Il vicariato sinodale di Roma: per una Chiesa gentile “come” Dio

Papa Francesco impegna la sua diocesi ad essere più sinodale, più dialogante e perciò più gentile. Ce la faremo?
10 Gennaio 2023

Che a Roma bollisse qualcosa in pentola lo si era capito dall’omelia di Francesco durante i vespri e il Te Deum del 31 dicembre, subito “travolta” dalla notizia della morte di Benedetto XVI. Proponendo «la gentilezza» come «via… modo… stile… “metodo” di Dio» (prima ancora che «virtù personale e civica»), Papa Francesco aveva voluto precisare di star «pensando in particolare alla nostra diocesi di Roma». Innanzitutto, dunque, non alla città di Roma (a cui si era riferito nel finale dell’omelia), ma proprio alla diocesi, alla Chiesa locale che è in Roma. Anche perché non era giunta «notizia» di particolari «scontri e conflitti» nella comunità civile, a differenza di quanto alcuni media (a torto?) stavano riportando della comunità ecclesiale.

Non a caso, il vescovo di Roma aveva subito precisato che «la gentilezza è un fattore importante della cultura del dialogo, e il dialogo è indispensabile per vivere in pace, per vivere da fratelli, che non sempre vanno d’accordo – è normale – ma che però si parlano, si ascoltano e cercano di comprendersi e di venirsi incontro», con «un atteggiamento benevolo, che sostiene e conforta gli altri evitando ogni asprezza e durezza (…) facendo attenzione a non ferire con le parole o con i gesti; cercando di alleggerire i pesi altrui, di incoraggiare, di confortare, di consolare; senza mai umiliare, mortificare o disprezzare (cfr Fratelli tutti, 223)» o trattare «gli altri (…) come ostacoli alla nostra tranquillità, alla nostra comodità», come coloro che «ci “scomodano”, ci disturbano, ci tolgono tempo e risorse».

Emergeva quindi in modo evidente una forte preoccupazione di Papa Francesco per l’unità della famiglia romana, innanzitutto ecclesiale. Nessuno però si aspettava, nel giorno immediatamente successivo al funerale di Benedetto XVI, la promulgazione della Costituzione Apostolica “In ecclesiarum communione” che riordina il vicariato di Roma a partire dal 31 gennaio 2023, abrogando la costituzione “Ecclesia in urbe” (1998) di Giovanni Paolo II. Qualcuno, notando la coincidenza con il giorno dell’Epifania, ha detto che la Befana ha portato del carbone alla diocesi di Roma. Altri hanno colto l’occasione per parlare di commissariamento della diocesi stessa o di provvedimenti ad excludendum indirizzati a specifiche persone. Uscendo, però, dalle logiche divisive dei media o del pettegolezzo, vorrei provare a segnalare quelli che, secondo me, sono invece dei veri e propri doni portati dai magi. Qui vorrei mostrare il primo e, dal mio punto di vista, il più importante per gli effetti cui potrebbe dare origine.

Come di recente anche Bruno Forte ha ricordato, la sinodalità è indissolubilmente legata al dialogo, creando entrambi le condizioni per una Chiesa più gentile alla luce della “gentilezza” di Dio. Perciò la costituzione apostolica offre un contributo importante alla costruzione di questa Chiesa gentile, in quanto vuole un deciso rafforzamento dello «stile sinodale» nell’ordinamento del vicariato di Roma (Titolo I, art.1).

Papa Francesco chiede esplicitamente che il vicariato di Roma sia «luogo esemplare di (…) dialogo» (Proemio, §15) e di «promozione di uno stile sinodale e di pratiche sinodali, così da favorire l’ascolto, la partecipazione, la corresponsabilità e la missione di tutti i battezzati» (Ibid., §14). Allo stesso modo sta chiedendo a tutta la Chiesa, ad ogni Chiesa, «una più viva consapevolezza della sua dimensione costitutivamente sinodale», motivo per cui «vanno sostenute e promosse, in sinergia, la collegialità episcopale e l’attiva partecipazione del popolo dei battezzati» (Ibid., §2).

Sulla collegialità episcopale torneremo in un successivo articolo. Circa la partecipazione attiva e la corresponsabilità del popolo di Dio, viene in premessa affermato che «è necessario valorizzare la comune dignità battesimale, anche tramite istituzioni, strutture e organismi rinnovati», i quali siano «uno spazio aperto a tutti, dove ciascuno trovi posto, abbia la possibilità di prendere la parola, sentendosi ascoltato e imparando ad ascoltare», affinché, «scrutando i segni dei tempi, il discernimento spirituale permetterà di riconoscere nuove esigenze e di favorire più larghe e inclusive soggettività pastorali» (Proemio, §6).

Gli «organi sinodali» già esistenti e reindirizzati anche a tali fini “pneumato-euristici” sono «il Consiglio Pastorale Diocesano, il Collegio dei Consultori, il Consiglio dei Prefetti e il Consiglio Presbiterale», alle cui riunioni partecipano il Cardinale Vicario (che le presiede), il Vicegerente e i Vescovi Ausiliari, i quali possono consultarli in qualità di Consiglio Episcopale (Titolo III, art.22). Gli stessi Uffici della Curia dovranno favorire (Titolo I, art.2), coordinandosi tra di loro, «un’effettiva sinodalità» (Ibid., art.4; cfr. anche art. 5 e Titolo IV, art. 26) per come viene descritta nel Proemio (§§2; 6; 14; 15).

