Benedetti fumetti

Sono un linguaggio alto, non di serie B, con spiccate attitudini al racconto e con radici nell'arte sacra. A patto di non scadere nella caricatura
24 Agosto 2011

CHE FIGURA!

 

Ho appena finito di leggere le figure della Genesi, illustrata da Robert Crumb, maestro del fumetto. Non ne sono entusiasta, tuttavia vorrei trattenere qualcosa di buono: ad esempio la carnalità dei personaggi, che fa parte della cifra stilistica di Crumb. Una carnalità apprezzabile quando rappresenta i giochi amorosi, mai osceni; quando raffigura le partorienti e i festeggiamenti alle nuove creature; quando dà un volto a ogni nome entrato negli elenchi delle generazioni. Ma una carnalità imbarazzante nel momento in cui il creativo la estende al Creatore: un vecchio terribile, dalla barba lunghissima, incapace di sorridere – perfino dopo la creazione – e mai percepibile come padre. Un Dio indicibile (Crumb ricorre spesso al tetragramma JHWH) e anche… inguardabile (più che invisibile).

Non si vuol dire che i fumetti siano incapaci di rendere la bellezza, ma che debbano tenere sotto controllo la tendenza alle deformazioni, alle smorfie, ai rumori. Inclinazione speculare a quella dei telefilm, che rischiano di fare caricature in positivo: basti vedere le fiction a tema biblico prodotte dalla Lux Vide. Che ci restituiscono un magnifico S. Paolo, nonostante gli avversari lo descrivessero di presenza fisica debole e di parola dimessa (2 Cor 10,10).

Resta il fatto che mettersi a raccontare un libro della Bibbia vuol dire amarlo, esserne rimasto colpito, averlo trovato significativo: sono dunque grato a Crumb e alla Lux Vide per essersi cimentati nell’impresa, come lo sono a Gioele Dix, quando interpreta la storia di Giacobbe, e a Erri De Luca, ogniqualvolta racconta le vicende di Tamar. Che, guarda caso, sono contenute proprio nella Genesi e che – va a sapere perché – raramente si ascoltano da un cattolico. Come se fossero storie minori, sulle quali non è il caso di perdere tempo. Un destino simile a quello del fumetto, considerato sempre con un po’ di puzza al naso, alla stregua di un linguaggio minore. Come se ricorrere a figure in sequenza fosse una debolezza, oppure un’astuzia per catturare l’attenzione. Eppure non mandano la Bibbia in fumo, i fumetti. Aiutano a conoscerla, a scoprire dove hanno preso forma tante figure del nostro parlare: ad esempio, la colomba, l’ulivo e l’arcobaleno per dire pace sono nella storia di Noè, prima che nei disegni di Picasso.

Né va dimenticato che già nei tempi antichi i pittori d’arte sacra erano a conoscenza di tecniche narrative tipiche del fumetto odierno. Chi crede che a caratterizzare il fumetto sia il balloon, cioè la nuvoletta di fumo che contiene le parole o i pensieri, vada a Roma nella basilica inferiore di S. Clemente: un affresco dell’XI secolo sulla Passione di S. Clemente riporta gli ordini di un patrizio ai suoi servi. È la prima volta che su un’immagine appaiono delle parole in volgare. Che, tra l’altro, sono pure volgari. Certamente meno raffinate di quelle che, nel Trecento, Simone Martini fa uscire dalla bocca dell’arcangelo Gabriele per andare a fecondare l’orecchio di Maria.

Più ancora delle parole, ciò che distingue il linguaggio del fumetto è la propensione a narrare. Che avviene in due diverse modalità: o con una sequenza di vignette, o con la raffigurazione di momenti consecutivi nella stessa inquadratura. Come succede nella chiesa romana di San Saba, in un affresco del IX secolo sul miracolo del paralitico di Cafarnao: in un primo tempo calato dall’alto, disteso sul lettino, e poi in piedi, guarito, nell’atto di portarsi via il giaciglio (Gesù gli aveva detto: «Àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua»).

Questo modo di raccontare è presente perfino in due grandi opere. Anzitutto Il tributo di Masaccio, a Firenze, dove Pietro viene riprodotto addirittura tre volte: al centro nella parte iniziale della storia, a sinistra nel secondo momento e a destra nell’epilogo (Mt 17). L’altra è La trasfigurazione di Raffaello, a Roma, ultima opera dell’artista. Gli spettatori, con lo sguardo proteso in alto, verso Gesù in bianchissime vesti, raramente si accorgono che la metà inferiore del quadro è occupata dalla Guarigione dell’epilettico, episodio che i Vangeli collocano subito dopo la trasfigurazione (Mt 17; Mc 9; Lc 9). È pensabile che l’accostamento delle due scene non sia dipinto a caso e suggerisca un nesso tra due contemplazioni di gloria: quella di Gesù e quella dell’uomo risanato (S. Ireneo: «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio… Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio»).

Chi, sempre a Roma, avesse voglia di fare un giro diverso dai soliti, si rechi nell’oratorio di S. Silvestro, attiguo all’ingresso della basilica dei Santi Quattro Coronati. Vi potrà gustare una bella storia per immagini datata 1248, con una sequenza di riquadri che sono gli antenati del fumetto, per quanto privi di parole (in realtà, nella fascia sottostante, ci sono tracce di didascalie).

Provo a riassumerne alcuni, in ordine di apparizione. All’imperatore Costantino, malato di lebbra, i sacerdoti pagani suggeriscono di bagnarsi nel sangue di bambini. E già le madri si disperano al pensiero di una nuova strage d’innocenti. Ma, in sogno, Costantino vede due personaggi che lo indirizzano sul monte Soratte, dove si è rifugiato papa Silvestro. L’imperatore invia dunque tre uomini a chiedere lumi al vescovo di Roma. Quest’ultimo va da Costantino, svelandogli che i due del sogno erano Pietro e Paolo e proponendo all’imperatore un’immersione d’altro tipo, nel fonte battesimale. E Costantino, sotto gli occhi sconcertati dei collaboratori, si fa battezzare. Poi, privo di corona, con una mano offre a Silvestro la mitria e con l’altra tiene le redini di un cavallo, quasi ad abbassarsi al ruolo di stalliere del papa. A cui dà Roma e l’Occidente, riservando a sé l’Oriente. Questa storia, che traspone in immagini la famosa “donazione di Costantino”, utilizzata per giustificare il potere temporale dei papi, è un falso, smascherato – all’inizio del XVI secolo – con argomenti filologici, quindi scientifici, da Lorenzo Valla. Che, va detto, non era un anticlericale ma un canonico, sepolto con ogni onore in S. Giovanni in Laterano.

Tornando al protofumetto dell’oratorio di S. Silvestro, colpiscono due particolari. Il primo è il sopracciglio inarcato dell’attendente di Costantino, che sostiene l’abito imperiale mentre il suo superiore, nudo come un verme, sta ricevendo il Battesimo: quel sopracciglio è una deformazione tipica del fumetto, analoga alle lacrime gigantesche dei disegni di Crumb. Il secondo particolare è il riquadro che mostra Silvestro nel momento in cui sottopone all’imperatore il quadro incorniciato di Pietro e Paolo. Come se un commissario estraesse una foto dal portafoglio per chiedere «Erano ’sti due i tizi che hai visto?». È un’immagine che dice la potenza delle immagini: perché sono più credibili delle parole, perché provano la verità (paradossalmente… anche in una storia non vera). Ora si capisce meglio l’aforisma di Georg Christoph Lichtenberg, secondo cui «i santi di legno scolpito hanno certo fatto più per il mondo che quelli in carne ed ossa».

 

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