Il Dio in cui crediamo…

Come comunicare al meglio quanto, negli ultimi decenni, l’identità cristiano-cattolica sia maturata e riesca a pensare sé stessa e la realtà in modo più adeguato rispetto all'odierna complessità?
20 Novembre 2020

In un interessantissimo (e mediaticamente ‘esplosivo’) articolo di Sergio Benedetto si parla di “sette crisi” della parrocchia odierna. Alcune di esse – la crisi di “pensiero”, di “comunicazione” e di “identità” – mi sono tornate in mente mentre guardavo e ascoltavo la seconda settimana della trasmissione Le parole della fede (di cui abbiamo già parlato qui e qui). Un programma che, pur nella sua brevità, sta attirando l’attenzione non solo degli ‘addetti ai lavori’, con il suo obiettivo di interrogarsi in modo adulto sugli argomenti di maggior rilievo della fede cristiana.

Chi è il Dio in cui crediamo? è stato l’interrogativo affidato alle risposte degli ospiti in studio e degli intervistati per strada, ma soprattutto al ragionamento del teologo don Pino Lorizio, uno dei big del panorama nazionale (spesso presente sul quotidiano cattolico Avvenire per dirimere questioni spinose o per tentare di costruire ponti con fratelli e sorelle delle altre confessioni cristiane, oltre che relatore al convegno ecclesiale di Firenze del 2015).

Eppure, nonostante le aspettative, devo confessare che le risposte, o meglio le riformulazioni delle domande in chiave adulta, mi hanno lasciato un po’ insoddisfatto. Benissimo l’esordio con la precisazione che il nome di Dio – la sua ‘essenza’ – non corrisponde ad una definizione, e che invece il Dio dell’Esodo (dall’impronunciabile tetragramma) si autonomina, si presenta come esserci, come colui che c’è, che è presente per liberare il popolo d’Israele. Forse, però, qualcosa in più poteva essere detto o almeno evocato, innanzitutto sul senso profondo dell’impronunciabilità del nome di Dio – e su quanto essa si colleghi alla indefinibilità non violenta di Dio, al Suo essere ab-solutus, sciolto-da ogni possesso definitorio e violento da parte degli esseri umani. Così come si poteva chiarire, allo ‘studente adolescente’ che è in noi, in che senso avrebbe parlato Dio a Mosè – con un effetto sonoro udibile all’orecchio? – per poi chiedersi, con Paolo De Benedetti, perché Dio non parla più (oppure perché noi non ne cogliamo più le frequenze).

Inoltre, il Suo stesso essere ‘definibile’ come liberatore (fondamentale per cogliere il senso dell’incipit e almeno delle prime tre parole del decalogo) è restato privo di quelle precisazioni che, fin da giovane, chi non è già dentro il linguaggio e la pratica ecclesiale (come sono ormai i più) rivendica dal proprio insegnante di religione o di teologia: cosa vuol dire che Dio ha liberato Israele? L’ha causata/prodotta Lui (almeno in qualche misura)? O sono solo favole, tutt’al più metafore? Trattasi di liberazione socio-politica o solo psicologica? E oggi libera ancora – e come?

Perché, si capisce, rispondere che in realtà Dio parla nella coscienza (con Frankl, nell’inconscio) o nel cervello, ossia che gli eventi storici (e i fenomeni naturali) legati alla liberazione sono esperienze poi attribuite dal popolo di Israele al proprio Dio (come era tipico in quell’epoca), significa cominciare a far comprendere che il problema – e l’interessante – non è tanto che Dio abbia (direttamente o indirettamente) parlato di sé e causato/portato a termine una liberazione, ma che un popolo ‘schiavo’/debole abbia immaginato, pensato e creduto che un Dio potesse parlargli e rivelarsi come colui che ha voluto, auspicato – desiderato (ha ricordato Lorizio citando la Deus caritas est di Benedetto XVI) – tale liberazione, facendola entrare da allora in poi nel novero delle (im)possibilità umane da immaginare, pensare, credere e praticare. Anche a rischio, per risignificare un credo il cui senso la modernità (con il suo epilogo postmoderno) ha piano piano eroso, di essere accusati di offrire sensi e significati a volte umani, troppo umani…

