Il messaggio delle Chiese europee al Sinodo: le intuizioni condivise – 2

Una Chiesa più kenotica e spirituale, più sinodale nei suoi attori e processi, più discepolare e in dialogo, più ospedale da campo per i feriti del mondo...
1 Giugno 2023

Il resoconto dell’assemblea sinodale europea evidenzia, come prima intuizione condivisa, l’esigenza di tenere insieme «la dimensione spirituale della sinodalità» e «un’ottica di conversione continua a Cristo» (§20); in altri termini, il sapere vivere «in maniera complementare» lo «stile di vita» kenotico di Cristo quale modello sinodale (§21) e  l’accento posto sullo Spirito Santo quale «principale protagonista e motore del cammino sinodale» verso una Chiesa che testimoni, come visto ieri, «unità nella diversità» (§22). Avevo già segnalato qui il problema di un certo cristocentrismo ecclesiale decisamente carente di pneumatologia. È importante – direi decisivo – che se ne prenda atto, anche se, per ora, solo come esortazione alla «conversione» e alla «cura della dimensione spirituale» (§23), sia a livello personale che comunitario.

Solo così, infatti, penso sia possibile cominciare – in secondo luogo – a dare una forma concreta all’invocata «riscoperta della comune dignità battesimale e delle sue implicazioni» (§20), alla «riappropriazione di questa consapevolezza» (§25) della «uguale dignità dovuta al comune battesimo», con particolare riguardo alle donne e ai giovani (§26). Solo abbassandosi e svuotandosi (come Cristo), solo disponendosi all’a/Altro (come lo Spirito), è possibile pensare e vivere «il legame intrinseco tra sinodalità e missione» (§20) non «“come un processo unilaterale, ma piuttosto come un accompagnamento in uno spirito di dialogo, una ricerca di comprensione reciproca. La sinodalità è un processo di apprendimento in cui non solo insegniamo ma impariamo” (Tomáš Halík)» (§27; vedi anche §81). Anche questo accento posto sull’imparare, sull’Ecclesia discens, è uno snodo decisivo del processo sinodale già segnalato, sia nel suo essere voluto da Papa Francesco, sia nel suo essere recepito – seppur con qualche resistenza – da parte del popolo di Dio, ed è un bene che sia stato ribadito.

L’immagine di una Chiesa discepolare, inoltre, permette di capire, da un lato, perché la sinodalità «non evita il dialogo, ma lo cerca; non svaluta, ma si sforza di uscire dalle proprie sicurezze e di mettersi in discussione; apre spazi di sperimentazione» (§31); dall’altro lato, perché il dialogo stesso sia mosso dal «testimoniare l’amore di Cristo nel mondo ferito» (§28), dal «vedere le ferite esistenziali delle persone, dell’umanità e della creazione, e agire per affrontarle» (§29): «ai nostri giorni non mancano le ferite, in Europa e nel mondo» (§30) e tutti noi sappiamo quanto sia fondamentale un approccio dialogico con le persone ferite (soprattutto se per nostra responsabilità).

Approfondendo il primo aspetto – quello del «dialogo come stile di vita della Chiesa» (§20) – le Chiese europee convengono che esso «deve plasmare le nostre relazioni a tutti i livelli» (§32), sia perché la pur non semplice «diversità interna» è vista come «diversità ricca» (§33), sia perché quella dei rapporti ecumenici e interreligiosi è valutata come una «ricca esperienza» (§34; vedi anche §92) – più facilmente (e in modo creativo) con le Chiese evangeliche (§36) rispetto a quelle ortodosse (§35). Riguardo la società secolarizzata, per alcuni «“non è bene (…) viverla come una minaccia e come qualcosa a cui bisogna opporsi», anche se ciò «richiede un cambiamento di mentalità e una vera conversione»; mentre per altri, tutto ciò comporta «il timore che gli insegnamenti della Chiesa vengano diluiti e cambi, ad esempio, la comprensione tradizionale del matrimonio e della famiglia, invitando la Chiesa a rimanere in dialogo con il mondo senza diventare mondana» (§37). Sullo sfondo, ma anche come orizzonte, la necessità di riprendere in mano, a livello sia di pensiero che di pratica, l’insegnamento sul dialogo di Paolo VI, mirabilmente esposto nell’enciclica Ecclesiam suam.

