Ci attendiamo un cambiamento pastorale?

Non possiamo sperare che il solo aver patito costrizioni e dolori, o aver sperimentato tecniche nuove di comunicazione, sia sufficiente a muovere una “conversione” pastorale.
5 Maggio 2020

La fase “due” della Chiesa?

Così d’istinto non credo di essere ottimista, cioè sarei portato a mantenere i piedi per terra. Da più parti leggo sollecitazioni affinché la Chiesa possa vivere questa situazione di quarantena anche come una possibilità di riflessione sul suo modo di vivere attualmente la pastorale. Costretta dalla emergenza ha dovuto scovare modalità diverse per far andare avanti la sua attività legata all’annuncio e alla vita del vangelo. Ma non sono convinto che solo questa motivazione sia sufficiente a suscitare una “conversione” pastorale che molti, ben prima del coronavirus, già auspicavano. Per due motivi.

Il primo. La storia della Chiesa ci ricorda in modo abbastanza chiaro come le svolte pastorali delle Chiesa sono sempre state collegate a due fattori, e l’esito positivo di tali svolte è sempre avvenuto solo quando questi due fattori si sono congiunti insieme. Da un lato il primo fattore è il cambiamento socio – culturale che sollecita la Chiesa, che vive nel mondo, a sentire che deve modificare qualcosa del suo “modus operandi” per poter continuare ad essere efficace nel cambiamento dei tempi. Ad esempio, nei secoli XII e XIII, si era fatto evidente a moltissimi uomini di Chiesa la necessità di “riaggiustare” il proprio rapporto con il denaro e con il potere, per poter continuare ad essere pastoralmente efficace.

Ma nel contempo, secondo fattore, il cambiamento pastorale avviene sempre se è animato da un “soffio” particolare dello Spirito, che spinge a forme diverse la riflessione, la celebrazione e l’azione della Chiesa, attraverso uomini e donne che quel soffio sanno ascoltarlo e si lasciano portare a nuove vie di evangelizzazione e crescita della fede. Per restare nel medesimo esempio, il “raggiustamento” necessario nel secoli XII e XIII arriva solo quando persone come Francesco e Domenico inventano, guidati dallo Spirito, forme nuove di pastorale ecclesiale.

Il secondo motivo, connesso al primo. I cambiamenti pastorali richiedono il coraggio di “smontare” stili e abitudini che si sono consolidati nel tempo. E nella Chiesa la resistenza alla novità è sempre stata molto alta. Di solito ciò è avvenuto laddove uomini e donne sono stati “scossi dentro” dallo Spirito, in modo improvviso o graduale, e sono stati spinti a modificare le categorie di fondo con cui sentivano e giudicavano la realtà e di conseguenza anche il proprio agire.

Francesco e Domenico, per restare nell’esempio, si sono mossi così. Ma anche più recentemente, nella svolta del Vaticano II, le biografie di Giovanni XXIII e di Paolo VI testimoniano entrambe questo stesso movimento iniziale di partenza. E la cosa da sottolineare è che per tutti questi testimoni, non è stata tanto l’esperienza del dolore o della tragedia a muoverli, pur se molti di questi hanno anche attraversato dolore e tragedia, ma l’esperienza di essere profondamente e gratuitamente amati da Dio. E’ questo l’elemento più comune che attraversa la storia ecclesiale dei cambiamenti di prospettiva: solo il fatto di vivere l’essere amati sovrabbondantemente da Dio ha prodotto mutazioni di direzione che poi si sono rivelate “luoghi esistenziali” importanti per la fede di molte altre persone.

Ora, la situazione attuale non sembra portare in evidenza questi caratteri. O almeno, al momento non è per nulla facile rintracciarli, se ci fossero. Il recente conflitto CEI – Presidenza del Consiglio, per restare in Italia, sulle messe si – messe no, è rivelativo di una fatica enorme da parte della Chiesa ad abbandonare stili e schemi interpretativi non più realistici, nella organizzazione pastorale. Quale rinnovamento è possibile se ancora la Chiesa si sente “osteggiata e aggredita” dal mondo? Se pretende che uno stato laico si muova rispetto a un principio teologico cattolico? Se attende che le possibilità e gli spazi del suo agire pastorale arrivani dallo stato?

