Dopo aver analizzato le intuizioni condivise nel «resoconto sintetico» [sic!] dell’assembla sinodale continentale europea, tenutasi a Praga agli inizi di febbraio, si tratta ora di volgere la nostra attenzione verso le tensioni che da esso emergono e che, alla luce di una lettura più sistematica, sembrano essere l’altra faccia della medaglia su cui sono state raffigurate le intuizioni condivise. Se con i Padri della Chiesa possiamo paragonare la comunità ecclesiale alla luna ecco che è giusto ed inevitabile l’attestazione non solo del suo lato luminoso – perché illuminato da Cristo – ma anche di quello oscuro, the dark side of the moon: «le contrapposizioni del tipo “luce e ombra” permeano i contributi» del «resoconto» (V. Albanesi).
In esso, infatti, non si è avuta alcuna paura di riconoscere che durante l’assemblea sono emerse «non solo differenze di opinione, ma anche accuse reciproche» (§41) e «pregiudizi reciproci» (§43), al punto che si è dovuto porre l’individuazione di tali tensioni al «centro del processo sinodale» (§52). Esemplare quanto dichiarato dalla Chiesa del Lussemburgo sull’esistenza di un «grande divario tra coloro che cercano riforme o addirittura trasformazioni e coloro che hanno paura dei cambiamenti fino a rifiutarli» (§42).
Ora, come più volte abbiamo scritto (soprattutto qui), sulla scia dello stesso magistero di Papa Francesco (EG, 226-227; FT, 240; 244-245), è bene che tali tensioni non vengano «nascoste sotto il tappeto» né, d’altra parte, siano «trasformate in un conflitto con vinti e vincitori», altrimenti non potranno mai diventare delle «opportunità» sulla «strada verso la sinodalità» (§52; vedi anche §16), ma nel loro essere sottaciute – se non rimosse – finiranno per alimentare solo «polarizzazioni» escludenti, confermando la «grande preoccupazione» segnalata in merito a possibili «deflagrazioni» ecclesiali (§53 – di «implosione» della « “Chiesa multipolare” (N.Becquart)» ha parlato J.L. Schlegel).
Le sette (anche qui!) tensioni possono essere lette e comprese con maggior profitto e sistematicità riunendole sotto i cosiddetti tria munera: insegnare, santificare e governare.
A – Farei rientrare nel munus docendi la prima tensione tra «testimonianza dell’infinita misericordia di Dio» e «proclamazione della verità del Vangelo» (§53), ossia tra «pastorale e dottrina» (§54) [1]. Inoltre, pur rimescolando l’ordine del «resoconto» di Praga, credo che la quarta tensione – quella relativa al «pluralismo delle concezioni della missione» (§53) – possa rientrare «a un livello di maggiore profondità» (§70) in questo munus [2]. Sempre al munus docendi, infine, appartiene la seconda tensione (molto simile alla prima e spesso ad essa collegata), ovvero quella tra «fedeltà alla tradizione e aggiornamento sulla spinta del richiamo della voce dello Spirito» (§53) [3].
B – Rientra invece nel munus sanctificandi la terza tensione, afferente alla liturgia letta secondo l’adagio lex orandi lex credendi quale «specchio della vita della Chiesa in cui si riflettono anche le sue tensioni» (§53); anzi, soprattutto esse, dato che nel processo sinodale «raramente trova espressione la gioia della liturgia» (§66) – il che è comprensibile proprio alla luce di tali tensioni: come si può, infatti, celebrare con gioia se il conflitto è o rimosso o a mala pena verbalizzato? [4]
C – In ultimo, rientra nel munus regendi la quinta tensione – se non «frustrazione» (§78) – relativa alla «capacità di esercitare la corresponsabilità di tutti nella diversità di carismi e ministeri» (§53) [5]. Lo stesso dicasi per la penultima tensione (strettamente collegata alla precedente) che riguarda «le forme di esercizio dell’autorità in una Chiesa che è al tempo stesso costitutivamente sinodale e costitutivamente gerarchica» (§53) [6]. La settima tensione è la traduzione geografica delle ultime due e riguarda «l’articolazione tra locale e globale, per salvaguardare tanto l’unità cattolica della Chiesa, quanto la possibilità di incarnarsi nella varietà dei contesti e delle culture» (§53) [7].