Venendo all’approfondimento del secondo aspetto, tale esigenza di dialogo viene fondata sull’essere la Chiesa, come dice Papa Francesco, anche un ospedale da campo (§29) in missione per «conoscere e comprendere le sofferenze e le ferite delle persone e del creato, e ad agire di conseguenza, innanzi tutto al proprio interno» (§38) – soprattutto ora che c’è una sempre maggiore presa di coscienza ecclesiale della necessità di impegnarsi per «superare i pregiudizi e riconciliare la memoria» (§20) verso la Chiesa stessa. Essa infatti, oltre a tutto il bene compiuto, a volte «ha inferto profonde ferite» e perciò la sua «credibilità» è minata, sia dal «trattamento sprezzante e non empatico» riservato a coloro che hanno subito abusi, sia dalle sue responsabilità «sistemiche» (§39). Solo  chiedendo «perdono per poter passare davvero alla riconciliazione, alla guarigione della memoria e all’accoglienza delle persone ferite (§4)», solo dimostrando concretamente la «preoccupazione per le vittime e gli emarginati nella Chiesa» (poveri, esclusi o sgraditi, comunità LGBTQIA+, divorziati risposati, migranti, infelici, malati, persone con disabilità), come Chiesa «“siamo in grado di crescere”», anche perché coloro che «si sentono respinti, disprezzati (…) nella nostra Chiesa, spesso a ragione, chiedono la possibilità di incontrarsi senza paura e un dialogo onesto da pari a pari» (§40).

Certo qualche dubbio riguardo la capacità di incarnare tale modello di Chiesa sorge se, nonostante la dichiarata «attenzione preferenziale a famiglie, donne e giovani» (§20), guardiamo all’estrema genericità con cui si è parlato delle famiglie («responsabili del rafforzamento e della trasmissione della fede e della formazione liturgica, nutrono i giovani e sono agenti di evangelizzazione» – §45), delle donne («devono occupare il posto che spetta loro (…) a tutti i livelli della vita della Chiesa, tenendo finalmente conto dei loro carismi e talenti» – §46; vedi anche una delle «priorità» finali – §93) e dei giovani («cercano appartenenza, autenticità e autonomia. Molti soffrono di depressione e solitudine e nessuno si occupa veramente di loro e li ascolta» – §47; vedi anche §50). D’altronde, questo è un problema – e un dubbio – che ci portiamo dietro dagli ultimi sinodi, con la scarsa recezione di Amoris laetitia, il quasi flop del sinodo sui giovani (e della Christus vivit) e la falsa partenza sulla questione femminile nel sinodo per l’Amazzonia. Ma come potrebbe essere altrimenti se le Chiese locali e nazionali continuano a sottovalutare (vedi qui e qui) il ruolo di mediazione svolto da coloro che già accolgono, si confrontano ed elaborano atteggiamenti pastorali e linguaggi teologici includenti le famiglie, le donne e i giovani che per vari motivi si sentono fuori – o sulla soglia – della Chiesa?

Ciò nonostante, speriamo anche noi nell’espressa volontà dell’assemblea sinodale europea di «adozione del metodo sinodale per tutti i processi ecclesiali» (§20; vedi anche §90). Del metodo della conversazione spirituale, infatti, si è esaltata a ragione la «profonda dinamica» e «fecondità» che mette in moto nei partecipanti, in quanto «consente di essere ascoltati, e chiede di imparare ad ascoltare uscendo dai propri pregiudizi e accogliendo modi di esprimere che possono anche ferire. Soprattutto, stimola l’ascolto personale e profondo della Parola di Dio, la preghiera comunitaria e la conversione (…) per individuare i passi da fare insieme» (§48; vedi anche §§2;19). A questo punto, ovviamente, sarà conseguenziale far rientrare tra le «priorità» (§93), da un lato, «una più compiuta elaborazione di una teologia della sinodalità», insieme ad una «formazione alla sinodalità (…) attraverso processi di learning by doing (apprendimento attraverso il fare)» (§49), soprattutto riguardo «il discernimento dei segni dei tempi» (§90); dall’altro lato, una «riflessione sulle modifiche al diritto canonico per favorire lo sviluppo di strutture e procedure basate sul metodo sinodale» (§50) – senza dimenticare (come invece sembra esser avvenuto in questo documento europeo) la necessità di rilanciare e rafforzare nella Chiesa gli organismi di partecipazione, i luoghi di dialogo e le leadership allargate.

