Dopo aver analizzato le intuizioni condivise e le speculari tensioni emerse nel messaggio delle Chiese europee al Sinodo universale, in quest’ultima tappa ci soffermeremo sulle soluzioni proposte. Esse risentono indubbiamente del fatto che sulla bilancia del processo sinodale europeo abbia pesato maggiormente il piatto delle tensioni emerse rispetto a quello delle intuizioni condivise. Tale sbilanciamento spiega sia perché le soluzioni proposte ricalchino spesso le intuizioni condivise (essendo tutt’al più “intuizioni di soluzioni”), sia la buona fede di alcuni passaggi del testo in cui si invoca un tempo ulteriore (§41) – per approfondire – o si usa un tono generalmente esortativo (parenetico dice V.Albanesi) – dietro al quale si delineano in realtà alcune indicazioni per un’adeguata pratica dialogica.
L’invito delle Chiese europee è, in linea generale, quello di «abitare le tensioni» (§53; vedi anche §§59 e 65), pur non avendo esse sciolto il nodo della finalità di tale atteggiamento: un ambizioso «scoprirne il potenziale dinamico» (§53; vedi anche §91) o un più semplice «mantenere un equilibrio tra polarità» (§53)? Per questo, in ogni caso, si è parlato della necessità di una «comprensione più profonda di ciò che gli altri dicono, che a volte per alcuni è difficile da accettare, e che richiede ulteriore riflessione, studio, discernimento» (§41) e «cammino di maturazione» (§70; vedi anche §90). Senza nascondere, però, l’altrettanto necessario «appello alla conversione» (§43: vedi anche §60) e a un «profondo cambiamento» (§82) che «deve riflettersi in decisioni concrete» (§83). In altri termini, «ci serve un’ecclesiologia kenotica, così da non avere paura della morte di alcune forme di Chiesa» (§44), ma anzi per favorire in essa l’«apertura di spazi di sperimentazione» (§52; vedi anche §79).
Nello specifico, per una migliore lettura sistematica delle stesse soluzioni continuerei ad usare lo schema dei tria munera, anche perché in esso si trova più di una corrispondenza con le tre categorie-chiave del processo sinodale: missione (per il munus docendi – §§54-65), comunione (per quello sanctificandi – §69), partecipazione (per quello regendi – §§72-88).
In merito alle tensioni che gravitano intorno al primo munus (verità e misericordia, tradizione e aggiornamento), la «priorità» (§93) di abitarle «responsabilmente» (§59) significa sostanzialmente ritornare a praticare «il dialogo all’interno del Popolo di Dio» (§54) quale «caratteristica fondamentale di una Chiesa autenticamente sinodale» e «misura della sua coerenza» (§55). Tale dialogo, però, dovrà essere condotto secondo determinate regole affinché produca buoni frutti:
Ora, per «articolare meglio le due spinte» (§59) non deve stupirci il fatto che il resoconto europeo esorti alla «maggiore profondità spirituale» di uno «sguardo contemplativo» (§59) e ad una «piena apertura di cuore a ciò che lo Spirito Santo propone» (§65), essendo quest’ultimo il protagonista del processo sinodale. Decisivo, piuttosto, è che venga posta senza alcuna reticenza la domanda fondamentale per discutere seriamente e senza infingimenti il problema (qui ricordato) del rapporto tra verità, suo approfondimento e linguaggio adeguato a comunicarla: «“mentre si sforza (…) di essere più inclusiva, in che modo la Chiesa dovrebbe modificare sé stessa, la sua dottrina o la sua prassi?” (Malta)» (§60). Significativo, in tal senso, come la stessa Chiesa polacca evochi «un saggio consenso tra le divergenze e soluzioni pastorali che, senza compromettere la coerenza dottrinale, permettano una risposta più adeguata alle sfide pastorali contemporanee» (§65): quindi, se non capiamo male, nessuna ostilità verso eventuali proposte che comportino modifiche dottrinali, sempre che esse si inseriscano in modo coerente con il resto del corpus dottrinale. C’è pane, dunque, per i denti (speriamo non spuntati) dei nostri teologi e teologhe.
Passando poi alle soluzioni proposte per «una liturgia troppo formale» (§68), come già notato nel caso delle tensioni ecclesiali ricomprese nel munus sanctificandi, poco hanno potuto dire le Chiese europee dopo aver impostato il rapporto tra tali soluzioni/tensioni e quelle relative al munus docendi secondo l’adagio lex credendi lex orandi. D’altronde, cosa si poteva aggiungere all’invito di pensare ad «un linguaggio liturgico rinnovato (…) che articoli il mistero della fede e della liturgia, da un lato, e il rapporto tra liturgia e vita, dall’altro» – con il suo «desiderio di spiritualità» – (§68), se proprio nel processo sinodale sono risultati altamente problematici i contenuti di tale mistero emersi proprio grazie all’ascolto di quanto (lo Spirito che dà) la vita dice alle Chiese? Al massimo, appunto, «considerare le tensioni intorno alla liturgia» come «priorità» (§93). Forse era (e sarà) necessario ricercare o rafforzare forme liturgiche (e – perché no – paraliturgiche) adeguate alle tensioni e (intuizioni di) soluzioni emerse. Per la mia piccola esperienza la lavanda dei piedi nel senso inteso e nei modi praticati dalle comunità dell’Arche/Arca e di Foi et Lumière/Fede e Luce poteva e può rappresentare un’ottima fonte di ispirazione.
