Qualche anno fa mi è stato chiesto un incontro di formazione per le coppie guida della pastorale famigliare di una diocesi. Proposi un gioco in cui le coppie erano chiamate ad evidenziare lo specifico di varie relazioni di amore (ad es: madre-figlio; prete-comunità; marito-moglie; amico-amica), attraverso una strategia che non mostrava in modo immediato l’obiettivo.
Il risultato fu molto interessante. Su sei coppie chiamate a realizzare il gioco, solo una riconobbe nell’amore sessuale lo specifico della relazione marito-moglie. E forse, anche tra i lettori di questo post immagino che il dubbio su questa risposta non sia piccolo. Ma in realtà la Chiesa ha sempre riservato l’attività sessuale solo a questo tipo di relazione. Perciò è davvero difficile negare che questo sia l’aspetto specifico che distingue la sponsalità da ogni altro tipo di relazione.
Al di là del valore puramente simbolico del risultato del gioco, è difficile negare che ancora oggi la Chiesa abbia un rapporto difficile con la sessualità. E temo che una delle cause più profonde della difficoltà di rendere efficaci le proposte di pastorale famigliare derivi proprio da questo difficile rapporto tra fede e sesso. Non è un caso che questa sia, di gran lunga, l’area esistenziale con il maggior “scarto” tra le indicazioni etiche del magistero e il comportamento effettivo dei fedeli.
Temo perciò che dovemmo ripartire da qui, dal domandarci se davvero questo “scarto” derivi solo da una mancanza di fede e di coerenza dei fedeli, o se dipenda anche da un approccio magisteriale ed ecclesiale al sesso che, nella maggioranza dei casi, non ne sa indicare a sufficienza la bellezza e il valore in relazione alla vita di fede.
Conosco un diacono permanete che gestisce quattro parrocchie della “bassa” Romagna, zona in cui fino a 20 anni fa i partiti di sinistra prendevano non meno del 75% dei voti alle elezioni. Quando è arrivato ha speso 3 anni a conoscere, sul piano umano, le persone delle sue parrocchie, senza proporre alcuna attività pastorale specifica, ma limitandosi a tessere “relazioni”. Mi ha confidato che, dopo un primo periodo in cui ha dovuto guadagnarsi la fiducia, le persone con cui era entrato in confidenza avevano sempre tre temi principali che li preoccupavano: il lavoro e la conseguente stabilità economica loro e delle famiglie; la salute, con lo strascico di sofferenze che si porta dietro se non c’è; l’amore, con l’enorme difficoltà di saper gestire le relazioni che danno senso alla loro vita.
Bene, sul terzo tema, il 90% dei problemi coinvolgeva sempre la sfera sessuale. “Ma sai – mi diceva – ‘sta gente non sa più fare l’amore, conoscono una sessualità così asfittica e povera che mi si stringe il cuore. (Lui è sposato!) Ho scoperto che spesso il tradimento sessuale serve a mantenere in piedi un matrimonio faticoso, più che a romperlo. Forse davvero toccherebbe a noi cattolici mostrargli la felicità e la bellezza del sesso. Ma pure noi non è che stiamo messi bene.”
Ecco, credo che un punto di ripartenza possibile sarebbe proprio questo. Provare a tessere sul piano umano, relazioni belle e sincere con le persone, senza alcun fine né pastorale, né di conversione, e a partire dai problemi reali che le persone vivono, provare a sostenere il loro percorso personale nella direzione di un maggiore avvicinamento alla verità dell’amore di cui noi siamo testimoni. Quasi immediatamente saremmo messi davanti al tema della bellezza e del valore del sesso e alla necessità di cominciare a evangelizzare a partire da lì.
Allora però, gli schemi pastorali spesso dovrebbero saltare. Non è più pensabile proporre percorsi precodificati, uguali per tutti, di “tot” incontri, e finalizzati direttamente al matrimonio, in cui la sessualità è mostrata (quando va bene) solo come strumento di comunicazione tra i coniugi. Questa modalità oggi ha davvero poche possibilità di essere efficace. C’è bisogno, invece, di prendere in carico la coppia, fin da quando ancora non sta per nulla pensando al matrimonio (ci manca terribilmente una pastorale degli innamorati!) e provare ad accompagnarla con tempi e modi che non possono essere preventivati in anticipo. E c’è bisogno di cominciare a raccontare loro che il sesso è il luogo della presenza di Dio tra di loro, in cui Lui li chiama ad imparare ad amare. Perciò, come prima operazione pastorale, più che provare a regolare il sesso, sarebbe necessario riconnetterlo alla vita di fede, attraverso il riconoscimento del significato teologico della sessualità.
Lo so, forse un sogno. Ma c’è già chi si sta muovendo su questi sentieri.