In egual modo, ‘definire’ il Dio cristiano come il Dio con noi mi è sembrato, non solo equivoco per i trascorsi storici del termine, ma anche povero di contenuto, soprattutto se il Suo essere profondo di amicizia/amore/carità/perdono lo possiamo cogliere solo attraverso gli intermediari di tale essenza e modo di essere. Infatti, se non incontriamo questi mediatori della carità, il Suo amore gratuito e incondizionato, o meglio (come anche questa volta è emerso dalle interviste ed è stato riconosciuto dal teologo invitato) il suo perdono e la sua misericordia, come sono sperimentabili e dunque come possono esistere per noi? Ed eventualmente, mediante quali facoltà? Li sentiamo, li intuiamo, li cogliamo intellettualmente o attraverso i nostri neuroni?

L’essere il Dio Agape un Dio trinitario, poi, non poteva essere meglio illuminato dall’immagine di un Dio relazione di relazioni o, come amava dire tra gli altri il compianto cardinal Martini, di un Dio relazionale? Con tutto ciò che comporta tale ridefinizione per il dialogo tra credenti e non credenti sul fondamentalismo/relativismo e sul rapporto (se ha ancora senso parlarne) tra verità oggettiva e verità soggettive? E non c’era proprio nulla di importante da dire sulla differenza di senso tra l’espressione Abbà e la nostra traduzione con la parola Padre (anche per le importanti ricadute sulla questione se intendere Dio anche come Madre)?

In definitiva, anche in tal caso, una certa abitudine ad ascoltare le domande di giovani e adulti cosiddetti ‘lontani’ o ‘non appartenenti’, ossia di coloro per i quali il problema non è conoscere meglio un Dio di cui in fondo si coglie la sensatezza ma accoglierne dapprima la sensatezza stessa, dovrebbe condurre a chiederci se non sia meglio parlare e proporre Dio anche – e innanzitutto – come paradigma/modello ultimo di comprensione della e di azione nella realtà. Come a dire che Dio può esistere per l’essere umano tanto più quanto più il Suo modello/paradigma ‘funziona’, ma che l’eventuale ‘mancato funzionamento’ del modello/paradigma – che noi immaginiamo, pensiamo, crediamo essere il Suo – non comporta necessariamente la in-esistenza di Dio, ma solo la necessità per noi di raffinare, immaginare, pensare meglio il Suo modello/paradigma…

A tal proposito – e non a caso – anche la riflessione sul male, sulla sofferenza innocente, mi è sembrata appena accennata, dato che al problema del mistero del male si è risposto certo rimandando ad un pensiero illuminato dalla fede, ma – con le parole di Lorizio – “balbettando” null’altro che il “pensare che c’è un’altra vita”, oltre al consueto ‘ritornello’ che Dio (in Gesù) si fa carico del Male. Ma cosa vuol dire farsi carico del Male da parte di Dio? E cosa comporta per Lui? Lo fa attraverso altri o direttamente? E lo fa in quanto forza, energia o per intervento concreto (come cantato nella poesia ‘Orme nella sabbia’)? E perché questo Male sta (e starà?) lì? E in che rapporto esso è con il bene: sua assenza, perversione/distorsione o imitazione rovesciata?

