“Che la morte mi colga vivo…”, così parlò Zavoli

Dal maestro della parola, nei giorni del ricordo, tre brani inediti e la frase di Ungaretti
6 Agosto 2020

Non è ridondante riascoltare in queste ore le domande quasi sussurrate di Sergio Zavoli, sia per chi è ancora affascinato dalla sua originalissima professionalità, sia per chi si ritrova nella sua inquietudine di cristiano. Colpisce anche rileggere le risposte da lui date un giorno ad una radio locale con quella capacità di parlare come scriveva – tutti gli aggettivi giusti al posto giusto, il sostantivo più veloce quasi dell’idea stessa che vuole esprimere – e con quell’affabilità nella relazione che lo rendeva una persona cara e indimenticabile, prima ancora che il giornalista televisivo più famoso e credibile.

Era venuto a Trento nel 1997, aveva 74 anni, dopo il best seller “Credere, non credere” e tenne per due ore in silenzio anche tanti non credenti nell’aula magna gremita di una scuola cattolica su iniziativa del settimanale diocesano. “Vi rimando volentieri il testo corretto della mia meditazione” fu la promessa (mantenuta) a noi organizzatori e ne uscirono quattro pagine di giornale dense come un saggio peraltro mai pubblicato in un libro perché Zavoli – come i cronisti esigenti anche con sè stessi – non amava  le autocitazioni taglia e incolla. Ne riprendiamo volentieri tre passaggi inedite da Vita Trentina del 9 marzo e del 30 marzo 1997.

Le ragioni per credere: “Una ragione per cui valga la pena credere? Per dirne una molto banale: perché – come diceva Papa Giovanni – non ho mai visto un pessimista giovare a qualcuno o a qualcosa. Immaginare che non vi siano ragioni per credere vuol dire privarsi della possibilità di crescere nella propria umanità.

Attenti, credere però non è il salvacondotto, il contrassegno che tu devi presentare sulla porta di quell’altro mondo per potervi entrare.

Ho sempre pensato strano che la grazia fosse gratis data, che non l’avessero coloro che la richiedevano e che non l’avessero colore che la richiedevano. Poi mi fu spiegato che la grazia ha toccato tutti, ci abilita tutti quanti. La condizione è aver speso i talenti.

Chi può essere tenuto in sospetto da Dio è solo l’uomo neghittoso, che ha nascosto il suo oro, che non si è speso. In definitiva, che non ha creduto. Per questo credere non significa necessariamente credere in Dio”.

La domanda a Cristo: “ Se Cristo tornasse, penso che il più semplice, il più disarmato dei cronisti, a nome non dei cristiani soltanto ma di tutta l’umanità gli direbbe: “Perché non ci hai subito e tutti convertiti, e invece hai chiesto di cercarti, accettando che non ti si trovasse e d’essere persino bestemmiato?”

Alla fine della vita: “Nella vita c’è il tempo di far male, ma anche di ricredersi, il tempo di abbandonarsi a qualche egoismo e di impegnarsi per gli altri, il tempo di capire e di fraintendere, di vivere e di lasciarsi vivere. La vita è un contenitore dove c’è proprio tutto, non è mai esemplare. Ma la prima cosa che mi sentirei di dire è che la vita deve essere vissuta. Impegnarsi, fino a poter dire con Ungaretti: “Che la morte mi colga vivo…”

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