Ora, siccome queste tensioni rappresentano il lato oscuro delle luminose intuizioni condivise, rimanderei a quanto già scritto qui, riguardo soprattutto il munus docendi e regendi, a proposito del «cristocentrismo ecclesiale decisamente carente di pneumatologia», dell’«accento posto sull’imparare, sull’Ecclesia discens» e del necessario «approccio dialogico con le persone ferite» magari dalla Chiesa stessa – oltre alle carenze segnalate nei confronti «delle famiglie, delle donne e dei giovani» o rispetto alla «necessità di rilanciare e rafforzare gli organismi di partecipazione, i luoghi di dialogo e le leadership allargate».
Ricorderei solo, a proposito del munus docendi, un nodo che già la sintesi continentale e prima ancora quella nazionale non avevano sciolto: la capacità di «articolare adeguatamente il rapporto tra verità sostanziale da comunicare/testimoniare e il linguaggio di tale comunicazione/testimonianza». Qui bisognerebbe muoversi in direzione di una «“conversione del linguaggio” ecclesiale» verso l’essere esso più «il frutto di un approfondimento sostanziale della verità cristiana nella vita delle persone» che non «un semplice rivestimento di tale verità facilmente adattabile (magari solo un po’ ingentilito) a nuovi contesti e nuove persone» – come peraltro chiedeva già Gaudium et spes nel paragrafo 44.
In tal senso, c’è un paragrafo fondamentale di Evangelii gaudium (41) che mi ricorda molto per importanza e, al contempo, per il suo essere sottoposto a continui fenomeni di sommersione ed emersione, il paragrafo citato di Gaudium et spes – di cui rappresenterebbe l’altra faccia della medaglia. Se il testo conciliare, infatti, spiega quanto la Chiesa possa essere aiutata ed arricchita dagli altri nei termini di una più profonda conoscenza della verità a lei affidata, il testo programmatico di Papa Francesco ricorda quanto la Chiesa possa impoverirsi e danneggiarsi a causa di sé stessa: «a volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo. Con la santa intenzione di comunicare loro la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano. In tal modo, siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza» (EG, 41).
Se poi leggiamo questo «rischio grave» alla luce della convinzione secondo cui «la Chiesa (…) ha bisogno di crescere (…) nella sua comprensione della verità» (EG, 40), «del Vangelo» (EG, 45) e «della volontà di Dio» (EG, 118) – con la conseguenza che il problema potrebbe riguardare i contenuti sostanziali e non più solo i modi di comunicazione – capiamo bene quanto sia decisivo sciogliere questo nodo per poter crescere anche «nel discernimento dei sentieri dello Spirito» (EG, 45) – che, ricordiamolo, è Colui che guida alla «verità tutta intera» (Gv 16,13). Vedremo, quindi, nell’ultima tappa dell’analisi del messaggio delle Chiese europee al Sinodo universale, se e quanto le soluzioni proposte siano in grado di assolvere questo alto ma delicato compito.
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[1] Segnalo in nota lo sviluppo di tali tensioni per evidenziare che la loro eventuale problematicità non risiede affatto in una presunta «genericità» (V. Albanesi, ib.). La prima tensione si verificherebbe, infatti, tra una «apertura e accoglienza [che] non conosce confini» – ossia «una reale vicinanza a tutti coloro che sono poveri, esclusi, vittime di ingiustizie e pregiudizi, la cui dignità è calpestata» – e «il rischio che questo conduca a un annacquamento delle esigenze del Vangelo, che la Chiesa è chiamata ad annunciare» – ossia «il timore che “considerare le soluzioni pastorali relative a questi temi possa preludere a ‘cambiamenti dottrinali’” (Polonia)» (§55). In altri termini, quelli sloveni, ci troviamo di fronte ad una tensione tra «una Chiesa vicina alle persone, comprese quelle ai margini, aperta alle questioni dei separati e risposati, delle persone LGBTQIA+» e una che «dica chiaramente che non tutto è accettabile! Quindi la Chiesa dovrebbe ascoltare, ma anche dire tutta la verità con grande amore!» (§56).