Concludiamo, infine, con le soluzioni riguardanti il munus regendi, prendendo atto del fatto che in merito alla vexata quaestio della «collaborazione tra sacerdoti [sic!] e laici» (§78) sembra che in Europa si sia ancora fermi al punto in cui le «forme concrete» di corresponsabilità rappresentano una «sfida» che richiede una grande «capacità di immaginazione» (§73). D’altronde, avevamo già segnalato qui le carenze del documento delle Chiese europee in merito al rilancio e rafforzamento degli organismi di partecipazione e alla costruzione di leadership allargate.
In effetti, oltre all’importante necessità che la questione dei viri probati e delle donne diacono venga «“approfondita” (Lussemburgo)» (§75), il resoconto europeo si limita a parlare di una «formazione specifica» comune a laici e sacerdoti con «spazi e opportunità di sperimentazione» (§79) e di generiche «istituzioni e strutture canoniche adeguate che aiutino a mettere in pratica la sinodalità, in modo che ad ogni livello i processi di discernimento si svolgano in modo autenticamente sinodale» (§87; vedi anche §§ 82, 84 e 90) – a tal proposito si è parlato di un’«Assemblea ecclesiale per l’Europa» (§88; vedi anche §90) in cui ascoltare il «sensus fidei fidelium» (§85).
Nonostante l’«esplorare forme per un esercizio sinodale dell’autorità» all’interno di una «Chiesa tutta ministeriale» sia considerata una delle «priorità» (§93), sembra quasi di trovarsi di fronte ad un passo indietro in tema di governo condiviso rispetto alle sintesi diocesane e nazionali, il che rappresenterebbe un’involuzione inopportuna in un momento storico drammatico anche per i suoi fenomeni di disintermediazione e di profonda crisi della partecipazione. Forse non è casuale, allora, lo scambio di ordine tra le categorie-chiave del processo sinodale (da comunione, partecipazione e missione a comunione, missione e partecipazione), che abbiamo potuto leggere nell’Instrumentum laboris (IL) della prima sessione del Sinodo sulla Sinodalità. Ma questo aspetto – ed altri ancora – verificheremo nei prossimi articoli dedicati proprio all’IL della sessione sinodale autunnale.
Inoltre come cittadini viviamo problemi di difficile soluzione, sono dibattuti temi circa un Servizio sanitario che necessiterebbe di Fondi a rispondere alle necessità richieste, si tratta di cure a salvare vite, a supporto dei più poveri; , a molti cittadini il carovita impone non attingere al risparmio come si preferisce dire, che non esiste per chi vive di stipendi, ma rinunciando a spese “voluttuarie” come medicine per cure mediche, . Senza contare chi attende aiuti per danni subiti da calamità naturali Circola dai talk politici di decidere fondi di garantire le armi necessarie al conflitto in Ucraina senza limiti di tempo! Ma ha ancora senso supportare una guerra che tutte e due i popoli Belligeranti vogliono fino a una Vittoria, ?e per questo costringere a impoverimento altri . . il messaggio delle Chiese avesse come obiettivo manifestare ai Governant i queste obiezioni di tanto popolo che mira e ma spera in un cambiamento più evangelico delll’oggi!
Da semplice fedele, oso considerare l’importanza della liturgia. La domenica il popolo dei fedeli si raduna e partecipa alla S.Messa. Si nota una carente partecipazione orale, dovuta a : distanza, dimenticanza, interesse affievolito?, anche per un nuovo laicismo che è subentrato a interferire con quello che è dallo Spirito Ecco dunque che sembra importante nella S.Messa dare al “momento eucaristico”, un maggiore rilievo, una preghiera personale in aggiunta a quella dottrinale, umanamente rivolta alla Divinità con spazio alla musica che sostituisce la parola. Vivere la celebrazione con una maggiore spiritualità, diventando un credo più compiutamente espresso. Altrettanto importante e ‘quanto della Parola giunge a essere compresa dai fedeli, che è da essa il viverla nel quotidiano, Più dialogo con la Divinità e comprensione della Parola, questo forse può influire il vivere insieme con il prossimo e nella societa’
La moltiplicazione dei temi e delle variazioni su ognuno di essi porta a:
– giustifica x chi nn vuole cambiare NIENTE
– Dis-orientamento e conseguente immobilità x chi volesse cambiare qualcosa.
Suggerisco di lasciar perdere l’utopia delle modifiche/ il fumo delle codicillazioni/ la inutilitá del NULLA di chi vorrebbe .. ma..
Che fare?
In un mom in cui si assiste ad una emorragia continua ( cfr Germania) e ad una perdita di autorevolezza spaventosa ( vedi la Bolivia, il Canadá, l’Irlanda, vedi quello dei mosaici, vedi.. basta che tu apra gli occhi!!)
La RICETTA non può che essere TAGLIARE, TAGLIARE e poi ancora tagliare.
Questa è l’unica strada x essere piú credibili, più ecumenici, più aperti all’UMANO, come lo era Gesú. Cristo.