Immagini di sinodalità – 1

Sulla scia delle immagini paoline che vogliono rappresentare la realtà ecclesiale dell'epoca, quali immagini altrettanto adeguate potremmo usare oggi?
20 Maggio 2022

La recente ricerca teologico-biblica afferma che la predicazione in parabole (dunque, per immagini) di Gesù costituisce il cuore dell’annuncio del regno di Dio, vedendo in questi racconti non tanto un esperiente letterario per comunicare un messaggio altrimenti troppo “difficile”, quanto la rivelazione del carattere di novità e di sorpresa che il Vangelo dischiude, irriducibile a un concetto o a una “spiegazione” didattica. Se questo è vero e se è vero che la chiesa, come afferma il concilio Vaticano II, di questo Regno «costituisce in terra il germe e l’inizio» (LG 5), non sarà fuori luogo un intervento che abbia la pretesa di dire qualcosa dell’odierna realtà ecclesiale proprio servendosi di immagini e racconti, piuttosto che di articolate argomentazioni teologiche.

Rileggendo i capitoli 12–14 della Prima lettera ai Corinzi, notiamo con curiosità proprio il susseguirsi di una serie di immagini o, per così dire, di discorsi evocativi a carattere ecclesiale, comunitario, che cercano così di descrivere concretamente il vivere di una comunità cristiana. L’aspetto curioso, nello specifico, è la presenza di un fil rouge, di un tratto comune a questi discorsi, che possiamo sintetizzare come il costante ricorrere di una «relazione di uno a molti».

In primo luogo, ritroviamo un discorso riguardante la relazione tra lo Spirito e i carismi: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1 Cor 12,4-6). Il pensiero paolino prosegue su questa linea “oppositiva” («ci sono… ma uno…»), che in questo caso assume un tratto di “provenienza”: la molteplicità dei doni trova la propria origine nell’unicità del donatore.

Per esplicitare meglio il discorso, al v. 12 s’introduce la metafora del corpo e delle membra. L’accento, in questo caso, si sposta leggermente, nel senso che non ritroviamo un unico soggetto che dona una molteplicità di doni, bensì si sottolinea una poliedrica collaborazione nell’unico corpo. Alla dinamica “di provenienza” se ne sostituisce una “collaborativa”.

Con il capitolo 13 fa il suo ingresso nel testo epistolare il cosiddetto «inno alla carità», ma anche stavolta possiamo riconoscere la medesima dinamica: la carità è «l’uno» cui ogni altro valore si riferisce: «Se parlassi le lingue… ma non avessi la carità…; se avessi il dono della profezia… ma non avessi la carità…» (13,1-2ss.). Alla carità, quindi, si sottopongono anche tutti i doni e i carismi visti in precedenza; essa è il carisma più grande, ciò che rimarrà per sempre.

Infine (14,1-40) abbiamo l’ultimo discorso, vale a dire la condivisione dei doni di ciascuno per il bene della comunità. In questo caso, il rapporto è istruito tra «l’uno» della comunità e «i molti» dei singoli doni (giungendo infine a un confronto, forse per necessità contingenti legate alla comunità di Corinto, tra il dono delle lingue e quello della profezia). La conclusione è comunque univoca: tutto dev’essere fatto per l’edificazione della comunità, nel suo essere-ad intra, nei confronti dei credenti, e nel suo essere-ad extra, per coloro che non credono.

Ebbene, a che pro interessarsi di questa dinamica paolina? È ormai noto ai più, per lo meno a coloro che sono “dentro alle questioni di chiesa”, il particolare percorso inaugurato da papa Francesco per cercare di rimettere in movimento una chiesa che per certi versi sembrava ormai paralizzata. Proviamo anche in questo caso a utilizzare un’immagine che forse può aiutarci a rendere bene l’idea di questo cambiamento tanto desiderato dal vescovo di Roma. Potremmo dire che la chiesa è un’automobile in panne, ferma sul ciglio della strada della storia, e colui che (da secoli) si era messo al volante, è da un po’ che guarda sconsolato (e invero un po’ infastidito) il motore nel cofano, senza sapere in realtà cosa cercare e cosa aggiustare (per non parlare di “come” farlo). Nel frattempo, altre autovetture continuano a passargli di fianco e, senza farci caso, lo sorpassano. A un certo punto, ecco che qualcuno si ferma e, letteralmente mosso a compassione (cf. Lc 10,33), decide di soccorrere l’automobilista impacciato e, con un’occhiata, capisce che il problema è la batteria: bisogna spingere la vettura per farla ripartire. Ecco che si apre uno spiraglio per riprendere la marcia: non serve a niente guardare sconsolati un motore che non gira; bisogna cercare qualcuno disposto a spingere, perché da soli non si è sufficienti. È questa, con i dovuti accorgimenti, ciò che s’intende quando si parla di sinodalità.

