Cercare e credere sono compatibili?

L’impressione che ho è che il problema sia posto male, e che tutte queste posizioni partano dal presupposto che la verità sia un “quid”, più o meno oggettivabile, o mai oggettivabile.
12 Maggio 2023

L’ultimo webinar di VinoNuovo.it, il 2 maggio scorso, ha cercato di aprire uno spazio di ascolto sinodale attorno alla domanda: Quale spazio esiste nella Chiesa per i “cercatori”? Parecchi rimandi avuti successivamente hanno messo l’attenzione su una questione importante che Diego Andreatta ha sintetizzato così: “Tra le condizioni indicate per farsi accompagnatori dei cercatori, c’è quella di “dimenticare gli articoli di fede”, cioè non anteporre subito gli argomenti della dottrina e della morale cattolica, presentate come verità possedute una volta e per sempre”.

Su questo Stefano Fenaroli non conviene e replica (qui) affermando che: “È sulla base di un’autentica ricerca della verità che ciascuno è chiamato (…) a confrontarsi (…). In un certo senso potremmo dire che il vero cercatore è colui che cerca colui che ha trovato.” La questione, cioè, è se e come l’atteggiamento del cercatore sia compatibile con la presenza in lui della verità, come Beretta richiama nel suo commento. Alcuni arrivano a pensare che se uno riconosce una certa verità (ha fede in essa) non può più semplicemente cercare altro. Per altri che la ricerca resta possibile, ma solo dentro a ciò che già si crede. Per altri ancora la ricerca dovrebbe restare aperta all’infinito e per fare ciò bisognerebbe eliminare i dogmi e le affermazioni fondamentali della fede.

L’impressione che ho è che il problema sia posto male, e che tutte queste posizioni partano dal presupposto che la verità sia un “quid”, più o meno oggettivabile, o mai oggettivabile. Una specie di “cosa” che ha una sua consistenza, ideale o reale che sia di fronte alla nostra mente, e che la nostra mente può (o non può) più o meno abbracciare e contenere. Non condivido questo punto di partenza, né sul piano scientifico – filosofico, né su quello teologico, per almeno due motivi.

Il primo. I danni terribili del ‘900, hanno mostrato bene come le “grandi ideologie” si siano nutrite della falsa certezza (sorta da Cartesio e maturata dal ‘700 in poi) di poter determinare una volta per tutte la verità o di non poterla mai determinare. Oggi, dopo la sbornia ideologica, tende a dilagare l’idea che la verità non esista o, al massimo, sia solo una interpretazione soggettiva. Ma ciò, pur cambiando segno, resta nella stessa logica delle ideologie.

Contemporaneamente le granitiche certezze della scienza (in particolare della fisica) si sono sgretolate fino a dover dichiarare che si può arrivare alla certezza che una teoria sia falsa, ma mai, con la medesima solidità, che sia vera, soprattutto perché nel momento in cui cerco di cogliere concettualmente la realtà la modifico, perché anche io sono parte di essa.

Perciò, tra coloro che seriamente continuano a porsi il problema si fa strada la percezione che da un concetto di verità “cosificata” si debba passare ad una idea di verità come “relazionalità”. Cioè che la verità sia il rimbalzo, a livello concettuale, del rapporto, mai compiuto pienamente e sempre in divenire, tra persona intera e realtà intera. Perciò i concetti divengano parziali e momentanee fissazioni di singole parti del vissuto di quella relazione che valgono soprattutto per una parziale e sempre impereftta comunicazione di quella relazione.

Con la sorpresa che questa stessa direzione è stata intravvista sul piano teologico. All’interno della fede la verità sorge come effetto sul piano concettuale, della vita di fede del credente, perché la fede è principalmente una relazione con Cristo e non tanto un insieme di idee rivelate da Dio. Anche prima della definizione dei dogmi sono esistiti i cristiani, santi e martiri, che per vivere la loro fede non hanno avuto bisogno della concettualizzazione definitoria della Chiesa, che è arrivata, invece, proprio perché la Chiesa, nella sua vita di fede, ha ascoltato lo Spirito. E l’opera dello Spirito, che introdurrà alla verità tutta intera, non è finita, continua tutt’ora e continuerà fino alla parusia. Altrimenti davvero si rischia di rendere anche il cristianesimo un’ideologia.

Questo ha almeno tre conseguenze concrete. Ogni singolo credente produce, e ha diritto di produrre, una sua propria lettura concettuale della realtà, in base alla relazione con Cristo. E il magistero dovrebbe riconoscere come il proprio compito sia quello di continuare a segnalare il minimo sindacale per essere di Cristo, riconoscendo che non esiste una sola forma possibile di esplicitazione della verità di fede.