Certo Lorizio riconosce, pur senza grande enfasi, la possibilità (giobbesca) di discutere con Dio del Male che sperimentiamo, oltre al fatto che Gesù abbia interrotto lo scandaloso rapporto tra  castigo naturale e peccato morale; ma tralasciare (se non con una sfuggente evocazione del ‘dinamismo limitato dell’universo’) il fatto che sono state scritte parole (da Pareyson) e mostrate immagini (da Olmi) vertiginose sul male in Dio e sul perdonare Dio, ossia sulla responsabilità (che non è la causalità) di Dio relativamente al male esistente nel mondo, ci sembra significhi portare la spiegazione e la comprensione del fenomeno ad un livello non adeguato, appunto più fanciullesco che adulto, rispetto alla complessità del mysterium iniquitatis.

Fortunatamente, poi, abbiamo rivisto il don Pino che sapevamo abile nel tirare qualche ‘colpo di fioretto’ – anche correggendo con garbo gli ospiti. Nell’analisi delle verità essenziali del Cristianesimo, dei rapporti teologici tra Gesù e Maria (o i Santi) e delle verità delle grandi religioni, egli ha ricordato  l’importanza della differenza tra la verità centrale/essenziale del cristianesimo (fondata su un vangelo ancora troppo poco citato dai cattolici) e le sue formulazioni sempre da (ri)centrare su Gesù e da (ri)tradurre per essere oggi credibili; il rischio di ‘viziare’ e ‘manipolare’ le devozioni per Maria e per i Santi con tratti di paganesimo o con termini (come ad esempio quelli di ‘mediatrice’ o ‘corredentrice’ usati da don Gerardo di Paolo – rettore del Divino Amore – poi correttosi) già dichiarati ambigui, perché confondono chi media chi e allontano dal vangelo di Gesù e da Dio invece di farci avvicinare concretamente a loro; la presenza dei semi del Verbo e dello Spirito nelle altre grandi religioni, i cui frammenti di verità, se incontrati e (r)accolti con “simpatia critica”, ci possono aiutare nel percorso di approfondimento, anche  ‘patetico’, della nostra identità/appartenenza di fede in quel “Tutto che si dà nel frammento”.

Resta però il fatto che riguardo l’interrogativo di chi è Dio – ossia chi è colui/colei che sempre più rischia di apparire una categoria insensata, poco funzionale o addirittura violenta – è assolutamente necessario trovare le modalità per ridire in modo attuale una sapienza, una ricchezza che si è un po’ impolverata. In altri termini (quelli iniziali di Sergio Di Benedetto), mi è sembrato che anche questa volta si potesse comunicare meglio quanto l’identità cristiana, anche nella sua forma cattolica, sia negli ultimi decenni maturata e – nonostante tutto – riesca a pensare sé stessa e la realtà in modo più adeguato rispetto alla complessità che quotidianamente viviamo.

 

6 risposte a “Il Dio in cui crediamo…”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    elevati a potenza, a modello di una vita che è sempre vita mortale. A quale potenza possiamo oggi rivolgerci che superi quella umana perché i virus mietono comunque vittime ed è una lotta impari combatterli..da “Tra Fede e Scienza di A.Zichichi…La Scienza non può “inventare” la Logica del Creato. La può solo “scoprire” in quanto quella Logica è già scritta, e non siamo stati noi a scriverla ma Colui che ha fatto il mondo…Ecco le parole esatte del Padre della Scienza Galileo Galilei “…e veramente parmi che saria cosa ridicola il credere, che allora comincino ad essere le cose della natura, quando noi cominciamo a scoprirle ed intenderle.Ma quando pure l’intender degl’ uomini dovesse essere cagione della esistenza delle cose, bisognerebbe, o che le medesime cose fussero ed insieme non fussero (fussero per quelli che le intendono; e non fussero per quelli che non l’intendono), o vero che l’intender di pochi, e anco di un solo, bastasse per farle essere”.!