Solo così, d’altronde, si potrà offrire una testimonianza reale della possibilità di «vivere le tensioni senza vederle come opposizioni irrisolvibili che ci schiacciano» (§51; vedi anche §90). Saranno allora tali tensioni, emerse in modo forte ed evidente durante il discernimento assembleare di Praga, ad essere oggetto della tappa successiva della nostra analisi.

 

3 risposte a “Il messaggio delle Chiese europee al Sinodo: le intuizioni condivise – 2”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E poi forse si sta esagerando o male interpretando: fratellanza, vicinanza, distanza , diversita, con proposte di porsi da persone umano, cioè tutte comprese a risolvere problemi senza attingere alla fonte verso la quale si e incamminati. E’ vero che vi può e si suppone in questo la presenza dello Spirito di Dio, ma il non nominarlo per non urtare suscettibilità tra credenti non mi pare sia bene, mancanza di Fede e coraggio nell’operare in suo nome, nel considerare Lui essere il Maestro del nostro agire, nel porlo al centro, Lui. Se si parla di Cristo uomo-Dio è sempre come da cortigiani, magnificandolo, da Uomo che si è sacrificato per il nostro bene, quando questo magari non tocca più un animo atrofizzato da altri predicati. Lui parlava molto del Padre, del Io Sono, diceva che da solo senza di Lui, non avrebbe potuto operare e questo sulle strade di Israele, in mezzo ai Dottori della Legge…solo una considerazione..

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Oggi per la Chiesa è festa “Corpus Domini”, si ringrazia Cristo per aver dato e insegnato come il vivere del Suo pane significhi vita per tutta l’umanità. La sua vita donata e insegnamento che apre ai nostri limiti l’intelligenza di superarli. Uscire dal proprio IO, non è facile ci trattiene un egoismo naturale, e per la Libertà di cui godiamo c’è tendenza a preferire il proprio umano volere,che non ci rende fratelli gli uni con gli altri, solidali in amicizia. Come aspirare a una Pace senza vincere la smania di potere, il prevalere gli uni sugli altri. Sinodo globale, aiuto a riconoscere il rispetto della dignità dovuto a ogni singolo uomo, il diritto a una vita assicurata dignitosa, non in pericolo di morte da guerre fratricide. Come salvare la natura che.non è più benefica dei suoi doni.?Come realizzare il bene comune senza quella la Pace che si realizza con l’intelligenza di mente e cuore perseguendo ideali da veri uomini?

  3. Pietro Buttiglione ha detto:

    Grazie a Sergio che ci aggiorna, compito meritevole e difficile ( il sintetizzare).
    Leggendoti mi veniva raffigurata la Chiesa come il pan-creator di Ravenna…
    Potreste risponderti: ma siccome è la Chiesa che FA il Sinodo.. ovvio!
    Devo affondare di + il coltello nella piaga..😭😭
    SE la Chiesa fosse vista MALE dal mondo.. che speranze abbiamo di accoglimento di una cosa che scende dall’alto e cmq dal fuori??
    Vedi, Sergio, tutto oggi è messo in modo tale che dall’alto non attecchisce ( vedi le tante dis-affezioni, votazioni incluse.
    Dopo la critica.. cosa fare?.
    Ribaltare/eliminare ogni atteggiamento che inizii con IO, IO, IO…
    Farsi semplicemente promotrice di movimenti locali, direi casa-parrocchia, di base che AGGREGHINO con il solo ed unico fine di suscitare partecipazione, prese di coscienza, spinte e direzioni di CAMBIAMENTI.
    SIAMO AVVERO SICURI CHE A GESÚ INTERESSASSE PIÙ DIO CHE L’UOMO??

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