A proposito di asini

Lo stesso epiteto, che il graffito blasfemo associa al Messia crocifisso, ritorna oggi, riferito a chi sradica i santi segni cristiani, portandoli fuori del contesto della fede. Che guazzabuglio è la storia…
8 Febbraio 2022

Terzo secolo dopo Cristo, a Roma. Che vita conducevano i cristiani? È domanda la cui risposta lascio agli storici. Mi piace pensare che i cristiani, l’anima del mondo (la celeberrima Lettera a Digneto è di poco precedente), offrissero una testimonianza, come sempre imperfetta, sostanzialmente mite. Ciononostante, la persecuzione infuriava. Per dirne una, a metà del secolo, nel 257 o 258, il santo di cui porto il nome avrebbe offerto la testimonianza suprema. Nel 313 sarebbe arrivato l’editto di Costantino, con la fine delle persecuzioni nell’Urbe. Che poi le persecuzioni, nell’Orbe, non siano mai terminate è un’altra storia.

Tuttavia torniamo al III secolo. Non c’era solo la persecuzione, ma ragionevolmente l’emarginazione; sicuramente lo scherno, anche feroce. È quello che ci racconta un graffito conservato nel Museo Palatino: un uomo con testa d’asino crocifisso e un orante; la didascalia spiega per chi non avesse capito “Alessameno venera [il suo] dio” . Lo chiamano “graffito blasfemo del Palatino”: la più antica rappresentazione della Crocifissione è per dileggio. Persino la lettera Y sopra la croce dovrebbe rappresentare l’urlo di dolore del condannato, il dolore di colui che portava le iniquità di tutti noi.

Che ne sarà stato di Alessameno? Sarà incappato nella persecuzione? Non lo sappiamo e astenerci dal romanzare è un modo di onorarne la memoria.

E oggi? E qui? C’è sicuramente qualcuno che paga, anche con la vita. C’è più di uno si procura isolamento e inimicizie per qualche scelta controcorrente in fedeltà al Vangelo. E, senza cercare esempi eclatanti, di “virtù in grado eroico”, lo sappiamo tutti che seguire il Signore significa passare, ogni giorno, per una porta stretta.

E poi c’è il caso di Achille Lauro e le sue provocazioni. Nella prima serata del Festival di Sanremo, “ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica”; così scrive Mons. Suetta, Vescovo della Diocesi.

A me quella di Achille Lauro (di cui non sono particolare conoscitore) sembra solo una trovata ad effetto; il “colpevole” afferma che si è trattato di una citazione, anzi di un omaggio. In realtà, se davvero fosse una citazione irridente (ben altre citazioni improprie ci sono state), non sarebbe niente di nuovo sotto il sole: siamo tornati alla derisione presente sin dai primi secoli. Sarà così fino alla fine dei tempi; diversamente, senza lo scandalo della croce, ci sarebbe qualcosa che non torna. Posso condividere la sensazione di fastidio; anche se, per dirla tutta, io mi sento più deriso in altre circostanze, ad esempio quando l’amico non credente, con tono di compatimento, dice di non aver bisogno di un “amico immaginario”. Ma sicuramente non siamo al III secolo. Qualcuno avrà replicato polemicamente al vescovo, intervenuto in coscienza a salvaguardia della fede dei semplici. Ma, al di là della presunta profanazione, non c’è nessuna persecuzione di massa dei cristiani in Italia e chissà se, in una vera persecuzione, la maggior parte di noi non verrebbe assolta per “insufficienza di prove”, o proprio perché “il fatto non sussiste”.

C’è persino un paradosso. Il Vescovo di Ventimiglia Sanremo scrive “raglio d’asino non sale al cielo”. Proprio così: lo stesso epiteto, che il graffito blasfemo associa al Messia crocifisso, ritorna oggi, riferito questa volta a chi sradica i santi segni cristiani, portandoli fuori del contesto della fede. Che guazzabuglio è la storia…

E lui, il Nazareno, lui che alle cavalcature regali preferiva il mite asino, cosa direbbe oggi, cosa farebbe? Io sono sicuro che, come dalla croce (Lc 23,34), avrebbe per tutti uno sguardo di misericordia, con il distacco, solo apparente, dettato dal rispetto della libertà dell’uomo. E in un abbraccio sarebbe accolta e reintegrata anche la testimonianza di noi cristiani, insufficienze e stonature comprese.

