Sono stato molto colpito dall’omelia dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, tenuta il 5 ottobre scorso, nella celebrazione eucaristica in cui sono stati ordinati diaconi 11 giovani della Diocesi di Milano, tre ordinandi rispettivamente del Sud Sudan, del Bangladesh, del Vicariato latino di Beirut e 6 appartenenti al Pontificio Istituto Missioni Estere.
Il taglio dell’omelia, forse, voleva essere ironico e iperbolico, ma ad una lettura attenta non è così. Passando il testo in un analizzatore lessicale, appare il vero centro dell’omelia: la missione a cui sono chiamate queste persone è irraggiungibile con le sole forze umane, è una esagerazione. Ci sono almeno 25 ricorrenze a testimoniarlo (esagerazione 11, estremismo 7, esagerata 4, estrema 3). Mentre ciò che deve animare questi consacrati in questa missione appare molto meno: solo 11 volte (gioia 8, preghiera 2, amore 1). Felicità, dono di sé, gratuità, dono, offerta, spendersi non compaiono.
Già Francesco aveva sottolineato che se nelle omelie si parla in modo sbilanciato su un certo argomento si produce “una sproporzione, per cui quelle che vengono oscurate sono precisamente quelle virtù che dovrebbero essere più presenti” (EG 38). Ma soprattutto che l’omelia “è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo. […] Molte volte (i fedeli) soffrono ad ascoltare gli altri a predicare. È triste che sia così. L’omelia può essere realmente un’intensa e felice esperienza dello Spirito, un confortante incontro con la Parola” (EG 135).
Ora, possiamo anche accettare che l’arcivescovo Delpini non sia in sintonia con Francesco su questo punto. Ma il problema ritorna anche più grave quando proviamo a confrontare le espressioni di questa omelia con una lettura, anche solo immediata e diretta, della Bibbia.
L’arcivescovo dice che un consacrato non potrà più avere “una vita privata, un dopolavoro rilassante (…) parentesi in cui accontentare i propri capricci e dare sfogo alle loro passioni”. La Bibbia dice: “Io ho riconosciuto che non v’è nulla di meglio che rallegrarsi e procurarsi del benessere durante la vita; e anche che chiunque mangia, beve e gode del benessere in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio” (Qo 3, 12-13); “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” (Mt 11,28); “Aspirate a vivere in pace, a occuparvi delle vostre cose e a lavorare con le vostre mani” (1 Tess 4,11).
L’arcivescovo dice che un consacrato non può: “circondarsi di persone amiche, simpatiche e benevole e tenere lontane persone nemiche, antipatiche, ostili”. La Bibbia dice: “Non entrare nel sentiero degli empi e non camminare per la via dei malvagi. Evitala, non passarvi; allontanati e passa oltre” (Pr 4, 14-15); “non mischiarvi con chi, chiamandosi fratello, è un fornicatore, o avaro, o idolatra, o maldicente, o ubriacone, o rapace; con questi tali non dovete neppure mangiare” (1 Cor 5,11). E Gesù stesso dice ai Farisei: “Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete malvagi?” (Mt 12,34).
L’arcivescovo dice che i consacrati non possono: “fare quello che piace a loro ed evitare quello che è gravoso, spiacevole, contrario alle proprie inclinazioni”. La Bibbia dice: “Trova la tua gioia nel Signore, ed egli appagherà i desideri del tuo cuore” (Sl 37,4); “Questa è la fiducia che abbiamo in lui: se chiediamo qualcosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce” (1 Gv 5,14); “Ecco quello che ho visto: è bene e bello per l’uomo mangiare, bere e godere del benessere di tutto il lavoro con cui si affatica sotto il sole, durante i giorni di vita che Dio gli dà” (Qo 5, 18-19).
L’arcivescovo dice che i consacrati “faranno del bene e saranno ricompensati con l’antipatia e l’impopolarità”. La Bibbia dice che la fama di Gesù “si diffuse in tutta la Siria (…) E grandi folle lo seguirono” (Mt 4, 23.25; vedi anche Mc 1,14 e Lc 5,15); “la folla numerosa uscì incontro a lui gridando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!” (Gv 12, 12-13).
