È un’ottima chiave di lettura il titolo dell’agile volume di Giuliano Zanchi La vita sotto il cielo. Figure e temi della sapienza biblica (Vita e Pensiero, 2024, pp. 129, 15€), poiché racchiude in poche parole il filo rosso che lega le riflessioni disposte in sei capitoli, ovvero stare su ciò conta nello scorrere dei giorni di uomini e donne, sotto lo sguardo del Mistero di Dio — indagato, cercato, interrogato, messo anche in discussione.
In questa prospettiva ‘esistenzialista’, dunque, Zanchi rilegge i libri sapienziali della Bibbia (Proverbi, Sapienza, Siracide, Salmi, Qoelet, Giobbe, Cantico dei Cantici), adottando un taglio volutamente divulgativo e non specialistico, dato che le meditazioni nascono da un ciclo di catechesi che l’autore ha tenuto in una parrocchia, dando poi corpo al libro.
Così il teologo bergamasco ripercorre, organizzando in gruppi affini, i sette libri della letteratura sapienziale della Bibbia cristiana, individuando punti in comune, declinazioni attuali, messaggi che danno ‘sapore’ (lì è l’etimologia di sapienza) al vivere, sfide per l’umano, inciampi, fatiche, partendo sempre da un necessario «ascolto della vita» e della sua complessità: «Se vuoi veramente sintonizzarti sullo spirito che anima la Legge, e in cui Dio parla, portala sempre a misura delle esperienze concrete, dove non ti sarà mai possibile applicare meccanicamente dei Principi o dei Valori, e nemmeno dei Comandamenti, ma dovrai ogni volta capire cosa vuol dire tenerne conto, e questo non ti sarà possibile senza anche decidere come farlo. Con le sole maiuscole, nella vita non si va da nessuna parte».
In effetti, indagando i sette libri sapienziali, emerge come gli autori biblici non abbiano temuto di inserire tessere contrarie, strisce di vari colori, parole cangianti, senza addomesticare la vita e, quindi, la parola: non mancano tensioni e contraddizioni, incertezze e, anche, provocazioni. Così, nell’elenco di consigli che compongono Siracide, Sapienza e Proverbi si danno parole come coordinate di movimento, soprattutto per chi è in giovane età, senza tralasciare quanto la vita sia complicata e grande, e per questo refrattaria a ogni astratta nomenclatura.
Le parti più affascinanti, però, sono quelle che sostano su autentici capolavori della letteratura antica: Qoelet, Giobbe, Salmi, Cantico dei Cantici. In particolare, è nel commento ai primi due libri che Zanchi offre interessanti spunti e felici intuizioni, in una sorta di climax ascendente che tratta del significato della vita, del dolore, della preghiera e dell’amore. Tra tutti, il capitolo su Giobbe, che non a caso è il più ampio del libro, può creare molteplici risonanze, per la profondità della rilettura che è messa in atto, anche cogliendo quegli spunti universali che davvero rendono Giobbe ‘nostro contemporaneo’. Zanchi mette in luce come l’afflizione che investe l’uomo biblico, nella sua sproporzione, ne salva una dignità altissima: Giobbe non si accontenta di facili risposte, rifiuta la vecchia teoria della remunerazione, si proclama innocente e così può alzare un grido a Dio perché risponda, entri in contesa, dica una parola. Qui egli è consapevole che nella sua profonda pena è «implicata anche la dignità di Dio», contro immagini del volto divino che lo riducono a una sorta di carnefice divertito dal dolore dell’umanità; e quante raffigurazioni mentali e verbali, ancora oggi, ricalcano un’idea simile del divino! E Dio risponde, finalmente: non risolve il dramma del perchè esiste il male — mistero insolubile, questo, fino alla fine — ma, come ben evidenzia Zanchi, ciò che conta è che Dio risponda, ciò che vale è che Dio si chini su Giobbe per dargli udienza, in una struttura quasi giuridica, più che il merito di ciò Dio dice. Ancora, brillano la dignità e le fede di Giobbe, anche quando sfiora la bestemmia, poiché egli fa sul serio con Dio, e così riesce a entrare nel dialogo, drammatico e quasi impossibile: «Si può parlare all’infinito di Dio, senza mai parlare veramente con lui; ammassare senza criterio vane formule del ‘sentito dire’ senza accrescere di un millimetro lo spessore di una vera esperienza del divino».
Nella vicenda biblica Dio ristabilisce Giobbe in una condizione ancora più felice rispetto a quella precedente il dolore, evitando la punizione per gli amici ciarlieri e sciocchi solo per riguardo del servo Giobbe. Ma il tema del dolore rimane aperto, per ogni persona che abita il tempo. Da qui scaturiscono grandi domande sapienziali, che però trovano, nell’organizzazione del volume di Giuliano Zanchi, un approdo positivo e generativo, chiudendo infatti le sue considerazioni con il Cantico dei Cantici: un inno alle grandi forme che danno sostanza positiva al ‘vivere sotto il cielo’ — come ben raffigura l’immagine di copertina, Le spigolatrici di Millet — e che il Cantico esalta, quali l’attesa, amore, la generazione, l’erotismo, capaci di sfidare l’inevitabile maglio della morte; ma «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6).