Di sicuro non possiamo sperare che il solo aver patito costrizioni e dolori, o aver sperimentato tecniche nuove di comunicazione, sia sufficiente a muovere una “conversione” pastorale. Certo, già ora ci sono persone che sono state “scosse” dallo spirito e hanno intrapreso sentieri nuovi, con un nuovo sentire e giudicare. Ma si erano già mosse prima del coronavirus e non sembra che la loro presenza fosse stata ancora capace di produrre un cambiamento pastorale effettivo. Saranno oggi capaci di diventare motori o catalizzatori del cambiamento dovuto alla quarantena? La speranza resta, certo, ma al momento sarei più propenso a scommettere per una grossa difficoltà che essi potranno incontrare nel fare questo. Ci saranno altre persone che potranno “smuovere” l’abitudine consolidata?

Lo spirito ci ha abituato a rendere possibili cose impensabili. Perciò proviamoci, ma senza false illusioni.

4 risposte a “Ci attendiamo un cambiamento pastorale?”

  1. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    La Chiesa deve andare avanti svincolata da legami politico-culturali che la inducano a smentire se stessa,il Messaggio che le è stato consegnato dal Signore della Storia e dei Popoli, Cristo il vivente. Ogni esperienza dolorosa,difficile che si viva come in questa pandemia tutti ci tocca dir.o indir.,i segni?Ieri da un sacerdote in televideo ho sentito una promozione nuovissima, inaspettata,arrivata come ciliegia primo frutto, promuoveva la corona del Rosario pregata dai bambini, non solo! Ma ho anche sentito il fare “fioretti”!cose pensate per vecchi, invece proposte ai piccoli.di oggiUno stretching la corona che by passando generazione assente, là si propone preghiera nuova,dolce a Maria, la Madre più Madre,che si fa accosta accarezza chi la chiama e Socorritrice infonde certezza, coraggio, “prega la Madonna” era l’invito di certe madri nei momenti difficili. Il cui affetto materno è anche da Dio , Il Quale ancora a Lei si rivolge per convertire il mondo

  2. Aldo Di Canio ha detto:

    Continua dal commento precedente.
    Riprendere con le messe che sono l’opportunità per pratiche simoniache di una certa religiosità che compra intenzioni di messe e sacramenti (visto che c’è chi vende) in nero (come lo sono oboli e offerte).
    Ripartiamo da una comunità sinodale, ripartiamo dai carismi e dai ministeri, ripartiamo dalla famiglia chiesa domestica e crocevia di pastorale.
    Riconsideriamo che il pane spezzato nelle case dalla mamma o dal papà, ministri ordinati per ogni famiglia dal matrimonio, non possa avere anche una valenza sacramentale come il pane spezzato nelle chiese.

  3. Aldo Di Canio ha detto:

    Riprendere senza capire quello che è avvenuto in questi mesi è da folli anche nella chiesa.
    Intanto abbiamo avuto un pastore che si è posto accanto con una Parola quotidiana, che è andato avanti nel chiedere intercessione per la fine della pandemia, che si è posto dietro a supportare chi non ce la faceva più.
    Non mi sembra aver visto tanti vescovi o preti con una presenza così costante come quella di Papa Francesco.
    Intanto si è spostato il luogo del culto, dalle chiese alle case, dove i genitori hanno vissuto con responsabilità il proprio ruolo educativo a 360° anche per gli aspetti spirituali (nel vissuto delle famiglie non c’è separazione tra materia, spirito e sentimenti.
    Ho visto tanti senza titolo, anche se preti e vescovi, che attraverso le TV hanno tentato di ribaltare nelle famiglie uno stile di chiesa che non appartiene alle famiglie che ha una sua vita di chiesa domestica creativa così come lo Spirito suscita.

  4. Gino Dal Santo ha detto:

    Io credo che la “lotta” in corso fra chi segue Papa Francesco e chi lo vorrebbe morto potrà innescare un processo di rinnovamento della Chiesa culturale e pastorale.

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