I cambiamenti attesi dal processo sinodale italiano

La sintesi nazionale, nonostante tutto, indica una serie di cambiamenti che richiederanno lo sforzo di tutti per essere portati a compimento
17 Ottobre 2022

Abbiamo già visto (qui) quanto sia difficile per il cambiamento farsi spazio nella sintesi nazionale, nonostante le importanti parole e le dichiarazioni di principio in essa utilizzate. È anche vero, però, che la Chiesa italiana ha ben chiaro cosa c’è in gioco se, al termine dei dieci nuclei, ha comunque il coraggio di fissare un punto di non ritorno: «si è messo in luce il timore che l’entusiasmo e la voglia di partecipazione che l’esperienza dei gruppi sinodali ha generato possa spegnersi presto, se ad essa non viene data continuità e se il processo sinodale avviato non condurrà a cambiamenti concreti (prassi e istituzioni) nella vita delle comunità» (§2.10). Tematizzato e verbalizzato, dunque, il cambiamento difficilmente non avverrà, pena la perdita di credibilità di coloro che se ne sono fatti promotori. L’importante, ovviamente, è che esso «salvaguardi la coerenza dei mezzi con il fine, che è promuovere le relazioni e la costruzione di legami», ossia «avviare o ricostruire percorsi comunitari» (§2.10).

 

I soggetti pastorali – 

Tale cambiamento dovrà, innanzitutto, riguardare i preti che, paradossalmente, sono le prime vittime di una Chiesa «troppo “pretocentrica”» (§2.6), la quale non riesce a renderli «“maestri di relazione”» né evita loro un preoccupante «senso di solitudine» (§2.3). Per questo si ritiene necessario: 1) «rivedere in una prospettiva maggiormente comunitaria il tema delle funzioni e delle mansioni svolte attualmente dai presbiteri» (§2.3 – vedi anche Sergio Di Benedetto ed Assunta Steccanella); 2) «rivedere la formazione iniziale e continua dei presbiteri sia nei contenuti, sia nelle forme» (§2.9 – vedi anche Gilberto Borghi e l’arcivescovo Castellucci).

Ciò aprirebbe lo spazio, in secondo luogo, per il corrispondente cambiamento nell’”altra faccia della luna”, quella dei laici, altrimenti «relegati spesso a un ruolo meramente esecutivo e funzionale, anziché di soggetti protagonisti, costruttori di un “noi”», e perciò oscillanti tra «deleghe o rifiuti» (§2.6 – vedi anche Sergio Di Benedetto). Qui diventa decisiva «la valorizzazione della comune dignità battesimale che (…) conduca a riconoscere la responsabilità di tutti i credenti, ciascuno con il dono che gli è proprio» (§2.6). In altri termini, «la corresponsabilità appare come il vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico» (§2.6) e perciò di essa è stato espresso «un forte desiderio di riconoscimento» (2.6).

Primi in questa speciale classifica dell’«emarginazione», anzi prime tra i non pari risultano essere le donne: «ciò di cui si sente universalmente la mancanza è una reale condivisione delle responsabilità che consente alla voce femminile di esprimersi e di contare. Particolare attenzione va riservata a religiose e consacrate, che spesso si sentono utilizzate soltanto come “manodopera pastorale”» (§2.6). Sul podio troviamo anche le famiglie – da «rendere soggetto e non destinatario dell’azione pastorale» (§2.9) – e gli ambienti di vita – riguardo i quali si suggerisce «l’avvio di una pastorale integrata (…) delle parrocchie con quanti vivono l’annuncio» (§2.6) in essi. Insomma, non solo di Chiesa pretocentrica bisognerebbe parlare, ma anche di Chiesa “parrocchia-centrica

Non c’è dubbio, come evidenzia la sintesi, che i laici debbano prestare attenzione al «rischio di sviluppare forme di clericalismo nella gestione dei piccoli spazi di potere loro affidati» (§2.6) – ad esempio in certe «aree di specializzazione pastorale» (§2.8); così come è importante «rafforzare le competenze delle laiche e dei laici impegnati nei diversi ministeri (…) valorizzando al meglio gli Istituti di Scienze religiose, le Scuole di teologia e le Facoltà Teologiche» (§2.9). Anche se, bisognerebbe riconoscere che l’assenza di procedure teologicamente ed ecclesiologicamente chiare e condivise per scegliere questi laici è uno dei motivi principali che conducono parte di essi a rispecchiare “tic” e “vizi” del mondo sacerdotale che li nomina.

