Cammino sinodale: “… e ora, che fare?”

La quantità di carne messa al fuoco dalla sintesi nazionale richiede l'elaborazione di una scheda sintetica che ne restituisca la visione d'insieme
21 Ottobre 2022

Dopo l’uscita dei quattro articoli dedicati alla sintesi finale del primo anno di cammino sinodale, mi è stato chiesto di farne una reductio ad unum per fini operativi. In effetti, è importante avere una visione d’insieme immediata e chiara, sia di ciò che è emerso dall’ascolto diocesano, sia dei «cambiamenti concreti (prassi e istituzioni)» (§2.10) che ogni conferenza episcopale, diocesi o parrocchia dovrà esaminare in modo approfondito, pena la perdita di quel (grande o piccolo) residuo di credibilità che la Chiesa italiana ancora conserva.

La speranza è quella di offrire ad ogni credente un piccolo promemoria sinodale con cui – eventualmente – poter andare a “fare il rompiscatole” dal proprio parroco, direttore di ufficio (diocesano o nazionale), vescovo e presidente di conferenza episcopale (regionale o nazionale): chissà che da cosa nasca cosa

 

I soggetti –

Questi cambiamenti dovranno riguardare innanzitutto i presbiteri (secondo la sintesi, ancora troppo soli e troppo poco “artisti” della relazione):

1) «rivedere la formazione iniziale e continua sia nei contenuti, sia nelle forme» (§2.9);
2) «rivedere in prospettiva maggiormente comunitaria il tema delle funzioni e delle mansioni svolte attualmente» (§2.3 – una sorta di “de-preto-centramento”);
3) «particolare attenzione va riservata a religiose e consacrate, che spesso si sentono utilizzate [da essi – ndr] soltanto come “manodopera pastorale”» (§2.6).

In secondo luogo – e di conseguenza– il cambiamento dovrà riguardare la «corresponsabilità» (§2.6) dei laici (a partire dalle donne, passando per la famiglia, sino agli ambienti di vita):

1) «valorizzazione della comune dignità battesimale che (…) conduca a riconoscere la responsabilità di tutti i credenti, ciascuno con il dono che gli è proprio» (§2.6);
2) «creazione di un “ministero di prossimità” per i laici dedicati all’ascolto delle situazioni di fragilità» (§2.2);
3) «rafforzare le competenze delle laiche e dei laici impegnati nei diversi ministeri» (§2.9);
4) «avvio di una pastorale integrata (…) delle parrocchie con quanti vivono l’annuncio» al di fuori di esse (§2.6);
5) i «movimenti,associazioni e gruppi ecclesiali» devono aprirsi «alla collaborazione tra di loro e alla partecipazione alla vita della Chiesa locale» (§2.6).

Preoccupa il silenzio assordante della sintesi sugli insegnanti – soprattutto di religione – capaci di ascoltare i giovani che la Chiesa non intercetta più, e sui volontari capaci non solo di aiutare ma anche di guardare negli occhi le persone che la Chiesa soccorre. Sono quindi da rilanciare (o reinventare) con urgenza l’ascolto e il dialogo con tutti coloro che già accolgono, si confrontano ed elaborano atteggiamenti pastorali e linguaggi teologici includenti le persone che per vari motivi si sentono fuori – o sulla soglia – della Chiesa.

 

Le strutture – 

Il cambiamento relativo ai soggetti e alle loro relazioni (che riguardano anche il potere pur quando sono definite come servizio) dovrà essere seguito o affiancato dal cambiamento di alcune strutture e procedure, quantomeno per rispondere alla grande «voglia di partecipazione» emersa dalle sintesi:

1) «tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratici» (§2.8);
2) «rilancio degli organismi di partecipazione [e] sviluppo di leadership allargate (…) in cui le decisioni si prendono insieme, sulla base dell’apporto di ciascuno a comprendere la voce dello Spirito, nella chiave del discernimento e non della democrazia rappresentativa» (§2.6);
3) incremento dei «luoghi di dialogo nella Chiesa (…) in modo particolare tra Chiesa locale e società civile»;
4) «comunicazione trasparente», «condivisione delle informazioni», «cura nel coinvolgere i diversi soggetti parte nei processi», per evitare«insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali» (§2.5).

Affinché i soggetti coinvolti non sviluppino «forme di clericalismo nella gestione dei piccoli spazi di potere loro affidati» (§2.6), credo sia necessario (ri)pensare procedure teologicamente ed ecclesiologicamente più chiare e più comunitarie di nomina. Preoccupa, in tal senso, la mancata richiesta di correttivi più strutturali ed istituzionali «per abitare e superare i conflitti e le frammentazioni» (§2.3) intra-ecclesiali: nella sintesi si parla solo di vaghi «cammini di riconciliazione» (§2.3) e di vaghe esortazioni ad «investire nella costruzione di relazioni fraterne, valorizzando la pluralità delle sensibilità e provenienze come risorsa» (§2.8).

