Un nome per Natale

Un gesto di buona creanza, pensato come buon esempio, ricambiato con una lezione inattesa.
22 Dicembre 2013

Cronaca familiare del sabato mattina: mia moglie è al lavoro; mia figlia grande non va a scuola e recupera qualche ora di sonno; io accompagno la piccola all’asilo nido per avere qualche ora da dedicare alle incombenze domestiche. La prima incombenza è quella della raccolta differenziata, da conferire all’oasi ecologica.

Il sabato è anche giorno di pulizie sul mio condominio. E, purtroppo, nei diversi viaggi per caricare i diversi sacchetti di rifiuti, finisco con l’intralciare il signore che si occupa delle pulizie. Ci si saluta e poi “mi scusi”, “non fa niente”; di tanto in tanto ci scappa un commento sul tempo, buono o cattivo che sia.

Sabato scorso stesso copione. Esco di casa accompagnato dalla grande, ci infiliamo in ascensore, mentre l’uomo delle pulizie sta svolgendo il suo lavoro su un pianerottolo vicino. Manca poco a Natale, non è una novità lasciare qualche euro di mancia, poco più di quanto costerebbe un panettone. Accidenti, ero sicuro di averli quegli spiccioli nel portafogli. Quando l’ascensore arriva al piano terra, dalla proverbiale confusione del portafogli finalmente salta fuori quello che cercavo. Meglio non perdere l’occasione. L’ascensore ci riporta al piano, una stretta di mano, auguri di buone feste.

Mia figlia ha visto tutta la scena. Il mio pensiero è per lei: speriamo che se la ricordi e che impari come si sta al mondo.

Passa una settimana. Questa volta esco da solo. Guarda caso il signore delle pulizie è sullo stesso pianerottolo. Questa volta è lui a fermarmi: “l’altra volta mi hai fatto un regalo, voglio sapere come ti chiami”. Per inerzia rispondo con il cognome ed indico la porta di casa. “Lo so che abiti qui”. A quel punto, ripensando che vicino alla porta c’è anche la targhetta, mi sento un po’ idiota e aggiungo anche il nome. “Di nuovo auguri” e chiudo la conversazione.

Continua il mio andirivieni per le scale; ancora traffico di sacchetti, ora tocca alla spesa. L’uomo delle pulizie è nell’androne, ha finito di spazzare e si appresta a rifare il giro per lavare. Per la seconda volta mi ferma e mi dice il suo nome. Ancora una stretta di mano e poi lui torna al suo lavoro, io alle mie incombenze.

Il signor Z. (diamogli almeno un’iniziale) dapprima ha voluto che uscissi dal mio anonimato; pur non conducendo vita da epulone, chissà perché ho pensato subito a Lc 16,19-31. Poi, a sua volta, è voluto venir fuori dall’anonimato, sottolineando, inconsapevolmente, quello che mancava nel mio gesto.

Papa Francesco ci ha richiamato al guardare negli occhi, toccare. Io, invece, pur nelle mie buone intenzioni, avevo trascurato il primo passo della fraternità, nei riguardi di una persona che incrocio ogni settimana: conoscere il nome. In cambio di pochi euro di buona creanza, ho ricevuto una lezione, degna del nostro don Tonino (per chi lo ha conosciuto) o di papa Francesco (che invece conoscono tutti). Spero di serbarne la memoria.

“Ora Egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno.” (prefazio di Avvento I/A)

Buon Natale, con un augurio di fraternità, che comincia con una misura più alta di umanità.

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