Speriamo che i cantieri diocesani approfondiscano anche quest’ultimo aspetto. In ogni caso, non possiamo sottacere che stiamo parlando di un debito ecclesiale – quello dei chierici verso i laici – per il quale la Chiesa rischia seriamente di arrivare fuori tempo massimo: da quanto tempo ci si chiede (senza poi intervenire concretamente) se la Chiesa-casa sia «uno spazio accogliente, che non devi meritarti, luogo di libertà e non di costrizione… di vero incontro, di amicizia e di condivisione», «un perimetro che si allarga di continuo» (§2.8) e che è «a misura di tutti» (§2.9)? Da quanto tempo ci si domanda se la Chiesa-casa sia capace di «stare a fianco… sostenere… offrirsi come punto di riferimento» (§2.9), soprattutto quando deve pensarsi e agire al di fuori dell’attuale “parrocchia-centrismo“?

Resta il silenzio assordante della sintesi su almeno due importanti protagonisti dell’ascolto diocesano (per quanto risulta dalle sintesi diocesane e dalle varie testimonianze): gli insegnanti – soprattutto quelli di religione – riguardo i giovani che la Chiesa non intercetta più; i volontari – della Caritas ma non solo – circa le persone che la Chiesa aiuta ma che non sempre guarda negli occhi. Forse, qualche parola in più poteva e doveva essere spesa

 

Le strutture – 

Un cambiamento dei rapporti di corresponsabilità tra presbiteri e laici – che sono anche rapporti di potere –  non può non riguardare anche alcuni aspetti strutturali ben noti, sempre però rispettando il principio che «tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratci» (§2.8): 1) «il mancato o inefficace funzionamento degli organismi di partecipazione: diverse comunità ne sono prive, mentre in molti casi sono ridotti a una formalità, a giustificazione di scelte già definite. Perciò se ne invoca il rilancio come spazi di concreta esperienza della corresponsabilità ecclesiale, lo sviluppo di leadership allargate e l’acquisizione di uno stile sinodale in cui le decisioni si prendono insieme, sulla base dell’apporto di ciascuno a comprendere la voce dello Spirito, nella chiave del discernimento e non della democrazia rappresentativa» (§2.6); 2) una «comunicazione trasparente», una «condivisione delle informazioni» e una «cura nel coinvolgere i diversi soggetti parte nei processi» eviterebbero «insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali» (§2.5).

Non stupisce quindi che, se tra presbiteri e laici (e tra gli stessi laici) vi è ancora una forte antinomia (a cui le strutture esistenti corrispondono), dalla sintesi nazionale emerga anche la necessità di «cammini di riconciliazione per abitare e superare i conflitti e le frammentazioni» (§2.3). D’altronde, le Chiese locali vengono descritte come a forte rischio di «autoreferenzialità», «chiusura», quasi fossero delle «“bolle” separate» (anche nell’ambiente digitale – §2.5), dei «gruppi in cui si vivono cammini di fede e di vita intensi, ma con poca disponibilità ad accogliere le novità, di persone e proposte», «spazi in cui si rischia di dividersi poteri e ruoli, di essere esclusivi ed escludenti verso chi bussa», quasi una sorta di «contesto settario» o di «“fan club”» o – se va bene – «un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso» (§2.8). Gli stessi «movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali» contribuiscono ad acuire tali problemi quando non «si aprono alla collaborazione tra di loro e alla partecipazione alla vita della Chiesa locale» (§2.6), rendendo più difficile che il loro «patrimonio formativo» venga «adeguatamente coltivato» nelle Chiese locali o nelle parrocchie (§2.9). Stupisce invece che, «per contrastare la sfida della frammentazione, a livello parrocchiale e diocesano», invece di cominciare a proporre anche qualche correttivo più strutturale e istituzionale, ci si sia limitati alla pur importante necessità di «investire nella costruzione di relazioni fraterne, valorizzando la pluralità delle sensibilità e provenienze come risorsa» (§2.8).