Ne segue che non tutte le verità di fede hanno il medesimo valore identitario, per il cristiano. Ci sono verità essenziali, (il minimo sindacale) che, se credute, testimoniano l’essenzialità effettiva della relazione con Cristo; se non credute possono comunque veicolare una relazione effettiva, anche se parziale. Ma poi ci sono verità accessorie che se non sono credute non necessariamente testimoniano una mancanza di relazione con Cristo. In questo senso la ricerca della verità è un processo, una sequela che non finirà mai fino alla nostra santificazione, cioè nella parusia.

Infine ogni singolo credente ha il diritto e il dovere di continuare a rimodificare la propria visione delle cose, proprio sulla base del progresso e del regresso che nella sua relazione con Cristo può vivere. Anche riconoscendo che alcune verità possono affacciarsi alla propria mente attraverso forme religiose non necessariamente cristiane. Perché la relazione con Cristo esiste nello Spirito Santo e, come ben sappiamo, la Chiesa non ha l’esclusiva dello Spirito. Il cercare, perciò, e non solo all’interno delle verità definite dalla Chiesa, è connaturato alla fede e non può arrestarsi, pena il blocco dello sviluppo spirituale.

Secondo motivo. Se questo è vero, allora bisogna ammettere, come le neuroscienze e una parte interessante delle ultime ricerche filosofiche ci stanno insegnando, che la verità può essere attinta utilizzando tutto intero l’essere umano, non solo la sua razionalità. Perciò la sede della ricerca non è tanto l’intelletto, ma la coscienza, laddove tutte le dimensioni umane si ritrovano in unità, comprese quelle emotive ed istintuali. E questo porta in campo l’intenzionalità, come ci ha insegnato Husserl. La ricerca della verità non è mai neutra, è sempre intenzionale, sempre finalizzata a qualcosa. Perciò diventa essenziale l’atteggiamento personale che si ha nella ricerca della verità, il “cosa voglio raggiungere, come voglio usare questa verità”.

Oggi, a fronte della crisi di verità e di affidabilità delle tradizionali agenzie deputate a veicolare il senso della realtà, sta dilagando l’intenzione della ricerca della verità come “affermazione di sé”. Il timore della perdita della propria identità sta irrigidendo sempre più le posizioni sulla verità, spingendo a sovraccaricare la dimensione identitaria della verità rispetto al riconoscimento dei suoi contenuti. Così l’abilità comunicativa, che sa manipolare bene i mass media, finisce per sostituire il principio di coerenza interna con quello di intensità emotiva, come purtroppo si vede.

Sul piano filosofico, paradossalmente, proprio questa condizione richiede, allora, di imparare a riconnettere il principio di coerenza, con quello di esperienza. A dire che va riconosciuto che non possiamo essere noi a padroneggiare la verità, ma che essa, in quanto mistero indisponibile all’uomo, si rivela nella persona proprio quando sappiamo tenere assieme i dati della nostra esperienza diretta della realtà e la coerenza, non solo logica, ma anche assiologica. Ciò significa muoversi nella ricerca con l’intenzione non di voler cogliere e organizzare concettualmente la verità, ma di lasciarsi afferrare da essa, e di arrendersi ad essa, comunque essa sia, anche quando non si lascia organizzare perfettamente in maniera logica.

E anche qui, come non vedere che questa stessa linea è parallela a una discreta ricerca teologica, in cui proprio l’unità, dichiarata dal vangelo, tra via, verità e vita spinge potentemente a fare della nostra intera persona il luogo in cui la verità di Cristo ci afferra. Con almeno due conseguenze.

Chi vive una relazione di fede e amore con Cristo sa riconoscere che la verità è oggettiva, ma l’accesso ad essa è sempre soggettivo, perché la sorgente della verità è la relazione soggettiva e personale con Cristo. E che quindi, ognuno coglie solo un punto di vista della verità tutta intera. Perciò, senza ricerca, in comune anche con chi non crede o crede diversamente, la verità tutta intera è rallentata e monca. Proprio perché l’esperienza di fede ci segnala come le verità si presentino dentro di noi come doni che, nel mistero della vita, Dio ci offre e che sappiamo riconoscere anche in chi non vuole fare strada con la Chiesa.

In secondo luogo, per questo abbiamo bisogno di ricostruire una grammatica e una sintassi delle emozioni e degli istinti della fede, perché solo quella della razionalità non basta più. Se la carne è il cardine della salvezza e la fede cristiana è una fede davvero incarnata, allora anche il corpo e le emozioni ci parlano di Dio. E forse, qui si potrebbe ritrovare un terreno comune ancora possibile tra tutte le persone, al di là delle varie esperienza spirituali dei singoli.

