Ho riletto con calma gli appunti scritti da Benedetto XVI sulla pedofilia. Sono dal mio punto di vista un testo bellissimo nel quale ritrovo la possibilità di un grande segno per la Chiesa.
Bellissimo perché, con la lucidità e la chiarezza che da sempre contraddistingue Joseph Ratzinger, in quelle pagine mette in evidenza alcuni nodi che ritengo centrali non solo per la discussione sulla pedofilia, ma per tutto il dibattito ecclesiale oggi: il senso dell’esistenza e il fondamento di un discorso morale nella Chiesa, la dicotomia tra il bene e ciò che è meglio ora, il corretto bilanciamento tra l’utilizzo della scrittura e il riferimento ad altri sistemi di pensiero, il delicato rapporto tra Chiesa e mondo, la formazione del clero, l’equilibrio tra il garantismo e l’esigenza della condanna. Sono temi che, a prescindere dalla condivisione o meno delle tesi di Ratzinger, rappresentano dei nervi scoperti nella Chiesa oggi, e che è dunque importante aver richiamato.
Il dibattito intorno agli appunti si è concentrato sulla contrapposizione tra la posizione di Benedetto XVI e quella di Francesco. Personalmente vorrei provare ad andare oltre il semplice schierarsi da una parte o dall’altra. Ciò che più mi colpisce di questa vicenda è la scelta di Ratzinger, avallata – come esplicitamente dichiarato – da Francesco e da Parolin, di pubblicare un testo che apertamente ed inequivocabilmente sostiene una tesi diversa rispetto a quella più volte espressa dal Papa. In tanti hanno sottolineato le divergenze, io vorrei invece mettere in luce la rilevanza del fatto che sia stato possibile esprimerle pubblicamente, in una modalità e con un’intenzione non conflittuale (l’ossequio di Benedetto XVI nei confronti di Francesco è del tutto evidente e si evince indiscutibilmente anche leggendo queste pagine). Credo sia questo l’aspetto meno scontato e fortemente inedito di tutta questa vicenda, ed è qui che vedo un grande segno per la Chiesa: è possibile nella Chiesa avere posizioni diverse ed è possibile che queste coesistano pacificamente, come Francesco e Benedetto. È lecito pensare le differenze tra i cristiani non come un problema, ma come qualcosa di legittimo, che ha diritto ad essere: possiamo avere idee diverse sulla liturgia, sulla teologia, sulla pastorale, – azzardo – sulle modalità di concepire la morale, senza per forza dover prevalere l’uno sull’altro. Ciò che importa non è determinare chi abbia ragione, ma vivere in pienezza ciascuno il proprio modo di intendere e incarnare il messaggio di Gesù, imparando a vedere il bello l’uno dell’altro e rendendo lode al Padre per questo.
Ciò che realmente è da condannare e da eliminare allora non sono le differenze tra i cristiani – conservatori o progressisti, “bergogliani” o “ratzingeriani” – ma quando queste diventano divisione; quando cioè si ha la pretesa che debba esserci un unico modo di concepire il cristianesimo (ovviamente il mio!) a cui tutti si dovrebbero adeguare. La bellezza del testo di Ratzinger è che trasuda del suo vissuto, delle persone, dei luoghi e dei tempi nei quali è stato prima Vescovo, poi Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e infine Papa. E io posso riconoscere questa bellezza, posso apprezzare lo sguardo di fede di cui il testo è impregnato, nonostante il mio vissuto, e dunque il mio modo di pensare e vivere il cristianesimo, siano differenti. La divisione rende ciechi rispetto al buono che l’altro vuole preservare, anche per me.
Certo questo tema della possibilità della differenza senza divisione nella Chiesa andrebbe molto approfondito. Non è intenzione di chi scrive avallare qualsivoglia forma di relativismo, né affermare semplicisticamente che va sempre bene tutto, tutto è possibile, tutto si può fare. È evidente che vi sia un proprium cristiano imprescindibile, certamente relativamente alla fede, ma anche relativamente alla morale. Da questo punto di vista è interessante il passaggio in cui Ratzinger accenna al mimimum morale intrinseco alla fede. Mi chiedo cosa significhi questo minumum. La morale della Chiesa oggi può essere considerata questo minimum o rischia di eccedere? Ma è un altro discorso.
Ritengo che come Chiesa abbiamo estremamente bisogno di far nostro il segno che Benedetto e Francesco ci consegnano, la possibilità cioè di essere cristiani tra noi diversi – non solo a livello delle sensibilità particolari di ciascuno, ma anche nei modi di pensare e vivere il cristianesimo – ma non per questo in conflitto. Se possono farlo due papi, forse possiamo imparare anche noi.