 

Lex orandi, lex credendi –

Infine, crediamo che una Chiesa riconciliata – e aiutata da procedure giuridiche e organismi istituzionali a riconciliarsi – nelle relazioni tra soggetti e nelle strutture delle sue membra possa con più forza e più coraggio affrontare i tre nodi del celebrare (§2.4) che la sintesi nazionale ha evidenziato: 1) «la Parola di Dio è riconosciuta come chiave per tornare a essere credibili ed è forte il desiderio di una sua conoscenza più approfondita (…) guidata da diaconi, religiosi o laici (uomini e donne) formati» (vedi anche Sergio Di Benedetto); 2) «si registrano (…) una scarsa cura delle celebrazioni e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale. Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo (…) risulta urgente un aggiornamento del registro linguistico e gestuale» (vedi anche Gilberto Borghi; 3) la pietà popolare «continua a dare i suoi frutti a favore della costruzione dell’identità cristiana e comunitaria delle parrocchie e dei territori», ma «può essere occasione di annuncio e di proposta per i cosiddetti lontani a condizione di un discernimento delle potenziali ambiguità e di uno sforzo per farne occasione di crescita di una coscienza civile, sensibile ai problemi sociali ed economici delle famiglie e dei poveri». Lo stesso «camminino dell’iniziazione cristiana ha bisogno di (…) integrare la dimensione cognitiva, quella affettiva, quella relazionale, quella estetica attraverso una pluralità di strumenti e linguaggi», oltre a vedere rafforzate «le competenze delle laiche e dei laici impegnati» in esso (§2.9 – vedi anche Sergio Ventura) .

 

In definitiva, come si suol dire, veramente “tanta carne al fuoco” del Sinodo! Dato che sotto questo punto di vista l’Italia non è sola tra le nazioni, forse anche perciò durante l’Angelus di ieri il Papa non ha lasciato ma ha raddoppiato: «i frutti del processo sinodale avviato sono molti, ma perché giungano a piena maturazione è necessario non avere fretta. Pertanto, allo scopo di disporre di un tempo di discernimento più disteso, ho stabilito che questa Assemblea sinodale si svolgerà in due sessioni. La prima dal 4 al 29 ottobre 2023 e la seconda nell’ottobre del 2024. Confido che questa decisione possa favorire la comprensione della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, e aiutare tutti a viverla in un cammino di fratelli e sorelle che testimoniano la gioia del Vangelo».

 

2 risposte a “I cambiamenti attesi dal processo sinodale italiano”

  1. Salvo Coco ha detto:

    Occorre essere franchi. Ogni cambiamento suggerito ed auspicato si scontra con la dottrina e le norme del diritto canonico. Il regime di potere che impedisce qualsiasi seria riforma ecclesiale si basa sulla dottrina e sul codice canonico. E’ inutile girarci attorno e pretendere che le cose cambino se non si cambia la struttura teologica della chiesa che poggia sul clericalismo. La lumen gentium parla della chiesa come Popolo di Dio (cap.II), ma da questa impostazione non ne è venuto fuori alcun cambiamento perchè la chiesa rimane governata da una struttura gerarchica (Cap.III). Il codice di diritto canonico è stato rinnovato nel 1983. ma la sua architettura è rimasta ancorata al clericalismo. Faccio un esempio banale: si parla di maggiore partecipazione dei laici, ma come è possibile assicurare tale partecipazione se i laici e le donne innanzitutto sono esclusi da qualsiasi processo decisionale ?

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Veramente tanta carne al fuoco!
    preciso un solo commento:
    Teologizzare i laici è ancora clericalismo.
    I laici vanno sfruttati e inclusi per le loro capacità e preparazioni, spesso assenti nei preti, ovviamente! Ad es un laico operante nella Sanità e disponibile.. cosa fargli fare?
    Ecco rispuntare il problema:
    METTIAMOGLI SU UNA BELLA VESTE, UN CAPPELLO IN TESTA, IMBOCCHIAMOLO.. e viaaa
    Mi permettete un affondo venefico? Chi è imbevuto di DOTTRINA non può ragionare diversa-mente. Xchè fonda su di essa la sua superiorità. Va avanti a botte di CCC.
    PS.
    Mi pare sottaciuto un altro probl, interno.
    Il buon Francesco non smette di lamentarsi x il pettegolezzo. Come è bbuono!! In realtà si tratta di profonde divisioni e contrapposizioni che lacerano la CC dall’INTERNO.
    Non si tratta di organizzare un duello rusticano in PIAZZA, foss’anche VN.
    ma di affrontarle e risolverle.
    Spesso la Verità emerge con le forbici.

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