[2] Essa fa riferimento, da un lato, al «rafforzamento della catechesi» o alla «crescita della pratica religiosa», e, dall’altro lato, ad «un’uscita nel mondo per rendere tangibile l’amore di Dio per tutte le persone, specialmente per gli esclusi e coloro che la Chiesa ha ferito», cercando di essere «una casa per tutte le persone, specialmente per i giovani» (§70), che abbia ancora una sua «credibilità» (§71).
[3] In termini più espliciti, essa è la tensione tra l’elaborazione di un «linguaggio della Chiesa (…) accessibile» alla «cultura secolare» e il timore di «diluire il messaggio evangelico» (§61), tra «la lettura dei segni dei tempi» e «il timore di una rottura con la tradizione» (§62), tra l’invocazione di «cambiamenti rapidi e radicali come risultato dell’incontro tra teologia e cultura contemporanea» (§63) e il «timore di una riforma inappropriata della Chiesa, che sminuisca il messaggio del Vangelo» in nome di «cambiamenti che potrebbero compromettere l’integrità dell’insegnamento della Chiesa» (§64).
[4] Entro tali limiti, la liturgia è considerata come una «prospettiva» per leggere queste «tensioni complesse», queste «difficoltà pastorali» (§66): sia quando esse riguardano «le tensioni e le sofferenze legate alla forma antica della liturgia romana, con riferimenti espliciti alla liturgia preconciliare secondo il messale del 1962 in Francia, Inghilterra e Galles, e Paesi nordici» (§67), sia quando toccano i «sacramenti dell’iniziazione cristiana» e «la Cresima che rappresenta una grande sfida in contesti in cui non corrisponde a un inserimento nella vita e nella missione della Chiesa, ma a un allontanamento» (§68).
[5] Qui la tensione si verifica tra la «comune dignità battesimale» o «sacerdozio comune» (§73) e il «ministero sacerdotale» (§74). Infatti, quella che è stata ridefinita la «Chiesa ministeriale» dovrebbe prevedere e consentire «l’esercizio di ministeri e ruoli di responsabilità specifici, nonché la partecipazione al governo della Chiesa ai diversi livelli» (§73; vedi anche §77) – soprattutto delle donne, per una «maggiore fecondità» delle Chiese europee (§76) – oltre a sciogliere gli «interrogativi» sorti a proposito dei «limiti all’accesso» al ministero sacerdotale da parte degli uomini sposati e della «questione» dell’ordinazione delle donne al diaconato (§75).
[6] La sesta tensione è prodotta dall’attrito tra l’«esercizio dell’autorità» – che, però, «viene da Cristo ed è guidata dallo Spirito Santo» – (§80) e il «decidere insieme» (§81), ossia tra «ministero episcopale» (§83) e «governance più fraterna e partecipativa», oltre che caratterizzata da maggiore «trasparenza» (§84).
[7] La tensione qui è tra «diversità» e «unità nella diversità» (§86), tra «temi che riguardano un contesto specifico in un momento specifico e che potrebbero quindi richiedere una risposta contestuale» e la «priorità» (§93) di fare «chiarezza e trasparenza su chi può decidere quale questione deve essere gestita a livello locale, regionale o universale» (§87).
Quale futuro se la Chiesa non ritrova il suo fondamento sulla Scrittura anziché sulle tradizioni; come non tenere presente la storia della Chiesa dei primi tre secoli cesurata dall’imperialismo romano in cui la Chiesa si e’ adagiata? Significa semplicemente fare una scelta suicida. Auguri!
Tanto più il problema si presenta particolare, altrettanto dovrebbe essere la forza spirituale che in Cristo e fonte dalla quale attingere sapienza. E’ infatti inevitabile che per quanto l’amoresuggerisca vicinanza a comprensione ai problemi della persona umana, questo non esime dal comportare sacrificio. Nella società di oggi, che nutre culto della propria libertà, sembra irragionevole pretesa, un essere retrogradi, ragionare non secondo l’esigenza dell’uomo di oggi, così infervorato a seguire le proprie ragioni ritenendole in coscienza umanamente giuste. Quindi si direbbe che occorra non tanto convincere dei riottosi a conoscere il Cristo, il vero bene che la sua sequela conduce, ma predisporsi a una accoglienza e ascolto verso chi si rivolge per trarre quel discernimento spirituale, quella Parola che diventa illuminante a essere convincente . E’ difficile, ma è da Dio la riuscita