Dio e il male

Dio e il male
20 Luglio 2018

Come può esistere il male se Dio è amore assoluto? Forse il più grande dei misteri teologici del cristianesimo, che resta tale, soprattutto se lo leggiamo in rapporto all’innocenza, cioè perché l’innocente soffre e sperimenta il male.

Nella tradizione cattolica il male è sempre stato pensato come conseguenza del peccato. Ma prodotto da chi? Dal peccato stesso, o da Dio che, estrinsecamente al peccato, decide di castigare il peccatore? Se torniamo a Gen 3 qualche chiarezza forse si trova. Intanto è innegabile che il male come effetto del peccato si presenti per la prima volta nella bibbia al versetto 7, subito dopo il peccato dell’uomo, con la vergogna che la coppia prova nel percepirsi nudi, che ribalta Gen 2, 24. Poi al versetto 8 la paura di Dio, da cui l’uomo stesso si nasconde. Poi al versetto 12, dove si infrange la fiducia nell’altro. Tutto questo senza intervento di Dio. Le parole di Dio, poi, nel versetti 14-19, hanno tutte i verbi all’imperfetto, non all’imperativo, pur possedendo l’ebraico questa forma verbale. E di solito l’imperfetto ebraico è tradotto col futuro. Non sono perciò azioni che Dio impone come castighi, di cui lui è la causa, ma nelle quali Dio si limita a rivelare all’uomo ciò che lo aspetta a causa del peccato. Infatti le uniche due maledizioni che Dio emette sono contro il serpente e il suolo, non contro i due della coppia.

Il nuovo testamento va nella stessa direzione. Gesù Cristo non castiga mai i peccatori che incontra. Se la prende violentemente con chi non si riconosce peccatore, ma non li castiga. Su 24 passi in cui nella bibbia si parla del castigo di Dio, solo due sono del N.T. e nella 1Gv c’è un passo che dice esattamente il contrario. Lc 13, 1-5 sta li proprio a dire che non esiste collegamento tra castigo di Dio e male sperimentato. Il magistero, dal canto suo è altrettanto chiaro: “(Gli uomini) hanno peccato. È così che nel mondo è entrato il male morale, incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male morale. Però, rispettando la libertà della sua creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene” (310-311).

La risposta sembra chiara, il male non è opera di Dio, ma è effetto inevitabile dell’azione di peccato che l’uomo compie. Ancora Lc 13, 1-5 ci da proprio questa indicazione: è il peccato che produce la morte. In altre parole, non è Dio che ci castiga, ma siamo noi che compiamo un’azione che ha, di suo, per la struttura di quella stessa azione, un effetto maligno, che produce male, a noi, agli altri, al mondo. E questo, per essere compreso nella sua portata così drammatica, come la realtà ci mostra, ha bisogno di essere letto a partire dall’essere stesso delle cose, sul piano ontologico.

Se il peccato è un tentativo impossibile di essere ciò che non si è, il male allora è una sottrazione di “essere” che si viene a produrre in conseguenza di questo tentativo. Il peccato riduce l’essere, mio, degli altri, del mondo. Apre una voragine, crea una mancanza nell’essere, sottrae amore possibile, porta via vita a me, agli altri, al mondo. Il male non è tanto qualcosa che ha una vera consistenza ontologica, ha “l’essere” effettivamente, ma invece qualcosa che “manca di essere”, che corrode l’essere in direzione della sua nullificazione. Il male tende a non essere. Ed esiste solo ed esclusivamente in forza di quel poco di bene che ancora al suo interno alberga, come ricerca depravata dell’amore. Si rende percepibile perciò in quelle forme di vita che ci rimandano al “non essere”, la sofferenza e la morte, ma che sono così drammatiche proprio perché al loro interno continuano ad albergare tracce di vita, di essere, di amore che non vogliono “non essere” più.

Di fronte al male, Dio continua ad amare pazzescamente l’uomo. Il testo più evidente è proprio quello che spesso viene invocato come primo atto in cui Dio castiga, la cacciata dal paradiso terrestre. “Il Signore Dio disse allora: «Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!». Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita”. (Gen 3,22.24)

E’ lampante che Dio agisce per evitare che l’uomo metta le mani anche sull’albero della vita. Un’azione preventiva sul futuro, non retributiva del passato. A meno che non vogliamo pensare che Dio lo faccia per invidia nei confronti dell’uomo, per la paura di essere spodestato dall’uomo, il suo gesto ha solo un’altra lettura possibile: è per evitare all’uomo di provare a completare l’opera del peccato. E’ un gesto protettivo, non punitivo. E’ un gesto misericordioso, che mette l’uomo nella condizione di nuocere un po’ meno a sé stesso e agli altri. Allo stesso modo pure il gesto con cui costruisce le tuniche alla coppia è perché possano vivere senza paura e vergogna, proteggendoli dagli effetti del peccato. Così pure le parole che anticipano le fatiche e i sudori della vita, sono parole che servono all’uomo perché abbia coscienza di ciò che l’aspetta e così possa affrontarlo meglio.

Gesti e parole di Dio che tendono a proteggere l’uomo nelle sue varie relazioni. Come mai? Perché Dio sa che il peccato e il male si diffondono per relazione. La trasmissione del peccato per via di generazione, non è altro che un caso tra i tanti di contagio relazionale del peccato. Il mio atto di amore perverso che vorrebbe “rubare” per me un brandello di felicità limitata, produce in me l’amarezza di non essere riuscito ad avere abbastanza vita, amore, essere. E quando qualcuno o qualcosa entra in relazione con me, questa mancanza che mi porto dentro, si riversa in quella relazione e io tendo a “rubare” anche all’altro quel pezzo di “vita” che cerco e non ho. Essere al mondo significa essere esposti al male, comunque, perché siamo in relazione. Resta però vero che noi non siamo in grado di avere il quadro complessivo di tutte le relazioni e dei loro effetti mortiferi prodotti. Perciò non sappiamo dire perché proprio quella persona lì stia soffrendo, pur se innocente. (vedi Giobbe!)

Solo a condizione che Dio negasse il valore della libertà umana e ne bloccasse gli effetti perversi delle sue azione peccaminose, il dolore innocente sarebbe evitabile. Ma Dio, ovviamente, non può negare ciò che ha fatto, non può pentirsi di aver creato l’uomo libero e capace di amore, a sua somiglianza. Perciò non può intervenire, quando noi vorremmo, a “correggere” gli effetti nefasti delle nostre scelte libere. Ecco perché il male ha possibilità di propagarsi nel mondo, fino alle conseguenze più atroci e indicibili che purtroppo l’uomo ha visto nel corso della storia. E non è ancora finita!

 

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