L’arcivescovo dice che i consacrati non potranno “essere presi dallo scoraggiamento, lasciarsi vincere dalla tristezza (…) o dichiararsi delusi”. Nella Bibbia Gesù mostra di conoscere bene queste emozioni: “Dove lo avete posto (Lazzaro)?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere”. Gesù pianse”. (Gv 11, 35); “Se avessi compreso anche tu (Gerusalemme), in questo giorno, la via della pace!” (Lc 19,41); “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me” (mt 26,38); “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46).
Ora, potrebbe bastare già questo per essere abbastanza sconcertati davanti a questa omelia. Ma ci sono almeno altre tre motivazioni per dirlo.
La prima è antropologica. Nell’omelia stessa viene dichiarato che il consacrato consegna a Cristo “tutta la persona, tutta la vita, tutti i pensieri, tutti i desideri, tutti i sentimenti”. Essa “li rende partecipi degli stessi Sentimenti di Cristo”. Ma poi vengono indicati tutta una serie di sentimenti ed emozioni che invece non possono entrare nella vita del consacrato, rendendo a lui impossibile avere davvero gli stessi sentimenti di Cristo.
Questa omelia si regge solo se si considera che alcune parti dell’umano non possono essere assunti nella vita del consacrato, e che quindi la grazia non perfeziona la natura, ma la amputa. E ciò significa non aver compreso fino in fondo il senso dell’unità profonda dell’essere umano e immaginare una vita consacrata eterea e disincarnata, con terribili effetti esistenziali, per chi ci crede e la persegue davvero. Lo stesso Delpini, durante il lockdown disse: “Io non ho emozioni, sono fatto così”.
La seconda è teologica. L’incarnazione dice che Gesù Cristo ha assunto tutto l’umano, interamente, tranne il peccato. A meno che non si voglia dire che avere passioni, rilassarsi, riposarsi, avere una vita privata siano peccati in sé, bisogna dire che questa omelia non riconosce davvero il dogma dell’incarnazione e delle sue conseguenze. Da quanto Cristo è nato, Dio è vivibile e comunicabile non in esperienze al limite dell’umano e oltre, ma dentro i limiti di ogni esperienza umana.
La terza è ecclesiologica. Questa omelia ipotizza una descrizione del consacrato come di una persona che non vive più “nel mondo”. Non vive più quelle dimensioni che, invece, ai laici sono consentite e degne. Con la conseguenza inevitabile di pensare che un consacrato è di per sé più santo di un laico. Perciò, poi, deve vivere separato dal mondo e pure dai non consacrati credenti. E come potrà, allora parlare a questo mondo? Come potrà essere un sommo sacerdote che “può avere compassione verso quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, perché anche lui è soggetto a debolezza” (Eb 5,2).
Come una mia amica mi ha suggerito: “Chiediamoci: perchè siamo un piccolo resto? Quando ci presentiamo così fanno bene a non crederci”.
Non si sta dimostrando oggi la Chiesa come strumento di interposizione tra le forze belligeranti a far salve le richieste di quei popoli patenti le molte sofferenze procurate dalla guerra? Una Chiesa che operante nel Nome di Cristo si dimostra coraggiosa, è bene dire come dagli Apostoli., i quali Operavano per i doni ricevuti dallo Spirito a significare l’amore da Dio per l’uomo non lasciato solo. Essi, gli Apostoli erano laici che si sono consacrati alla Fede in Cristo; cio’ ha comportato il lasciare persone care, lavoro e interessi propri per seguire il Maestro. Appare un tempo quasi infernale, l’oggi,le uccisioni senza senso anche tra gente comune! valori come la famiglia, superati da un vantato diritto a libertà; il futuro incognito .Scienza e Fede sembrano incontrarsi nel convincimento che così andando, sordi ai loro appelli, non fa onore a se stesso l’ Uomo che un Dio all’inizio ha creato al di sopra di ogni altro essere vivente.per sempre
Ma non è la via della croce quella percorsa da Gesù Cristo?a seguirlo ha significato per gli apostoli a loro volta sacrificare la loro vita, esempio e missionari di una Chiesa nascente. Forse non si deve a tanti sacerdoti rimasti sconosciuti se il Vangelo da loro testimoniato operando ha raggiunto i confini della Terra? l’omelia del Monsignore può non essere stata compresa, e non farebbe meraviglia è successo anche a Gesù di dar sfamare con pochi pani una folla, e non aver compreso quale fosse il “pane del cielo”,quella Parola di vita il vero nutrimento per l’uomo per quello Spirito che è di Cristo, donata perché a ogni uomo il destino non fosse la morte ma il dono della vita per sempre. Come credere nell’amore di Dio verso di noi, se non lo avessimo conosciuto da tanta testimonianza e sin dal seno materno!? Natale, Pasqua, solo storia?come credere nella Pace possibile oggi?