15 risposte a “Cercare e credere sono compatibili?”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Piazzo qui un richiamo al libro appena uscito dell’amico ( io lo ritengo tale) Paolo Ricca su DIO.
    QS x dire che condivido il suo percorso di ricerca.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    …gli disse Filippo :”Signore, mostraci il Padre e ci basta”, gli rispose Gesù:” da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo. Chi ha visto me ha visto il Padre.Come puoi tu dire “Mostraci il Padre.. Ed e questo che emerge Egli ha cercato far intendere agli Apostoli, la relazione che Egli era nel Padre come il Padre era in lui. Così trova conferma Lui in noi quando le ns.opere testimoniano che siamo cristiani. E’Una relazione dunque che si crea quando si pensa e si opera in Fede di Lui. La Grazia non appare come concessa in cambio di una richiesta, ma insita nel nostro volere, pensare e agire quando conforme a quello evangelico. Cosi che anche noi relazione con il Padre e il Figlio, liberi anche di rifiutare. Se non miracoli ma reale impegno si; oggi un esempio lo abbiamo: si pensa la guerra di difesa giusta ma continuata a oltranza con migliaia di morti può ancora esserlo.? La Pace raggiunta siamo sicuri abbia relazione con la Sua?

  3. Stefano Fenaroli ha detto:

    Un articolo davvero da condividere. Ad alcune risposte, mi permetto di dire: conoscere Gesù? Perché, quelli che l’hanno conosciuto hanno tutti creduto? La verità di Gesù, come dice Borghi, è relazione. Non è qualcosa che si impone, ma è una verità che si chiude con una domanda: “ci credi?”. Se uno non crede, la verità non gli si rivelerà mai in quanto tale. Proprio come negli affetti (se non credo, l’altro non potrà mai “convincermi” che mi ama). Per questo la mediazione della fede (umana) è insuperabile, e per questo la fede cristiana è incarnata. Senza accoglienza, non si dà verità (altrimenti, non saremmo certo arrivati al crocifisso). Senza fede, non c’è miracolo (e non viceversa!). Grazie Gilberto.

  4. Pietro Buttiglione ha detto:

    @Gil
    1) topico ma interessante:
    Io punto sul FINE dell’Incarnazione
    ( rivelare Dio&metanoiare l’Uomo..
    Gil replica con le TOT rappresentazioni di Cristo da parte della Dottrina.
    Pls riflettere!!

    2) quando scrivo che a Gesú nn interessava tanto la rappresentazione di se stesso mi baso su:
    – quanto invece parla di DIO.
    ( N° di volte, cose che dice di Lui)
    – quanto poco parla di se stesso senza riferimenti a Dio e alla sua relazione con Lui.
    – quello che fa lo fa xchè è Dio che lo fa tramite lui
    – imo emerge da tutto questo il suo l’invito a CREDERE noi in lui, liberamente, senza nessuna costrizione, responsabilmente e con partecipazione.
    Scusa Gil ma se la Chiesa si riduce ad una SERIE di “interpretazioni” preferisco affidarmi agli studiosi del calibro di Jesus Seminar. Inoltre: credere in Cristo x me è cosa ben diversa dalle interpretazioni.
    Scusa.

    • gilberto borghi ha detto:

      Non è che si riduce ad interpretazione è che non la puoi mai saltare! Ma davvero pensi di aver raggiunto la verità esatta di Cristo e che la tua posizione sia corretta e insuperabile? Io so che la mia interpretazione di Cristo è una sola delle possibili…

  5. Pietro Buttiglione ha detto:

    @Beretta mi lascia perplesso. Ecco xchè:
    1) Relazione con Gesú impossibile. Obietto
    Quindi l’Eucarestia cosa è? Imo senza relazione si riduce a
    – solo azione di Dio ( che relazione e’?
    – solo io che introito +/-meccanicamente.
    Ma relazione nn presuppone 2?
    2) “Gesú Cristo è QUESTO”
    Temo che i ns testi divergano.
    Imo GESÚ ha evitato di dirsi “IO SONO COSÍ!”
    Gesú, che sia sempre glorioso, è venuto x dirci chi è Dio e ancor piú l’Uomo!!
    ———–
    Riflessione finale:
    Aver ridotto la ns religione a catechismi,
    Santi e Madonne, formalismi e pratiche varie, indulgenze varie ha obnubilato Lui.
    Quindi non meravigliamoci poi se un cristiano di punta scrive che la relazione con Gesú è impossibile.

    • gilberto borghi ha detto:

      Pietro, è interessante che tu sottolinei che Gesù ha detto di sè di essere esattamente come tu lo dipingi.
      Forse divresti ricordarti che nel N.T. abbiamo almeno 8 diverse interpretazioni di chi sia Cristo! E questo perchè si attinge Cristo sempre e solo mediatamente. Nella storia attraverso i testimoni oculari della sua vita, nello spirito attraverao la nostra stessa relazione con lui.
      La radice stessa della fede prevede interpretazioni multiple di Cristo. Per questo esiste il magistero!

