Ma perché applaudono? Se ne va e non tornerà più. Non ci regalerà nuove emozioni e nuovi brandelli di vita. Non ritornerà più a far rinascere testi e melodie che tutti ci portiamo dentro come frammenti della nostra identità. Non tornerà più a regalarci certe canzoni che ci hanno salvato e ci hanno tenuto in piedi in passaggi delicati e duri delle nostra vita.
Eppure applaudono, in 50 mila, come se fosse stata la fine della sua ultima serata. Perché? Non ha cantato lui oggi. Questo strano concerto, che non è un concerto, ci ha restituito la Parola di Dio che parla della trasfigurazione, della fede radicale di Abramo e dell’amore assoluto e assicurato che Dio ci porta. Che strano, spesso sento che la liturgia sa leggere dentro gli eventi in un modo che mi sorprende e mi stupisce ancora. Come se, quando si muore, i conti vengano tirati solo su ciò che davvero conta: la fede, l’amore e “il secondo tempo” della vita che trasfigura tutti i nostri limiti e ci rende capaci di amare come abbiamo sempre desiderato e come non siamo riusciti mai a vivere.
Ciao Lucio. Come tanti oggi, anche io ti penso felice e libero, leggero e ironico, nello sguardo di quel Padre nascosto dentro tanti pezzi di arte che ci hai lasciato e nell’abbraccio di quella Madre che hai cercato da sempre e ti è sempre sfuggita. Sabato sono salito fino alla tua porta di casa, in un atrio classico e armonico del centro di Bologna. E tra l’odore percepibile e quasi palpabile dell’affetto di una intera città, mi ha colpito una cosa. All’ingresso della tua porta tenevi un mezzobusto di una madonna con bambino che allatta. E allora ho capito. Ho capito perché oggi, in 50 mila ti applaudono.
Non è solo l’emozione che ci prende quando la morte si presenta vicino a noi e ci ricorda che siamo uomini, fino in fondo uomini, come Cristo. Non è solo il dolore che ci prende quando questa strana “sorella” ci porta via un amico come te, semplice e intenso, ironico e profondo, che ci ha accompagnato nascostamente per una mezza vita. Non è solo il bisogno di dirti grazie per la tua arte e per la bellezza che hai sparso nel mondo, e che senza quasi saperlo ti ha reso strumento inconsapevole di Dio nel ricordarci che la vita ha senso e che la bellezza davvero ci salva.
Quella madonna sullo stipite di casa tua è una preghiera ed è una accettazione. E’ una preghiera perché Dio continui a ricordarsi di noi, perché i nostri talenti possano produrre, fin dove si può, una canzone che sappia di Dio, e senza nemmeno nominarlo sappiamo parlare di Lui a chiunque ci ascolti. Ma anche perché Dio continui a ricordarsi di noi, pure nelle nostre miserie, nei nostri peccati, nel nostri dubbi, nelle nostre bugie. Ed è una accettazione della realtà che noi siamo, che Dio ci ha concesso di vivere. Comunque essa sia, come Maria ci ha insegnato a fare. Quando ci troviamo tra le dita una capacità, che ci supera, di regalare senso e amore a chi ci incontra, come quando, per vie che nessuno può ancora illuminare, ci troviamo a vivere condizioni che non sono come noi crediamo che Dio ci chieda, ma che non sono eludibili, nella sofferenza di non essere “normali”, nella crescita fuori dagli schemi, nella fatica di ricercare un senso che non si mostra mai sufficientemente.
E allora l’applauso, che questa liturgia ci ha strappato, credo sia un modo per dire che il bene e il male nella nostra vita non possono mai essere separati e che nessuno ha diritto di giudicare, nemmeno sé stessi. E che sarebbe ora di lasciare davvero a Dio il compito di tirare le somme di una vita. E che il sentimento che la morte, illuminata da Cristo, ci porta a vivere è solo quello della pietà. La pietà che consegna a Dio la vita di chi non c’è più e solo gli dice: “Grazie di avercelo regalato, grazie di averlo reso un tuo segno strano e fuori dal coro. Trattamelo bene! E’ mio amico, mi ha amato tanto, anche se non lo ha saputo. Perciò portagli misericordia per i suoi peccati!”. Una pietà che ha il coraggio di stare davanti al dolore dilaniante di un compagno, di condividerlo fin dove si può e di rinunciare alla nostra atavica inclinazione ad essere facili polemisti e accaniti giustizieri. E una pietà che cerca di ricordare e imparare da quella vita qualcosa che ci cambi un po’ in meglio. E Lucio qui credo che ci lasci almeno due preziose perle.
Una fede ironica. In tempi in cui le lotte “teologiche” ci stremano e i fondamentalismi risuscitano, da tutte le parti, la capacità di leggere la fede con una leggera ironia che non cede mai alla sensazione di poter possedere la verità, ci renderebbe davvero più liberi e più belli, e forse parlerebbe di più a chi oggi, che lo sappia o meno, cerca ancora Dio. E ci aiuterebbe a lasciare che lentamente la Verità ci possieda sempre di più, fino a raggiungere tutte le parti della nostra vita.
Una fede che ricerca. In un tempo in cui l’abitudine a dare per scontato e pensare di aver già capito è spesso la base di una fede che è solo da proclamare a chi non ce l’ha, sarebbe bello ricominciare a credere che il cammino di comprensione e maturazione della fede non finisce mai, e ci restituirebbe la semplicità e l’umiltà di camminare con gli altri uomini che non credono come noi, senza nessuna pretesa, se non quella di amarli così come sono, fino a imparare anche da chi pensiamo sia solo da convertire.
Che Dio possa applaudirti al tuo arrivo! Ciao Lucio.