Cosa insegna il conflitto Fedez-Ravagnani?

La settimana scorsa è andata in scena l’ultima puntata della telenovela Fedez-Ravagnani. Come si è arrivati a questo punto? Ma soprattutto, cosa dice questa vicenda dell’esperimento social di don Alberto?
25 Ottobre 2022

La settimana scorsa è andata in scena l’ultima puntata della telenovela Fedez-Ravagnani, il famoso rapper e il “prete influencer”, che abbiamo peraltro ospitato su Vinonuovo.it nel nostro primo webinar. Nell’ultimo episodio di Muschio Selvaggio, noto format di Fedez su Youtube, al quale Ravagnani partecipò come ospite, il rapper e i suoi interlocutori hanno rivolto una serie di insulti gratuiti a don Alberto, mandati in onda bippati ma del tutto comprensibili. Don Alberto ha risposto col suo stile, attraverso un video che prova a dare un risvolto educativo alla vicenda, portando la riflessione sul tema del bullismo online. Ma come si è arrivati a questo punto? E soprattutto – più interessante – cosa dice questa vicenda dell’esperimento coraggioso realizzato da don Alberto di esportare nel mondo degli influencer il dialogo/dibattito intorno alla fede e alla religione? Azzardo qualche riflessione, precisando subito che ciò che prendo qui in considerazione è solo ed esclusivamente quella parentesi dell’attività di don Alberto – nel complesso molto più variegata e ricca di progetti interessanti (si veda ad esempio “LabOratorium, presentato qualche settimana fa) – nella quale provò ad aprire un dialogo con Fedez.

Ho seguito con molto interesse questo esperimento. Mi ha sempre intrigato la sfida dell’inculturazione digitale del cristianesimo, ossia l’utilizzo di internet e in particolare dei social network come strumento di evangelizzazione. Da questo punto di vista Ravagnani è senza dubbio un pioniere, non tanto per il fatto di esserci sul web come prete ed evangelizzatore, quanto per il linguaggio e lo stile che ha messo in campo, ispirato ai più efficaci comunicatori social (lui stesso in un’intervista disse di aver preso spunto in primis da Marco Montemagno).

Fu don Alberto, all’inizio della sua avventura di prete-youtuber, a contattare Fedez su Instagram, chiedendogli la disponibilità a collaborare, avviando così uno scambio su tematiche inerenti la religione; inizialmente a distanza, tramite stories di Instagram e video su Youtube, poi dal vivo, a Muschio Selvaggio e su Twitch. Per motivazioni non del tutto chiare (le versioni dei protagonisti divergono) si arrivò, nel maggio del 2021, a una rottura tra i due piuttosto traumatica, i cui strascichi, come testimonia la vicenda degli ultimi giorni, permangono e pongono la legittima domanda sull’opportunità di questa collaborazione.

Da un lato è innegabile che se don Alberto ha ottenuto il seguito e la rilevanza che ha da un punto di vista mediatico, lo deve anche all’effetto traino che la collaborazione con Fedez gli ha garantito. Interloquire su Instagram con un personaggio da 14 milioni di follower, comparire sui suoi canali, ha certamente contribuito a dare a Ravagnani la visibilità necessaria per emergere sui social. Indipendentemente da come è andata a finire è indubbio che l’operazione Fedez per Ravagnani abbia rappresentato un investimento importante dal punto di vista mediatico e va dato atto al giovane prete milanese di possedere e saper utilizzare bene quella scaltrezza evangelica, elogiata da Gesù, propria di chi sa “farsi amici (follower in questo caso) con la ricchezza disonesta”.

Ciò detto, personalmente credo che nel tentativo riuscito di approcciare Fedez, l’intenzione di don Alberto non fosse primariamente quella di intentare un’operazione mediatica. Credo fosse sinceramente mosso dal desiderio di testimoniare la fede in Gesù nel dialogo con Fedez, di mostrare con la sua testimonianza che una certa rappresentazione della fede cristiana, che Fedez più volte ha esternato, è caricaturale, non coglie l’essenza e la bellezza che un’esperienza di fede genuina porta con sé. Ma l’obiettivo di far risuonare nella sua genuinità l’annuncio cristiano attraverso un dibattito mediato dalle piattaforme social, personalmente credo che don Alberto, nel dialogo con Fedez, non sia riuscito a raggiungerlo. Per un motivo che è anzitutto strutturale.

Il desiderio di dialogo si scontra con degli strumenti – i social – che invece di aiutare la convergenza tra punti di vista diversi, favoriscono la contrapposizione. Nei dibattiti con Fedez e gli altri ospiti (si veda la puntata n. 35 di Muschio Selvaggio o la diretta che lo ha visto ospite su Twich) don Alberto appare risucchiato dalla necessità di controbattere alle affermazioni degli altri protagonisti, e le tematiche sulle quali viene interpellato, prevedibilmente, non riguardano il cuore della testimonianza cristiana (l’incontro con Gesù), ma ciò che la mentalità comune è curiosa di sapere parlando con un prete: quello che pensa sul celibato, sul sesso, sull’omosessualità, sulle bestemmie… Don Alberto non riesce quasi mai in questo contesto a parlare di Gesù e del suo incontro personale con lui. È costretto dai suoi interlocutori a discutere e difendere “quello che dice la Chiesa”, senza avere la possibilità di fare un passo in una direzione diversa, sostanzialmente perché il format non lo consente.