  6. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Inoltre si perde completamente la concezione di fede come “dono” trasformandola in uno sforzo umano di ricerca. Per quanto uno cerchi, cerchi, non trovera’ nulla se il Signore non lo illumina dall’ alto. O vogliamo cadere nel pelagianesimo in cui l’ uomo coi suoi soli sforzi e ricerche arriva a Dio ,senza bisogno della Grazia?

  7. Gian Piero Del Bono ha detto:

    E chi decide che una verita’ e’ essenziale o accessoria, chi decide quale e’ il mino sindacale per dirsi cristiani ? Lo decide ogni individuo? Per un individuo per esempio credere nella vita eterna,nell’ Incarnazione , nella Resurrezione, puo’ essere una verita’ accessoria,una cosa non necessaria. Quali articoli del Credo saranno opzionali?Chi lo decide ? E il” minimo sindacale” cosa significa? Se uno non AMA Cristo non e’ cristiano, e in amore non c’ e’ un minimo sindacale. Mi pare che volete trasformare la fede da uno slancio del cuore che tutto accetta e crede per amore ,in una meschineria piccolo borghese con la lista degli articoli di fede necessari e quelli accessori .

  8. Roberto Beretta ha detto:

    Grazie Gilberto, mi sembra che questo post ci faccia fare dei passi avanti. Sede della ricerca è la coscienza: perfetto, mi sta proprio bene. Meno invece la questione della fede come relazione con Cristo. Quale può essere una relazione con qualcuno che non abbiamo conosciuto? Ovviamente quella che abbiamo attraverso la conoscenza dei suoi lasciti (in questo caso gli scritti, peraltro anch’essi mediati da altre persone) e di quanto è stato detto o fatto dopo di lui in suo nome (semplificando: la tradizione, la Chiesa). La famosa “relazione con Cristo” passa dunque attraverso una ricerca – di vario genere: esegetica, storica, teologica, spirituale, mistica etc etc – su queste due fonti. E non può essere altro che una ricerca libera, non determinata, perennemente incompiuta, ma soprattutto aperta alle più diverse interpretazioni. C’è stato e ci sarà mai qualcuno che possa dire: Gesù Cristo è questo? Dobbiamo arrenderci: la nostra fede è (e deve essere) “provvisoria”.

    • gilberto borghi ha detto:

      Ovvio che è provvisoria… nel regno la fede non ci sarà più… ma provvisorio non coincide con ognuno può credere quel che vuole e tutti siamo cristiani

  9. Pietro Buttiglione ha detto:

    Scrive Gil:
    “perché la fede è principalmente una relazione con Cristo e non tanto un insieme di idee rivelate da Dio”
    Sottoscrivo ( sempre e tutto di quello che scrive, al max aggiungo le condizioni/limiti di validitá😄)
    Ma accosto a quanto scrive dopo:
    ” il magistero dovrebbe riconoscere come il proprio compito sia quello di continuare a segnalare il minimo sindacale per essere di Cristo, riconoscendo che non esiste una sola forma possibile di esplicitazione della verità di fede”
    X me il compito = servire e favorire l’accesso/la comunicazione del fedele a Cristo. Inoltre ogni forma ‘sindacale’ deve, come la Parola di Dio: Io dico cosí, ma tu sei libero di…
    Chiudo con le lamentele dei genitori riportate stamane dal Sacerdote:
    Voi parlate do morti, sacrifici.. cosí non attirate i ns figli!!
    Forse abbiamo oscurato Lui, mangione e beone, con Santi e Madonne??

  10. Pietro Buttiglione ha detto:

    Lodo la lunga analisi di Gil e commento:
    – passare da Veritá cosificata a ‘relazionata’ . Chiedo se nn sarebbe + semplice accettare che la Veritá è possibile ma va sempre RELATIVIZZATA, cioè ancorata a limiti e condizioni, cambiando le quali la Verità cambia.
    A me sembra= a relazionata di Gil.
    Qui mi sia xmessa una digressione.
    Il mio primogenito nipote stamane chiede( ma chi ha detto che i ns giovani non CERCANO)!
    Conosci il Biglino? Devo rispondere no.
    Vado e mi si apre un mondo, devo riconoscere attraente..
    xchè lo attacco qui?
    Xchè è un bellissimo esempio a corollario di quanto sopra:
    Oggi uno dei + grossi problemi nella cerca di Veritá è che ognuno procede con i mezzi ed i k/h che ha. Manca spesso una vera visione d’assieme. Direte: Ma il Biglino approfondisce e collega! Rispondo:
    Con tanta immaginazione e dimenticando il principio di Realtá x cui da un fagiolo nn nasce una serpe.
    Adesso finisco di leggere il buon Gil..🙃

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