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Vi fumai cosa simile a questa? Che cioè un Popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come mai l’hai udita tu, è che rimanesse vivo?O ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi…Dal cielo ti ha fatto udire la sua voce per educarti, sulla terra ti ha mostrato il suo grande fuoco e tu hai udito le parole che venivano dal fuoco.(Dt.4,32). Ma a noi cristiani non è accaduto la stessa storia? Ha mandato suo Figlio unigenito di cui festeggiamo il Natale ogni anno, che ha risuscitato dai morti segno di vita eterna anche per tutti quelli che nel giudizio finale saranno degni. Anche Cristo ha dimostrato la potenza del Padre con miracoli testimoniando la sua divinità. Eppure siamo sì un suo grande popolo ma piccolo rispetto alla moltitudine, le sue leggi, la Parola, il Vangelo, sono trascurate perché idoli creati dalla umana libertà sono stati

  3. Paola Meneghello ha detto:

    Semplificando, potremmo dire che la crisi della fede, nasca con l’illuminismo, e la sua giusta pretesa di uomo al centro. Ma Gesù era vero Uomo e vero Dio, Figlio dell’Uomo, e Figlio di Dio.
    Partendo da questa uguaglianza, potremmo dire che non esiste Dio senza uomo e viceversa, e Gesù è venuto proprio a ristabilire il concetto di umanità: libera, e responsabile, consapevole di avere il Padre nel petto, e poter crescere come Lui, avendone il gene in sé.. L’Uomo non è suddito, ma Figlio, e ora è il tempo di entrare in un nuovo Regno, quello divino in noi; forse anche questo è stato il messaggio di Gesù, e richiede il nostro consenso, perché la Sua è una proposta per maturare, non una imposizione, e mette al centro l’Uomo e il suo potenziale..
    Bisogna ripartire dall’uomo per parlare correttamente di Dio, secondo me, ed è urgente, perché il mondo, spinto solo sull’orizzontale, implode, e non perché lo dico io, ma perché l’ha detto Gesù. .

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Ok. Cristo è Dio.
    Ma Cristo xchè??
    Forse x le indulgenze ( affrettatevi!!),
    Forse x le varie pratiche in uso ( e dis-uso, chissà xchè, forse xchè nn c’è+posto x il Sacro? 😃😃😃) , forse per le cerimonie varie..?
    Oppure per.. il Vangelo di oggi?
    Cristo più che a Chi è Dio risponde a come si è suoi figli. Imo mmmmolto diverso..

  5. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Se siamo cristiani crediamo che Gesu’ Cristo Crocifisso e risorto e’ Dio.
    Se non crediamo che il Crocefisso e’ Dio, se abbiamo quasi fastidio del Crocefisso Siamo forse deisti, fedeli del “ Dio unico “ ma non cristiani.
    Tutti i ragionamenti e le belle parole dei teologi sono pura retorica su Dio.
    Dio si e’ incarnato e si e’ Fatto VEDERE , non le belle parole dei teologi , ma la visione di Dio, nel Crocifisso, ci dice chi e’ ilDio in cui crediamo.
    Noi crediamo in Gesu’ Cristo , per questo ci diciamo cristiani.
    Chi non crede in Gesu’ , chi ha fastidio e quasi si vergogna del Crocifisso , non crede nella Via nella Verita’ e nella vita. Gli altri dei degli uomini , Visnu’ , Buddha , Zeus, Dionisio , Baal, Iside, Pachamama ecc sono solo idoli creati dalla fantasia dell’ uomo. Cristo e’ Dio che si e’ mostrato con la faccia del Crocifisso: l’ Amore infinito.

  6. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Chi è Dio?
    Io partirei da:
    Quale Dio?
    Il mio?
    Il tuo?
    Il suo??
    Tutti DIVERSI.
    Skandalo?
    Macché!
    Se relazionale.. lo DEVE essere.
    Se Dio fosse riducibile in concetti.. dovrebbe essere definibile e uni-forma x tutti. Ma non lo è. E’ Dio. . ebbasta.
    Quindi anche l’assunto è sbagliato e andrebbe ricentrato su:
    Vi parlo della MIA relazione con Lui.
    E gli occhi devono brillare.
    Altrimenti.. che barba, che noia..🙃🤬🤪

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