Di più: lo strumento non permette di argomentare e approfondire come sarebbe necessario nemmeno le tematiche trattate. La posizione della Chiesa sulla sessualità, ad esempio, è complessa e articolata. Tale complessità, i tempi stretti e il controbattere costante tipico di questo genere di format, non danno la possibilità di percorrerla. Il livello della discussione rimane inevitabilmente, per così dire, sul piano della “logica del mondo”: perché se mi piace una persona non posso andarci a letto liberamente? Perché una donna non può scegliere di abortire? Perché la pornografia non va bene? Una risposta autenticamente cristiana a questi interrogativi non può limitarsi a mostrare che “è giusto così” per ragioni sociali, psicologiche, etiche… Deve mettere in gioco la dimensione della fede: io sono cristiano perché nella mia vita ho incontrato lo sguardo d’amore di Gesù che ha suscitato in me il desiderio di amare come lui ha amato: questo motiva la morale cristiana. Ma a questo livello di profondità, i dibattiti tra don Alberto e Fedez non possono arrivare, rendendo perciò impossibile far emergere il senso autentico dell’essere cristiani e far percepire agli interlocutori di don Alberto la radice profonda delle sue convinzioni. Le sue affermazioni appaiono così come semplici opinioni, che per definizione sono opinabili.

Evangelizzazione è testimonianza dell’incontro personale con Gesù e di come questo incontro cambi la vita, rendendola evangelicamente ricca e feconda. Gli evangelisti per tradurre questa testimonianza in un testo scritto dovettero inventare un genere letterario nuovo, che non esisteva – il Vangelo – ritenendo verosimilmente inadatti allo scopo i generi letterari preesistenti. Personalmente credo sia importante e fecondo esplorare i social sperimentandoli come strumento di evangelizzazione, ma la traduzione della testimonianza cristiana in questo tipo di linguaggio chiede probabilmente a sua volta l’invenzione un format nuovo, adatto allo scopo, diverso da quelli esistenti. Un format che a mio parare ancora non c’è.

 

 

*L’immagine di apertura è presa dal profilo Instagram @donalberto_rava

4 risposte a “Cosa insegna il conflitto Fedez-Ravagnani?”

  1. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Solo una riflessione: il Web è una via artificiale, frutto di ricerca e sfruttamento di materiale quasi astratto, infatti è possibile ascoltare una canzone vedere una foresta lontanissimi fare provare il brivido di essere in un aereo e sorvolare montagne stando fermi seduti in una stanza buia davanti a uno schermo, o premendo un tasto e così anto altro. Operare traverso con l’uso del digitale è diverso che tra due che si incontrano per la strada ma motivazione si frappone e crea la differenza; ma quasi sfida siste in un dibattito teletrasmesso, una combattività da ambe le parti che tende a far prevalere sminuire l’altro, anche se per una buona causa. Manca dunque una naturale sincera umanità che solo se è tutta la persona impegnata un contato che è diverso, perché olo chi è in ricerca di un Gesù , come il Zaccheo, oppure come negli Atti Apostoli 9.23 Filippo battezza un funzionario etiope. Il digitale serve ma a cambiare ci vuole altro

  2. Anna Bortolan ha detto:

    Invece non penso che si possa parlare di un fallimento totale. Don Alberto, nel momento in cui accetta di essere un personaggio pubblico, sa di potersi anche scontrare con opinioni e atteggiamenti non condivisibili. E, da persona matura e intelligente quale è, sa ben rapportarsi ai suoi interlocutori senza pretendere che gli si debba dar ragione su tutto, pena un senso di sconfitta. Non vince chi ha sempre l’ultima parola nelle cose dello spirito ma chi manifesta tolleranza e apertura. Nessuno vuol avere a che fare con persone autoritarie. Se di messaggio di amore vogliamo parlare, l’amore non si impone. Don Alberto va bene così. Nessuna sconfitta, semplicemente opinioni diverse.

  3. Sara ha detto:

    Penso anche io che il format di Muschio Selvaggio non abbia permesso a Don Alberto di esporre ed esporsi totalmente poichè troppo impegnato a schivare accuse e interrogatori morbosi in entrambe le puntate.
    Sono convinta che, anche in caso di invito nello studio di Doncast (Il podcast più santo di tutti), Fedez non avrebbe accettato di incontrarsi al di fuori della sua zona di comfort.
    In sostanza onore a Don Alberto per essersi messo in discussione, è un peccato che il tentativo di evangelizzazione sia fallito, ma pare evidente che la mancanza di fede e spiritualità di Fedez sia l’ultimo dei suoi problemi, ci vorrebbe prima un bel bagno di umiltà, civiltà e rispetto.
    Un modo più efficace per far comunicare Don Alberto e Fedez potrebbe essere un’intervista scritta, come hanno fatto il filosofo Galimberti e Don Juan Carron nel libro “Credere”.

  4. Pietro Buttiglione ha detto:

    Vado alle radici del probl e spari:
    NON è volpa del don né del mezzo.
    È colpa della Chiesa Cattolica e miro meglio: è colpa della sua Dottrina.
    Secondo voi poteva il don liberarsene magari con una sua ‘svalutazione’? Posso farlo io, ma un Prete??
    Palla al piede che impedisce di vedere Cristo in mezzo alle nebbie&contrasti connessi.
    Io continuo a sbattere la testa contro qs muri per chiedermi: non potremmo fare finta che la Chiesa sognata sia già qui???

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