Dacci oggi il nostro sinodo quotidiano…

Anche un blog può assumere una postura sinodale, dialogando a distanza con Brambilla, Salvarani e Sequeri...
25 Ottobre 2021

Anche il Sinodo della Chiesa italiana, dopo quello della Chiesa universale, è ormai partito. E, come intitolava due domeniche fa Avvenire, questa volta «la Chiesa “riparte” dalla gente». O almeno dovrebbe. Perché, leggendo poi l’intervista del vescovo e teologo Brambilla, nonostante il promettente titolo, qualche perplessità sorge – e non va (ancora) via.

Il già vice-presidente della CEI – e attuale presidente della commissione CEI per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi – esordisce ricordando che «di provocatoriamente nuovo, c’è il metodo», ossia il compito di realizzare un «Sinodo “diffuso” o “dal basso”». Per poi soffermarsi sulla (bella) «metafora» dei «“semi del tempo”» – di cui parleremo più avanti. Ma, in conclusione dell’intervista, si mostra forse eccessivamente preso dalla necessità di metterci giustamente in guardia dalle «acerrime polarizzazioni», dagli «estremismi di moda» e da chi «si crede narcisisticamente il primo», oltre a esortarci di essere «comunità testimoniali», «testimoni solo al plurale, anzi in modo corale», «crocevia di relazioni e azioni».

Il nostro teologo non si accorge, infatti, che in questa foga di combattere quelle che considera incarnazioni dell’«egolatria moderna» finisce per utilizzare certe espressioni che rischiano di rivelarsi dei lapsus freudiani in grado di vanificare sul nascere la novità metodologica del processo sinodale. I «profeti isolati», la «voce stonata fuori dal coro [che] fa più danno anche se si fa sentire in modo forte», il «pioniere» – stigmatizzati dal vescovo Brambilla – non possono essere figure travolte in modo così immediato dall’accusa di «egolatria moderna». Un profeta, se tale, non viene isolato? Un profeta, se tale, non grida – non fa chiasso (lio) – nel deserto? Un profeta, se tale, non apre nuove vie?

Ma soprattutto, come non accorgersi che definire la sinodalità come un «collocarsi nel “noi ecclesiale”» rischia di vanificare il tentativo operato da Papa Francesco di persuadere la gerarchia ecclesiastica che «il Sinodo è fino ai limiti, comprende tutti»? Come non accorgersi che lamentarsi del fatto che «basta aprire un sito per vedere quanti insegnano alla Chiesa che cosa deve fare» – accusandoli di voler rappresentare «il nuovo magistero dei blog» – rischia di vanificare l’attenzione che Papa Francesco riserva all’altro, all’imparare dagli altri, fino ad accettarne «anche gli insulti che ti danno»?

Forse per questo motivo, qualche giorno dopo l’intervista al vescovo Brambilla, Brunetto Salvarani – sempre su Avvenire – ci esortava a vincere alcune tentazioni: «non rassegnandoci a contemplare il proprio ombelicocimentandosi in analisi autoconsolatorie o lamentazioni laceranti», ma disponendosi «a relazionarsi con il mondo esterno, con quell’alterità che ormai ci abita e ci mette in crisi e spesso ci inquieta; con la vasta porzione di Paese che non soltanto ha smarrito il senso di Dio, ma non sente per nulla la spinta a un’appartenenza ecclesiale e neppure ha la percezione di cosa voglia dire un’appartenenza simile».

D’altra parte, infine, come non accorgersi che riconoscere lo «stile sinodale» solo a quegli «artigiani che imparano il mestiere, per diventare “artisti di storie buone e nuove”» (Brambilla) rischia di vanificare anche l’invito pressante di Papa Francesco affinché «nel dialogo possano emergere le proprie miserie, senza giustificazioni»?

Anche in tal caso, sempre su Avvenire ma il giorno prima dell’intervista al vescovo Brambilla, il teologo Sequeri aveva ricordato che la «postura sinodale» significa innanzitutto sentire il bisogno di non perdersi ma di ascoltare e riconoscere «la fatica di vivere, il peso dei fallimenti, la mortificazione dell’isolamento» di uomini e donne, «la maggior parte dei quali non osa neppure più pensare di poter essere ascoltata» nella «propria incertezza».

A pensarci bene – e sia detto con affetto – sarebbe bello scoprire che il nostro piccolo blog, con le sue storie anche su ciò che non va, che non funziona nella Chiesa, ha in qualche modo contribuito all’increspatura dell’umore del vescovo di Novara. Più che altro perché significherebbe che “esistiamo”, che “meritiamo” di essere riconosciuti come concausa di tale increspatura. Ma non osiamo pensare a tanto…

Resta, invece, la bellezza della metafora “semi del tempo” usata dal nostro teologo. Con una precisazione, però, legata ad un problema che deve essere evidenziato sino alla nausea: ciò che «resta da pensare» (Brambilla) del processo sinodale secondo Francesco, non è solo cosa è partecipazione, ma anche cosa è missione.

Se è condivisibile il richiamo del vescovo di Novara alla parabola del seminatore – come invitavo a fare già qui – bisogna anche riconoscere come sia il minimo insindacabile ricordare che «abbiamo bisogno di rinnovare il contatto con il mondo, la cultura, la gente, per dare corpo al Vangelo oggi», ossia che «il mondo, la cultura, la vita quotidiana delle persone sono il terreno e la pasta del Vangelo», perché «il seme senza terreno rinsecchisce, il lievito senza pasta diventa rancido».