Ma la vera novità in tal senso – e poco notata sinora – è rappresentata dall’articolo 24 (Titolo III). All’inizio del processo sinodale il vaticanista Luigi Accattoli aveva puntualmente elaborato una proposta relativa al punto in questione: «le parrocchie romane dovrebbero anche ricordare alle autorità del vicariato che l’ultimo Sinodo diocesano aveva stabilito l’obbligatorietà della costituzione, in ogni parrocchia, del consiglio pastorale. Nel rapporto di sintesi si dovrebbe dire qualcosa di simile: “Nella nostra parrocchia non abbiamo ancora il consiglio pastorale, che era stato chiesto dal Sinodo romano del 1993. In ciò siamo inadempienti, ma inadempienti sono anche le autorità vicariali che non fanno rispettare quella norma”». Nelle sintesi parrocchiali e poi nella sintesi finale della diocesi di Roma il problema non è emerso in questi termini precisi, ma più sotto forma di criticità dei rapporti di corresponsabilità tra presbiteri/parroci e laici (cfr. §3). In ogni caso, la risposta di Papa Francesco è arrivata forte e chiara: «ove non fosse ancora costituito, ogni parrocchia dovrà dotarsi obbligatoriamente del Consiglio Pastorale Parrocchiale, organismo ordinario della comunione ecclesiale, del discernimento comunitario e della corresponsabilità. Esso, nella sua varietà di membri, ministeri e carismi, ha il compito di progettare, accompagnare, sostenere e verificare l’attività pastorale della comunità parrocchiale» (Titolo III, art.24) e deve essere «ascoltato» dal Vescovo di settore nell’«iter» di nomina del nuovo parroco (Titolo II, art.19 §2).

Non solo, ma al vescovo di Roma e a chi ha contribuito a scrivere questa Costituzione Apostolica deve essere talmente chiara la necessità e l’urgenza di rilanciare gli organismi intermedi di partecipazione, soprattutto in una città grande e difficilmente (ben) amministrabile come Roma, che nello stesso articolo 24 si stabilisce finalmente che «si costituiscano, con le medesime finalità allargate, i Consigli Pastorali di Prefettura e di Settore, assicurandosi di dare voce a tutte le rappresentanze del popolo di Dio». Sapendo probabilmente quanto sia facile depotenziare tali organismi, lo stesso articolo aggiunge che questi consigli – presieduti rispettivamente dai Parroci, dai Prefetti e dai Vescovi di Settore – devono essere convocati «almeno due volte l’anno» e «sono composti da membri d’ufficio, membri eletti e membri cooptati che operano nella pastorale parrocchiale, di Prefettura e di Settore, secondo quanto stabilito nei rispettivi Statuti, approvati dal Cardinale Vicario col consenso del Consiglio Episcopale».

Sarà molto interessante vedere come verranno pensate e realizzate sia le modalità e le finalità di lavoro di tali consigli (per evitare che risultino inconcludenti), sia le procedure di nomina dei loro membri, soprattutto quelli elettivi (per evitare di vedere i soliti noti). Circa quelli d’ufficio, guardando ai diversi Uffici istituiti dall’art.33 (Titolo IV), dovremmo ritrovare, oltre ai presbiteri ai religiosi e alle religiose, quantomeno le figure afferenti agli ambiti della catechesi (per ogni età della vita), della liturgia, della Caritas e dei Migrantes (e del volontariato in generale), del seminario e del diaconato, della famiglia, dei giovani e degli anziani, dell’insegnamento della religione (e non solo), dell’università (e della cultura in generale a partire dall’arte), dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, della salute, del carcere, dello sport, del lavoro e dell’ambiente.

Insomma, direi quasi una chiamata alle armi se la metafora non fosse inadeguata – e non solo per la sua eco guerresca. Sembra più, sulla scia della fiaba di Cenerentola, l’appello rivolto dal Principe, dal Figlio del Re a tutto il suo popolo affinché si metta alla prova per trovare il piede che riuscirà a calzare la scarpina di colei che così diventerà la sua Sposa. E Papa Francesco, nonostante il fatto che, come nella fiaba, qualcuno voglia nascondere questo piede – o, peggio ancora, far passare a qualsiasi costo il proprio per il piede ricercato – sembra convinto che grazie anche a tali riforme questo tesoro verrà trovato, un po’ sporco, forse ferito, ma verrà ritrovato: «meglio comunità inquiete (…) che luoghi a chiusura stagna» nelle quali «ascoltare la voce dello Spirito Santo che si manifesta anche oltre i confini dell’appartenenza ecclesiale e religiosa, curando uno stile sinceramente ospitale, animati dalla spinta di chi esce a cercare i tanti esiliati dalla Chiesa, gli invisibili e i senza parola della società (…) come la tenda mobile nel deserto, da smontare, rimontare e “allargare” lungo il cammino, [avendo] fiducia nello Spirito Santo che guida i diversi cammini ecclesiali, apre nuove comprensioni del contenuto della Rivelazione, distoglie dalla rigidità delle formule» (Proemio, §5).

Un orizzonte immenso, con le sue possibilità infinite, si apre di fronte a noi. Ce la faremo a metterci in viaggio verso la Sua Verità o ci faremo risucchiare ancora una volta dal solito Truman Show?

 

Una risposta a “Il vicariato sinodale di Roma: per una Chiesa gentile “come” Dio”

  1. Dario Busolini ha detto:

    Il dono più grande consiste forse proprio nella riaffermazione, da parte del papa, della sua funzione di vescovo di Roma e della volontà di esercitarla anche in prima persona, non solo attraverso delegati. Credo che questo atto possa avere un profondo significato ecumenico e contribuire a quell’evoluzione del primato petrino già auspicata da Giovanni Paolo II, con tutte le ricadute sul piano pratico che da ciò deriveranno. Sulla sinodalità bisognerà vedere, perché potrebbe non essere del tutto compatibile con tale ruolo e perché la diocesi di Roma è come un piccolo Vaticano ben poco reattivo ai cambiamenti, come dimostra proprio la vicenda dei consigli pastorali.

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