Delpini “Io non ho emozioni”. Non facciamo fatica a capire…..
Diceva Pirandello “Questi poveri piccoli uomini feroci”
Sono il primo a criticare, ma quando leggo commenti tanto feroci istintivamente mi metto dalla parte di chi è criticato
Come la fa facile Borghi….. Essere sacerdoti non è una passeggiata. Sicuramente è un grande onore ma intriso di sacrificio. Concordo con Delpini. Il sacerdote insieme a S. Paolo può affermare che “non è più lui che vive, ma Cristo vive in lui.
Temo che Borghi non tenga in debito conto la dimensione spirituale e soprannaturale per accontentarsi di una visione terrena e mondana.
La Chiesa, grazie a Francesco e ai “suoi” è profondamente divisa. Qui ne abbiamo un’ulteriore prova. Purtroppo
Cara Anna Rita, prosegua nella citazione e la legga nel suo contesto. San Paolo dice che il credente (non il presbitero!) è morto alla legge, non alla carne. E proprio questa vita nella carne viene vissuta nella fede.
La grazia non annulla mai la natura, la perfeziona.
@ Farina:
“Nella Bibbia, infatti, si trova tutto e il contrario di tutto”
Verissimo. Ma qs significa:
– garanzia di geNuinità del testo, mancanza di manipolazioni..
– quanto la lettura ad litteram sia fuorviante.
All’uopo le consiglio di seguire i corsi biblici, spesso interconfessionali, proprio a testimoniare quanto la Parola sia open mind ,😄😅
L’omelia dell’arcivescovo di Milano ha un taglio sicuramente limitato e limitante. Ma il contrappunto proposto per cui ad un’affermazione del presule se ne contrappone una della Sacra Scrittura mi sembra metodologicamente errato. Nella Bibbia, infatti, si trova tutto e il contrario di tutto e se Delpini avesse formulato un discorso opposto, non sarebbe stato così difficile trovare nelle Scritture affermazioni contrarie. Meglio se ciascuno resta ancorato alle sue competenze specifiche grazie alle quali dà dei contributi di elevata qualità e non si avventura in campi che non gli sono propri.
Sull’uso della Bibbia lei ha perfettamente ragione. In un testo come questo, per non addetti ai lavori, sarebbe stato molto complesso proporre l’analisi esegetica e di teologia biblica che andrebbe mostrata. Analisi che però darebbe lo stesso risultato, dato che è stata fatta: questa omelia non ha fondamento biblico sufficiente.
Mi permetto aggiungere che Maestri non lo si diventa soltanto con un titolo di studio, e neppure per nomina in ruolo, ma avendo in se una maturità derivata da esperienza sul campo, così come lo è per il fedele che diventa credente quando si trova ad aver superato la propria letteraria conoscenza affrontando la prova con quel discernimento acquisito . Dio e Verità da esperimentare, vivere perché diventi quella nuova vita di cui le Parabole intendono far conoscere. E’ l’uomo di terra che ha da prendere quella vita che lo fa esistere per sempre. Il male e anche fabbricatore di un modo di vivere artificioso, attrae perché prelude a soddisfazione, felicità da godere subito, tutto oggi sembra improntato a questo raggiungimento di soddisfazioni, la Vittoria in guerra come la crema che ringiovanisce, ma il giorno dopo è necessario continuare a uccidere e spendere denaro per ciò che non dura
Mi viene di pensare che il Papà ha fatto scelte proprio pensando profondamente al Vangelo Cristo Signore della Storia dell’uomo, è stato uomo tra uomini ma era anche Figlio del Padre, ha affrontato i demoni scacciandoli, liberando l’uomo vittima oppressa, è stato severo interlocutore della classe dominante confutando la verità delle loro leggi con quella del Padre Suo, rovesciando con violenza i tavoli dei mercanti che profanavano la dignità del Tempio. Quindi un Cristo Maestro rigoroso con coloro che infrangevano mistificando quella dottrina volta a indicare la via giusta per la salvezza della persona umana, che era si difficile, si richiede anche sacrificare di se stessi ma per amore verso il prossimo. Questo rigore apparente e anche necessario a essere Chiesa in ogni tempo, e anche da quella chiesa del passato che ho appreso comprendendo più in profondo la fragilità che occorre superare se si vuole essere fedeli di Cristo e capaci di amore fraterno.