La chiesa è ferma. Coloro che per secoli ne hanno tenuto il timone (la cosiddetta “gerarchia”), non sanno più come mandarla avanti, sono “in panne” e tutto ciò che sanno fare è “improvvisarsi meccanici”, ben sapendo (forse) che in realtà stanno solo perdendo tempo. Nel frattempo, sulle strade della storia, gli altri continuano il proprio percorso (la società, la politica, l’economia, la cultura…) incrementando sempre più la distanza da chi, invece, continua a rimanere fermo. Ci vorrebbe un miracolo… o semplicemente uno sguardo più competente, capace di guardare la stessa cosa ma da un punto di vista diverso o, per certi versi, più esperto. Lo sguardo, ad esempio, di Papa Francesco. Questa chiesa ha finito le energie, non ha più “spinta”: metafore diverse per racchiudere diverse esperienze che ben conosciamo: disaffezione dei credenti, specialmente dei più giovani, nei confronti dell’istituzione ecclesiale; calo delle vocazioni; scarsa partecipazione alle celebrazioni eucaristiche e più in generale ai sacramenti; perdita di credibilità della predicazione ecclesiale sulla scena pubblica…

La lista, purtroppo, potrebbe continuare. Che fare allora? «Tutto ha il suo momento», ci dice Qoèlet. Quello per rispondere a questa domanda, lo troveremo a breve in una seconda riflessione.

 

4 risposte a “Immagini di sinodalità – 1”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma per quale vita, e a cosa è servito vivere per chi non è stato raggiunto da soddisfazioni,?per tutte quelle genti nel mondo che sono rimasti nella povertà emarginati da prepotenti, sfruttati, la loro dignità offesa, fatti sentire esseri inutili, non avere voce, uomini che non contano. Ma è per loro che un Dio si è fatto uomo, perché nel mondo fossero presenti anche i forti, quei coraggiosi che sfidano i poteri e i potenti, si fanno paladini di Verità, Giustizia e Pace. la vera Libertà in cui ogni uomo ha diritto,vivere, non solo per quella temporale ma in vista di una eterna. La Chiesa di Cristo ha dunque questa missione, essere luce, infondere coraggio, che sa parlare al Prepotente in nome della Verità,, si fa Pastore di saggezza, Indica che Carità e’ Amore e’ acqua viva, Cristo che vive fa risorgere a vita nuova tutti coloro che ascoltano e accolgono la Sua Parola.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    ….perché da soli non si è autosufficienti. Vero, è infatti la Chiesa ha chi la spinge, lo Spirito Santo, e non si può dubitare che non sia così in quanto è Gesù Cristo il suo fondatore, il Figlio di Dio che non è morto per niente ma è garante presso il Padre del gregge a Lui affidato. Quali i segni di Chiesa viva: la successione nei “ruoli direttivi” di uomini che esaltano la Carità, che supera In grandezza Fede e Speranza, o come a me sembra, le assomma in sé medesima. E’ Carità di Dio la presenza della Chiesa, nei suoi Discepoli, anche se esiguo il numero nel mondo, ma sempre lievito a fermentare nel potenziale umano, essere germoglio nuovo nei momenti difficili come questo che stiamo vivendo. Uomini con il carisma della Carità che non è solo il procurare cibo materiale, ma anche a dimostrano avere il il coraggio di reintrodurre sempre e di nuovo quello spirituale del quale sembra la società di oggi poter fare a meno, resa persuasa da un benestare di vita.

  3. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Se rimaniamo nella immagine della Chiesa come auto in panne direi che quello che manca e’ la benzina ,cioe’ l’ energia che fa andare il veicolo . I conduttori dell’ auto nel corso dei ultimi decenni hanno pensato di poter fare tutto da se’ , grazie ad un efficentismo umano, troppo umano, Chiesa-auto in panne si e’ fermata quando e’ venuta meno la benzina quando si e’ dimenticato che bisogna bruciare energia per andare , pensando che bastasse rimodernare il design esterno della carrozzeria, rendere il modello più moderno e piacevole per la gente della nostra epoca. La benzina per la Chiede e’ la fede in Dio e l’ amore ,bisogna averne per rimetterla in moto

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Isti su RaiTre Ezio Bosso ripeteva:
    Musica e’ solo INSIEME! E aggiungeva:
    È TRASCENDENZA…

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