4 risposte a “A proposito di asini”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E’ evidente però che se questo “artista” in opere che ama mettere alla berlina prendendo da Episodi letti in libri “sacri”, ovviamente non suscita quella ilarità accolta invece da coloro che non ne sono toccati perché distanti dal credo. Cosa dire se non che un festival per avere successo secondo gli organizzatori, i quali non sembrano sentirsi sicuri a contare soltanto sul “canoro”; (a un ascoltatore profano sembrano tutti simili, In quanto a potenza vocale e fantasia; le parole poi andrebbero evidenziate in schermo perché rese intellegibili nei vocalizzi e tanta pioggia di luci non basta a rompere la monotonia) o il timore venga meno l’entusiasmo, il ricorso a quegli “extra” se a taluni possono arrivare come atto blasfemo, per altri essere libertà artistica, non dileggio, soltanto fantasia divertente. Se il festival ha avuto successo, alto indice di ascolti, agli organizzatori questo è il risultato desiderato. Una nuova espressione di libertà raggiunta?

  2. Sergio Ventura ha detto:

    Interessante accostamento quello di Lorenzo! Me ne ha fatto venire in mente un altro, sempre legato alla vicenda Lauro. Anche don Fabrizio Gatta, noto ex conduttore RAI da poco presbitero (e viceparrocco proprio a Sanremo), aveva reagito a caldo definendo Lauro un “coniglio”. Ma, come l’asino, anche il coniglio (o la lepre) sembra avere il suo spazio nella storia cristiana: dalle tradizioni pasquali, alla ‘Madonna del coniglio’ di Tiziano, sino al ‘coniglio-Gesù risorto’ di sant’Ambrogio. E senza alcuno scandalo per la parte “lussuriosa” della sua doppia natura… Insomma, sia chi vuole provocare-deridere il religioso, sia chi vuole difenderlo-farlo rispettare provocando-deridendo l’irreligioso, finisce nelle braccia del cristianesimo, anzi, di Cristo. La storia è un guazzabuglio, ma sembra avere sempre una sua teo-logica, o meglio una sua cristo-logica…

  3. Marco Nicolini ha detto:

    Personalmente ciò che più mi ha colpito della faccenda “Achille Lauro – provocazione irridente” (uso le parole di Pisani, che ammette possibile, mi pare di capire, che qualcuno possa aver provato fastidio) non è tanto l’atto in sé in quanto derisorio, ma l’incoerenza complessiva dimostrata dal Festival e dagli organizzatori ospitando la canzone (e l’atto stesso). Infatti il Festival, per sua stessa ammissione, ha cercato di essere il più inclusivo possibile con tutti (la sola Cirinnà non ha gradito Zalone, senza però etichettarlo come “transofobo”); l’unico momento derisorio è stato in sostanza riservato a un gesto religioso, e cristiano in particolare.

    • Lorenzo Pisani ha detto:

      Gentile Marco, ha inteso bene, non solo è possibile che qualcuno provi fastidio, ma io stesso ero interdetto. E non per il gesto (perché ad esempio sfido chiunque abbia minimamente bazzicato un ambito ecclesiale a dirsi estraneo a goliardiche “citazioni improprie” 😉 ) ma per il contesto. Su un palcoscenico lo troviamo urticante, o perché si parla in atteggiamento “militante” contro la nostra fede (e in certi altri ambienti intellettuali la sfida è ancora più vivace); o perché può sembrare una trovata ad effetto, senza senso e puramente strumentale all’audience. Il favore, o almeno il rispetto, dell’opinione pubblica sono solo in minima parte garantite dal contesto sociale e civile. Anche se li si guadagna con uno stile evangelico (At 4,33), come ho cercato di dire, le situazioni urticanti e le amarezze, fanno parte del nostro… contratto. Con cordialità.

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