Il problema della Chiesa? È non vedere la bellezza

Le provocazioni che la lettura di “Una domenica” di Fabio Geda ha suscitato alla mia fede, sull'adeguatezza dei nostri discorsi su Dio e la religione per l'uomo di oggi.
12 Maggio 2020

Un padre anziano, una casa vuota alla periferia di Torino, tre figli lontani, una domenica mattina che non va come doveva andare e si apre all’imprevisto… È il semplice contesto in cui è ambientato “Una domenica” di Fabio Geda, uno dei libri che avevo lì e che grazie alla quarantena sono riuscito ad aprire.

Una vicenda semplice, quotidiana, ma sorprendentemente carica di umanità e di bellezza (e già solo trovare chi rintracci umanità e bellezza nel quotidiano è cosa straordinaria!). Geda è capace di uno sguardo realmente contemplativo, che vede nelle cose non semplici oggetti ma significati, ricordi, segni; e nelle persone tracce di vita e di fragilità, che anche quando diventano incomprensione, rimpianto, tradimento, non riescono a perdere la loro bellezza. Seguendo il racconto ti ritrovi a emozionarti per un anziano che fa colazione al bar, per un ragazzo che va sullo skate, per una donna che fuma in giardino. Scene scontate, che non avrebbero nulla di eccezionale se il tratto di Geda non le inquadrasse da quell’angolazione impossibile capace di far risaltare lo straordinario dove normalmente c’è solo routine.

Non è un racconto che parla di Dio e religione, se non per pochi cenni. Ma è stato capace di provocare la mia fede. In due momenti in particolare. Il primo è quando la protagonista racconta così il funerale della madre:

C’era un cane che abbaiava il giorno del funerale di mamma e ricordo che tutti si lamentavano. […] Attendevo che una parola delle sacre scritture – era un funerale religioso sebbene nessuno di noi fosse in senso stretto praticante: in famiglia, per scherzare, ci definivamo simpatizzanti – anche una sola di quelle parole mi donasse il conforto che secondo il giovane sacerdote dagli occhi dolci che stava officiando la funzione avrei dovuto ricevere. Eppure lui ci provava. Giuro. Si vedeva che ce la metteva tutta. Ma niente. Io ascoltavo il cane. Alle carezze di quell’umile servo di Dio preferivo la cagnara selvaggia del randagio che mi abbaiava addosso senza ipocrisia che tutto era finito”.

Non ho potuto fare a meno, arrivato a questo punto, di alzare gli occhi dal libro e fermarmi a pensare. Non è, quello che viene descritto, esattamente quanto accade il più delle volte ai nostri discorsi su Dio, sul Vangelo, sulla religione e sulla fede, quando casualmente arrivano alle orecchie non dei soliti della nostra cerchia, ma degli altri, di chi vive nel mondo e al più si definisce “simpatizzante”? Mi colpisce come viene descritto il “giovane sacerdote dagli occhi dolci”. Non vi è traccia di pregiudizio o rifiuto. Vi è anzi il riconoscimento del suo sforzo autentico e sincero. Ma il problema non è lui, è che quello che dice non riesce a far breccia, non è (più) in grado di arrivare all’uomo. Non è mancanza di energia e convinzione da parte del cristiano, non è pregiudiziale assenza di disponibilità a mettersi in discussione da parte di chi ascolta. È che il messaggio, così come viene proclamato, non parla, non raggiunge le corde vibranti nell’anima delle donne e degli uomini del nostro tempo. Quelle corde che invece Geda fa vibrare dall’inizio alla fine del suo racconto.

Personalmente credo che questo sia il primo e vero problema della Chiesa oggi.

Il secondo passaggio che mi ha fatto pensare è proprio alla fine, quando la protagonista racconta cosa ne è stato della casa dei genitori, abitata adesso dalle nipoti, figlie di sua sorella, e dice così:

“La casa di Lungo Po Antonelli è ancora nostra. La usano Greta e Rachele che frequentano l’università a Torino. È bello che la usino loro due, che sia sempre piena di loro amiche e di loro amici, che si senta odore di marijuana e che ci facciano l’amore. Ed è bello che noi tre si abbia ancora un luogo in cui tornare di tanto in tanto, così, per dialogare con il tempo che passa e cercare di farci pace.”

