Imparare dal dono autorevole della differenza – “in primis” femminile…

Nell’"Instrumentum laboris" per il Sinodo 2024 si può trovare ancora qualche gradevole sorpresa, al netto delle prevedibili e annunciate delusioni
24 Luglio 2024

Una doppia citazione del profeta Isaia (25,6-9) apre e chiude l’Instrumentum laboris, “Come essere Chiesa sinodale missionaria”, predisposto per la seconda sessione (ottobre 2024) della XVI^ Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi.  Siamo dunque legittimati dal testo stesso ad interrogarlo domandandoci: dove sono in esso quei «cibi succulenti» e quei «vini raffinati», preparati per «tutti», di cui la Chiesa dovrebbe essere mediatrice? Dove sono in esso i segni del «rinnovamento», della «riforma» e della «conversione» continuamente evocati? In definitiva, dove sono nell’Instrumentum laboris queste buone e salutari notizie per cui rallegrarci e gioire?

Di certo, invece, sappiamo che alcune vivande e bevande (povertà, digitale, ecumenismo, controversie dottrinali/pastorali/etiche, seminari, ministri, vescovi, curiali) non faranno parte del menù prima della stagione estiva 2025, anche se forse una degustazione di esse potremo saggiarla già nell’autunno 2024. Verso tale scelta dell’oste, uno degli avventori più avveduti ha già avanzato (qui) le sue (condivise e condivisibili) rimostranze. Anche se una premessa fatta da uno degli osti – ad oggi poco notata – sembra offrire un’altra interpretazione, decisamente più positiva, della mancanza di tali «questioni su cui l’Assemblea sinodale ha già raggiunto un consenso significativo e che, pertanto, sono parse sufficientemente mature da poter passare alla fase dell’elaborazione di proposte concrete di riforma da sottoporre al Santo Padre» (card. Grech). Per quanto mi riguarda, vorrei solo verificare se ci troviamo di fronte al menù di una di quelle trattorie che prevedono pochi piatti e ancora meno vini – come ha evidenziato qui un altro noto avventore (con un giudizio forse troppo genericamente negativo) – ma almeno gustosi e sinceri: trattorie da cui non ci si aspetta molto, ma quel poco che offrono non delude e rallegra sempre.

Da questo punto di vista, alcune portate sempre gradite sono state mantenute, anche se con un diverso impiattamento (cambio di cui sarebbe stato – o sarà – interessante leggere le motivazioni). L’ascolto, il dialogo, il discernimento comunitario e le decisioni (il più possibile) condivise si consolidano come piatti forti del menù. Presentati, però, non più nelle vesti della comunione, missione e partecipazione, bensì in quelle delle relazioni, dei percorsi e dei luoghi/contesti.

Il punto problematico consiste, forse, nell’intenzione dichiarata di volere «andare oltre» questi piatti (ormai) tradizionali, di passare finalmente al come «essere chiesa sinodale in missione», dopo aver chiarito – nella prima sessione (2023) – il cosa «dici di te stessa, Chiesa sinodale». Perché, se il cosa non fosse stato effettivamente chiarito, ossia se esso – con le parole di Lévinas – si rivelasse essere ancora il medesimo (“blocco” – chioserebbe a ragione il primo avventore), è evidente che sarebbe vano sperare che il come possa essere quell’altro (che “sblocca” – aggiungerebbe sempre il nostro avventore) su cui focalizzarsi per concretizzare il tipo di Chiesa evocato dalla citazione di Isaia.

Dobbiamo riconoscere che il diverso impiattamento non permette di dare una risposta certa, soprattutto riguardo l’intenzione dell’oste sottesa al menù proposto. Se però, alla luce del magistero di Papa Francesco e dei vari testi (documenti, sintesi, ecc.) emersi dal cammino sinodale, ci concentriamo sugli aspetti che ritengo essenziali per la (ri)costruzione del tipo di Chiesa evocata, allora sarà possibile cogliere in certi passaggi del nuovo Instrumentum laboris gli snodi fondamentali relativi al cosa deve essere una Chiesa veramente sinodale – pur non ritrovandoli laddove ci potremmo aspettare (a causa del diverso impiattamento) e, comunque, non adeguatamente messi in risalto.

Avevo cominciato ad evidenziare questi aspetti soprattutto nelle schede di lavoro allegate all’Instrumentum laboris per la prima sessione (2023). Meditando su comunione e missione, insistevo sull’importanza di chiarire se una delle caratteristiche fondamentali della Chiesa sinodale fosse quella di (tornare ad) imparare dall’a/Altro, di essere (anche) ecclesia discens oltre – e forse prima – che ecclesia docens: una Chiesa che non si limita a (ri)donare agli altri i doni ricevuti dal Dio trinitario, ma che (ri)cerca, coglie o riceve i doni dello Spirito (anche) da quegli altri in cui, misteriosamente, già opera l’Altro; una Chiesa che, proprio per questo, non ha alcuna paura a con-dividere il potere e l’autorità quantomeno con i mediatori di tali altri, ossia con coloro che – come scrivevo – non corrispondono a dei “riservisti” della missione, ma sono un vero e proprio lembo del mantello della Chiesa missionaria.