 

Le azioni pastorali –

Ci sono, infine, una serie di azioni pastorali che vengono richieste con urgenza per migliorare la vita comunitaria ecclesiale di tutti i giorni:

1) «forte desiderio di una conoscenza della Parola di Dio più approfondita (…) guidata da diaconi, religiosi o laici (uomini e donne) formati» (§2.4);
2) «urgente aggiornamento del registro linguistico e gestuale delle celebrazioni»(§2.4);
3) «discernimento delle potenziali ambiguità della pietà popolare e sforzo per farne occasione di crescita di una coscienza civile, sensibile ai problemi sociali ed economici delle famiglie e dei poveri» (§2.4);
4) «il cammino dell’iniziazione cristiana ha bisogno di (…) integrare la dimensione cognitiva, affettiva, relazionale, estetica attraverso una pluralità di strumenti e linguaggi», oltre a vedere rafforzate «le competenze delle laiche e dei laici impegnati» in esso (§2.9).

Preoccupa il fatto che la «conversione del linguaggio» ecclesiale venga quasi sempre intesa non come il frutto di un approfondimento sostanziale della verità cristiana nella vita delle persone, ma come un semplice rivestimento di tale verità facilmente adattabile (magari solo un po’ ingentilito) a nuovi contesti e nuove persone. Preoccupa anche che l’uso della categoria di «accompagnamento» evochi modalità paternalistiche di vicinanza (quasi a dire “ti guido io perché da solo non ce la fai”), così come l’uso della categoria di «autenticità» faccia pensare che la prima preoccupazione ecclesiale nel relazionarsi con le persone d’oggi sia quella di assegnare patenti di «autenticità» (o meno) alle loro esperienze umane e di fede.

 

Gli atteggiamenti pastorali –

Sempre per migliorare la vita comunitaria ecclesiale quotidiana, la sintesi indica anche degli atteggiamenti pastorali da inaugurare o rafforzare:

1) dare «priorità» all’ascolto della «vita» e dei «vissuti» degli altri (senza rimuovere «il piano delle emozioni e dei sentimenti»), perché «il Signore si lascia incontrare nella vita ordinaria di ciascuno, ed è lì che chiede di essere riconosciuto»;
2) riconoscere la necessità di un «incontro» con la vita complessa di una pluralità di persone «ferite», che incarnano «differenze» desiderose di un «dialogo» e di un «confronto (…) attento a scegliere termini che esprimano rispetto e non siano giudicanti»;
3) leggere questi mondi altri come «un dono», con la «disponibilità ad accogliere le novità, di persone e proposte», per uno «scambio autentico in cui cogliere i “segni dei tempi”», dato che i «semi del Verbo [sono] presenti in ogni contesto (…) nei luoghi e nelle forme più impensate»;
4) essere «un luogo di libertà» (§2.8), «a misura di tutti» (§2.9), senza «lasciare indietro nessuno» (§2.2), ma sapendo «stare a fianco [e] sostenere» (§2.9) tutti, perché possano autonomamente «coltivare la propria coscienza credente» o semplicemente «accrescere le proprie risorse relazionali, cognitive, affettive, spirituali» (§2.9).

Preoccupa, in tal senso, lo svuotarsi della categoria usata nei Cantieri di Betania – con annessa citazione di Gaudium et Spes, 44 – dell’imparare ecclesiale da questi mondi altri, ossia dell’immagine discepolare della Chiesa, nonostante nella sintesi si ricordi che la Chiesa debba «rinunciare alla pretesa di sapere sempre che cosa dire» e debba, invece, «imparare a mettersi in discussione».

 

3 risposte a “Cammino sinodale: “… e ora, che fare?””

  1. Luigi Autiero ha detto:

    Caro Roberto, sono un semplice missionario e Testimone di Cristo;
    ho letto la sua conclusione e sono d’accordo con lei,
    ma le ricordo che la mia ” la sua , come quella di ogni vivente” redenzione, riconciliazione e il perdono dei peccati , non dipendono dal seguire o meno una corrente religiosa che sia, in vista del Fatto inconfutabile che , la chiamata del Signore Cristo a seguirLO è personale.
    Occorre cercare LUI in un rapporto personale;
    abbiamo bisogno di essere salvati ,perdonati, e solo il Suo Sangue prezioso può purificarci come recita il testo biblico.
    Occorre innanzitutto il ravvedimento e occorre cercare LUI nel segreto della cameretta…
    Senza essere Cristocentrici nella fede, siamo solo religiosi senza Vita, e come LUI dice,
    i religiosi, che ancora vogliono vivere servendo il peccato affacciandosi nel contempo alla fede,
    a Casa Sua non entreranno; il peccato va abbandonato.
    Saluti

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Che fare?
    Sognare!
    Come x la Gerusalemme celeste immaginare, agognare una Chiesa DIVERSA, xchè diversa DEVE essere, post-Sinodo. Sognare aiuta a costruire.
    PS
    A pro di comunicazione il buon don Cesare ci ha detto che trova difficoltà nello spiegare a Catechismo alcune delle categorie ns princioali..
    COSA significa VITA ETERNA?
    COSA AMORE?

    ha ragione Gil: qui occirre una nuova antropologia. Vedo sempre più studiosi aggredire il senso di coscienza..
    E noi? Solo il buon Andreoli lo ha inteso…🤩🤩😷

  3. Roberto Beretta ha detto:

    Ringrazio l’articolista, ma la sintesi non fa che confermare la mia impressione iniziale: tutto già ampiamente detto e sentito, tutto molto teorico e generico. Spero che le idee nuove e le applicazioni “rivoluzionare” vengano in seguito; ma certo questo documento non offre spunti per farlo.

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