Certo, questo è un minimum importante, se pensiamo che per alcuni presbiteri e laici mondo e cultura sono invece «solo uno scenario, un teatro su cui si svolge il dramma del Vangelo», senza alcuna «circolarità tra Vangelo e cultura, tra Chiesa e mondo, tra annuncio e territorio», per poi stupirsi (o limitarsi a “maledire”) che «il terreno senza seme diventa steppa arida e torre di Babele, la pasta senza lievito resta massa informe».

La questione centrale – che ho ricordato anche qui – consiste però nell’insufficienza di pensare la Chiesa-in-uscita «dal proprio orticello sicuro» come una comunità che vuole «immettere il seme nel terreno, il lievito nella pasta», ossia «donarlo agli uomini». È vero che il vescovo Brambilla precisa come questa comunità debba «entrare nel campo aperto del mondo per raccogliere la sfida che il mondo di oggi pone al Vangelo», ossia che essa debba «raccogliere le intuizioni più promettenti e trovare vie nuove», appunto, «“i semi del tempo”, ordinandoli al loro destino soprannaturale». Ma, fino a quando non si chiarirà su quale chi – di questa semina – il Sinodo secondo Francesco mette l’accento, sarà difficile evitare «la delusione di una retorica della sinodalità».

Di conseguenza – ripetita iuvant – non è che, forse, Papa Francesco sta chiedendo di pensarci innanzitutto – e forse, in questo kairòs, solamente – come chi né semina, né coopera con la semina, ma solo parte alla ricerca della buona notizia dei semi già piantati da Gesù e dei loro frutti (ecco la missione evangelizzatrice oggi!), per proteggerli, aiutarli a crescere e maturare, raccoglierli e condividerli? In altri termini, come colui a favore del quale lo Spirito ha già allargato confini e orizzonti (della Chiesa stessa), perché si sta già muovendo, sta già operando buone notizie nell’umanità, sta già creando in essa nuove porzioni di popolo di Dio (a prescindere e, in alcuni casi, nonostante la Chiesa stessa)? Come chi non è ossessionato dal trasmettere agli altri un depositum fidei già d(on)ato e (pre)confezionato, ma è desideroso di scoprire negli altri ciò che attualizzerà e rinverdirà quel depositum fidei; non è concentrato sul proprio dono – ricevuto in passato da Dio – da regalare, presentare agli altri, ma anche e forse oggi innanzitutto sul regalo, sul presente – di Dio – che gli altri possono essere per noi?

Sarei curioso di sapere se va nella stessa direzione l’affermazione (un po’ criptica) di Sequeri, secondo la quale questa postura sinodale permanente e quotidiana, richiesta da Papa Francesco, «non è semplicemente l’effetto funzionale della risposta», ma comporta la creazione del «contesto adatto alla costruzione delle domande e all’ascolto delle risposte che devono venire da Lui (Gv 14,26)». Certo è che anche per il teologo milanese «il popolo di Dio, il popolo di coloro che Dio ama e dai quali si sente amato, fortunatamente, è infinitamente più numeroso degli operai della vigna che cercano di sottrarla al Signore continuando a proclamare il loro diritto di disporne». E che, anche per Sequeri, la sinodalità, come «modo di corrispondere al dono della fede e al compito della testimonianza», si concretizza innanzitutto nel «restituire l’onore a questa immensa teoria di gente delle beatitudini, e riconsegnarle il testimone della rappresentanza e della rappresentazione della Chiesa», «invitandoli ai primi posti a tavola» dopo «averli selezionati e trascurati».

D’altronde, conveniamo in conclusione con un pungente ma affettuoso Sequeri, «non vorremo limitarci a una spuntatina della siepe del nostro giardino, solo per fare contento il capo, vero?».

 

3 risposte a “Dacci oggi il nostro sinodo quotidiano…”

  1. Luca Crippa ha detto:

    Grazie, anzitutto: articolo stimolante!
    Condivido l’invito, così percepisco, al coraggio, all’ascolto della profezia, alla correzione fraterna… E rimane la domanda: ma su quali temi vogliamo scoprirci l’un l’altro e esporci nel mondo?

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    PS qui x max lunghezza…

    Secondo me prima pulizia dentro.
    A fondo.
    Peccati
    Persone
    Opere ( vedi Lourdes & c.)
    Conoscenza della Parola.
    Ma la cosa imo + urgente e difficile riguarda la Dottrina.
    Ruolo di Maria
    Cosa è la Messa.
    Quale Sacrificio x chi
    Sacrificio non voglio?
    Quale lavacro da Dio x una offesa a se stesso? Nulla di meglio che far UCCIDERE??
    SE Dio è PURO SPIRITO ( CFR GESÙ), può esserlo un Vero Uomo?
    E tante altre contraddizioni.. che gli “altri “conosco k BENE, meglio di noi

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Msg denso di spunti di tiflessione.
    Mi sembra assodato e indiscutibile che qs Sinodo all’insegna di una Chiesa in uscita.
    Ok.
    Ceci chi già qui non veda quelli che invece hanno buttato via la chiave della porta chiusa
    Cosa resta loro come via di uscita? ( Vs. L’interno, of course?

    Cavalcare la tesi che x uscire dobbiamo presentare al mondo una faccia unica per essere accettati.
    Quindi oscurare Profeti e divisioni interne.

    Tesi interessante, da cui personalmente ricavo qs conclusione.

    NON possiamo fareDUE sinodi DIVERSI contemporaneamente. Servire bero solo a distruggere il Sinodo in discussioni, casino x sommergere il tutto.
    E già è così.

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