Nel capitolo II, dedicato ai percorsi delle relazioni, troviamo un esplicito riferimento allo snodo che lo scorso anno rientrava nel 1° punto della comunione. A prescindere da tale (forse non fondamentale) differenza, è importante che in qualche modo venga ribadito come la Chiesa sinodale sia una Chiesa che, data la «complessità» del mondo attuale e il rapporto tra popolo di Dio, Spirito Santo e verità (Gv 10,10; 16,13; DV 8; LG 12), sa «apprendere» e «imparare» le «novità» di Dio da qualsivoglia manifestazione di alterità – proveniente da persone (soprattutto «ai margini»), avvenimenti e cosmo (GS 11; 16) – nella consapevolezza che grazie a tale esperienza essa potrà crescere nel «desiderio dell’altro».

Nel capitolo I, dedicato alle relazioni, troviamo un esplicito riferimento allo snodo che lo scorso anno rientrava nel 2° punto della missione. Anche qui, a prescindere da tale (forse non fondamentale) differenza, è importante che in qualche modo venga ribadito come la Chiesa sinodale sia una Chiesa che, consapevole di una certa «debolezza nella reciprocità» (soprattutto ministeriale) ma anche dell’opera creativa dello Spirito accanto a quella del Figlio (AG 2; UR 22), vuole vivere sempre di più secondo un «reciproco scambio di doni (…) spirituali, liturgici, teologici e (…) sociali». Questi doni dello Spirito, poi, si «ricevono e danno», secondo una «reciproca» e «mutua interdipendenza», non solo «con le altre Chiese cattoliche» (LG 13), ma anche con quelle non cattoliche (UUS 28) e con le altre religioni e culture (LG 9), proprio perché «nessuno è autosufficiente».

Solo nel capitolo III, dedicato ai luoghi/contesti (dei percorsi) delle relazioni, troviamo un esplicito riferimento allo snodo che anche lo scorso anno avevo fatto rientrare nel 3° punto della partecipazione. In ogni caso, anche qui è importante che in qualche modo venga ribadito come la Chiesa sinodale sia una Chiesa che, dato il «pluralismo delle culture» e le «differenze di ritmo» interni ad essa, può veramente parlare di «reti» o di «trama reticolare» come causa di «mutuo arricchimento» e di “fecondità” solo nel momento in cui fa partecipare agli organismi in cui circola il potere coloro che costituiscono il lembo del mantello della Chiesa missionaria.

In conclusione di questo primo commento all’Instrumentum laboris, nei limiti di quanto dichiarato in apertura a proposito delle portate (per ora) escluse, possiamo dire che il menù offerto per l’autunno 2024 dalla trattoria sinodale contiene il cosiddetto “minimo sindacale”, nonostante esso sia un po’ ridotto e nonostante un impiattamento che io avrei composto secondo modalità e accenti diversi, oltre che più chiari nelle intenzioni e nelle finalità. Un minimum, però, fondamentale anche in vista di alcune delle questioni (per ora) escluse.

Prendiamo ad esempio quella del diaconato femminile. Ferme restando le giuste e condivisibili rimostranze di cui sopra, dalle mie esperienze ecclesiali mi è sempre sembrato emergere che una delle difficoltà maschili nei confronti del mondo femminile consista prima di tutto nel convincersi che: 1) dalle donne si possa e si debba imparare; 2) delle donne si possa e si debba accogliere come dono autorevole la «differenza»; 3) con le donne, per tutto ciò, si possa e si debba condividere «il potere (decisionale)» e «l’autorità». È vero che il riconoscimento dell’ordine del diaconato femminile, come per ogni legittimazione giuridica, aiuterebbe gli uomini a convincersi di quanto indicato. È altrettanto vero che nel menù dell’Instrumentum laboris è presente quel presupposto minimo – imparare dal dono autorevole degli altri che limita il nostro potere e autorità – necessario per spingerci ancora una volta a non abbandonare la trattoria sinodale, ma a frequentarla per pungolarla a dare sempre il meglio di sé. A partire dalla reciprocità di genere…

2 risposte a “Imparare dal dono autorevole della differenza – “in primis” femminile…”

  1. Sergio Ventura ha detto:

    Grazie Federica Spinozzi per il riscontro positivo!
    Concordo con quanto affermi. E la riforma dei seminari è ormai matura…

  2. Federica Spinozzi ha detto:

    Grazie per questa preziosa riflessione! La questione femminile nella Chiesa e la grave piaga degli abusi sono i due punti centrali, le due lempade tenute sotto il moggio… Nulla cambierà finché non si avrà il coraggio di affrontarli seriamente, insieme, donne e uomini. Ma se le decisioni dovranno essere prese da uomini privati sin giovani, in tutto, dal confronto con donne, quale futuro ecclesiale e sociale ci attende?

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