Anche qui il mio sguardo si è sollevato, e non solo perché con questa frase si conclude il libro. Ma perché ho provato a pensare con che occhi giudicanti faremmo fatica a non leggere una frase del genere all’interno dei nostri cancelli ecclesiali. Così distanti da quello sguardo capace di dire “è bello… che si senta odore di marijuana e che ci facciano l’amore”. Certo, ci sono qui in gioco questioni da non liquidare superficialmente, ma alla fine del libro personalmente ho provato una profonda nostalgia. La nostalgia di una Chiesa capace di guardare al mondo e alla vita non con le lenti del giudizio ma attraverso uno sguardo che riesce a vedere bellezza anche dove non ci aspetteremmo di trovarla.

Mi chiedo se Gesù, guardando la prostituta, il pubblicano, il ladrone, non abbia avuto uno sguardo così.

3 risposte a “Il problema della Chiesa? È non vedere la bellezza”

  1. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Lo scrivente l’articolo accenna a una Chiesa La cui Voce giunge incomprensibile non traduce la lettura riferita all’oggi, non sa vedere la bellezza,scoprirla nella umanità di oggi?Se l’omelia fosse Lecture, ma in una Messa la Parola e rivolta a fedeli anche non solo parrocchiani, dei gentili” ,entrati così per caso. Se si vuole una risposta personale come nella parabola dove un giovane ricco e già osservante Interpella Gesù cosa altro avrebbe dovuto fare , non ha gradito il suggerimento di Gesù a vendere le sue ricchezze.C’e Clero che ha fatto e sta facendo questo, tantoVangelo vivo che stupisce perfino ma non se ne parla come per altro, del cittadino don Dall’Olio sparito in Africa, del Cardinale che non questua ma porta pane anche a chi ha un dio diverso,e via via a scoprire guareschiane storie ,una Chiesa che soccorre prostitute, va da medico corporale e spiritual al letto di corv19,muore a difesa di cittadini schiavi di altri. Storie di vita quotidiana da raccontare

  2. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Ma la Chiesa non può che proporre Cristo altrimenti non ha ragione di esistere..infatti se non ci soddisfa quello che sentiamo dire c’è una via altra, suggerita da Cristo stesso(Mt.6.12) il Padre vostro sa di cosa avete bisogno prima ancora che glielo chiediate.Voi dunque pregate così:”Padre nostro che sei nei cieli,sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno….etc.e se si entra a conoscere chi è il Padre e quale è il regno in cui Egli vive ed è spalancato a chi desidera entrare, e’ anche la risposta al nostro chiedere lumi, a ritrovare la speranza dare significato alla nostra esistenza, e così sapere noi a che distanza o vicinanza ci troviamo rispetto a Lui. E’ di facile lettura il Vangelo, in parabole proprio per raggiungere ogni intelligenza, dipende in quale mondo abbiamo scelto di vivere.La Chiesa con Papà Francesco è semplice tutti la comprendono,ma anche sembra sia distante ad altri.

  3. Aldo Di Canio ha detto:

    Un libro sicuramente da leggere.
    Immagino una comunità destrutturata che non vuol dire una comunità dove ognuno fa quello che gli pare ma una comunità libera da quei pesi farisiaci che Gesù ha tanto avversato. I principi non negoziabili…il codice di diritto canonico…gli attacchi di gerarchite che ignorano la grandezza dei carismi e dei ministeri…la testimonianza mancata…e tanto altro che non ci rende credibili e rende muti di fronte al mondo. La misericordia come prima manifestazione dell’amore (che è Dio) si perde in un fare indaffarato che non fa guardare più gli uomini negli occhi e tirare fuori la forza che ha origine dalla considerazione della comune umanità.

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