liberazione come una corrente teologica puramente intellettuale e non come un cammino di popolo. Fondamentali per lo sviluppo di questo cammino sarebbero state le conferenze dell’episcopato latinoamericano di Medellin (1968) e Puebla (1978), precedute da quella di Rio de Janeiro (1955) e a cui sarebbero seguite quelle di Santo Domingo (1992), Aparecida (2007).
L’opzione preferenziale per i poveri, centrale per la teologia della liberazione, è un principio dell’evangelizzazione stabilito a Puebla, laddove il termine « opzione » indica impegno e decisione e ha le sue origini in Giovanni XXIII, e in particolare nel RADIOMESSAGGIO A UN MESE DAL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II (11 settembre 1962): « In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri.»
Si tratta non di un ideale sociale, ma dell’opzione per il Dio del Regno che Gesù ci ha annunciato. Scriveva Gutierrez: «El motivo último del compromiso con los pobres y oprimidos no está en el análisis social que empleamos, en nuestra compasión humana o en la experiencia directa que podamos tener de la pobreza. Todas ellas son razones válidas que juegan sin duda un papel importante en nuestro compromiso, pero, en tanto que cristiano, éste se basa fundamentalmente en el Dios de nuestra fe. Es una opción teocéntrica y profética que hunde sus raíces en la gratuidad del amor de Dios, y es exigida por ella [La ragione ultima dell’impegno a favore dei poveri e degli oppressi non risiede nell’analisi sociale che utilizziamo, nella nostra compassione umana o nell’esperienza diretta che possiamo avere della povertà. Sono tutte ragioni valide che senza dubbio giocano un ruolo importante nel nostro impegno, ma questo, come cristiani, si basa fondamentalmente sul Dio della nostra fede. È un’opzione teocentrica e profetica che affonda le sue radici nella gratuità dell’amore di Dio, e da essa è esigente]».
Tra i frutti della teologia della liberazione Gutierrez annoverava il martirio di Oscar Romero: un martirio, mi ripeteva, che ha cambiato per sempre la teologia stessa del martirio. Non si è infatti semplicemente trattato di un martirio per la fede, ma per la carità e la giustizia. Ci si sbaglierebbe tuttavia se si ritenesse il discorso della teologia della liberazione come un discorso da anime belle. Scriveva Gutierrez: «No se trata de de idealizar la pobreza sino, por el contrario, de asumirla como lo que es: como un mal; para protestar contra ella y esforzarse por abolirla [Non si tratta di idealizzare la povertà ma, al contrario, di assumerla per quello che è: come un male; per protestare contro di essa e tentare di abolirla]. “La pobreza cristiana, expresión de amor, es solidaria con los pobres y es protesta contra la pobreza [La povertà cristiana, espressione dell’amore, è solidarietà con i poveri ed è una protesta contro la povertà]».
La natura della teologia della liberazione, amava ripetere Gutierrez, è di essere una lettera d’amore a Dio, alla chiesa e al popolo: «una carta de amor a Dios, a la Iglesia y al pueblo a los que pertenezco [una lettera d’amore a Dio, alla Chiesa e al popolo a cui appartengo]».
Il messaggio profetico della teologia della liberazione è così il messaggio stesso del Vangelo: la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo. Della diffusione di questo messaggio, da oggi siamo tutti un po’ più responsabili.
“Grande” uomo, immenso teologo, ma soprattutto una persona che sapeva “guardare lontano”.
Onore e Grazie infinite alla Editrice Queriniana che ha fatto conoscere le sue opere letterarie in Italia
Proprio così : del messaggio evangelico siamo tutti responsabili di esserne portatori proprio nel rispetto a riconoscere fattivamente che in esso c’è Verità. Oggi la guerra, guerre, le sentiamo, le udiamo vicine, i bombardamenti, il trasmigrare di superstiti, i morti! appaiono teletrasmessi ai ns occhi!, come restare insensibili, come non fare solidarietà da cristiani a dare spessore alla voce dei Pastori di oggi è del Passato. “Non più la guerra”, Non uccidere” di Giovanni Paolo II che l’aveva esperimentata! Come salvare quella Pace coltivata a fatica per anni se non pretendendo che si arrivi in altro modo, più degno a dimostrarsi veri uomini facendo uso di intelligenza e matura civiltà?come abiurare una fede che predica Pace, rispetto vicendevole, amore in primis e il coraggio di promuovere vita tra esseri umani e nel creato? Forse che non stiamo subendo danni ingenti da un disordine climatico ad accrescere malattie nuove e povertà anche a causa di guerre?