Sottoscrivo parola per parola quanto detto per iscritto dal mio omonimo. Questa e’ stata una delle nomine sbagliate di papa Francesco…
Sulle persone nemiche, antipatiche e ostili da tenersi lontane, sono d’ accordo; come potrebbero resistere i consacrati in mezzo a gente che odia e bestemmia Dio dalla mattina alla sera? Infatti non ci stanno perché se ci stessero, si renderebbero conto come oggi sono trattati Gesù Cristo e Maria Santissima.
Concordo pienamente con Borghi. A mio avviso è bruttissima sotto tanti punti vista l’omelia di Delpini: in primo luogo, come sapientemente ha dimostrato Borghi, pare che Delpini non conosca la Scrittura, secondo lui, tanto per fare solo un esempio, Gesù non avrebbe avuto amici. Poi quell’insistere sulla consacrazione oggi è pericolosissimo, perchè genera il clericalismo e perchè attira giovani che devono coprire le loro fobie, nevrosi e problematiche di cui non sono minimamente coscienti. Che tristezza e che dolore apprendere dall’omelia di uno dei successori del compianto Cardinale Martini, una concezione del ministero ordinato così obsoleta, pericolosa, non rispondente affatto ai tempi, tempi in cui bisognerebbe ripensare dalle fondamenta teologiche il ruolo e la figura del ministro ordinato.
l problema non è Delpini, lui è espressione di una cultura ed di una dottrina, gravemente intrise di clericalismo. Il problema è dottrinale. E’ la dottrina che, essendo stata elaborata e definita dai chierici, secondo una prospettiva clericale, non tiene conto della laicità di Gesù e delle prime comunità cristiane, laddove il clero nemmeno esisteva. Questo è il punto: una mancanza totale della dimensione di laicità che condiziona l’insieme del deposito dottrinale per come è stato definito nei secoli. Il sistema di potere basato sul sacro che chiamiamo clericalismo non si manifesta solo negli abusi sessuali in danno dei minori, ma si manifesta anche con una serie di abusi dottrinali. Delpini non fa altro che dare voce a tali abusi. E finchè non si procederà ad una coraggiosa riformulazione della dottrina cattolica, saremo costretti ad assistere ad altri pronunciamenti clericali.
100% d’accordo con Gilberto: anche per l’eleganza dell’articolata argomentazione.
Sino a quando non si recepisce con LG, e prima ancora con Paolo (Gal 2,19-20: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me”), che la sequela radicale (Mt 5-7) è la vocazione del cristiano, del “discepolo” – come a Milano quarant’anni fa insegnava splendidamente un grande maestro come Giovanni Moioli – e non di un’astratta categoria di “consacrati” (peraltro extra-neotestamentaria se intesa come “separata”), rimaniamo lontani dal nucleo incandescente del Vangelo.
Troppa omiletica non è centrata sulle Scritture.
Nel 1980 a Milano circolava la battuta scherzosa: “Ci voleva un Martini per digerire un Colombo”… Chissà, dopo le ultime due esperienze, qualcuno si augurerà in futuro un cognome “super-alcolico”…
Naturalmente una battuta: pensata sempre con profondo rispetto, affetto e riconoscenza verso tutti i pastori
Grazie di questa analisi, sottolinea ancora una volta che ci si sente assediato e piccolo popolo non sono i cristiani ma i sacerdoti (non i consacrati in generale). È necessario un cambio di prospettiva. Purtroppo è nata una teologia sbagliata sul sacerdozio, che va ricordato che NON è una speciale consacrazione ma un dono a servizio e funzionale. Si sono resi monaci i preti. Ora non so come se ne esce (un’ idea c’è l’avrei), ma il cambio radicale serve per tornare a un Gesù che non consideriamo più come unico salvatore, in questo superomismo cattolico.