Quello strano libro sull’omosessualità

Quello strano libro sull'omosessualità
29 Aprile 2016

Me ne aveva già parlato a lezione. E mi aveva incuriosito molto. Poi, qualche giorno fa, mi ha fatto arrivare direttamente a casa il libro. Ho iniziato a sfogliarlo e non ho smesso fino all’ultima lettera. Un regalo! Un regalo che fa pensare, non risolve, riconosce la realtà e così indirizza su un sentiero diverso dal solito, con chiarezza, dati e testimonianze. Di questi tempi, merce rara. Perciò il mio più sentito grazie ad Elena, che me lo ha regalato, ovviamente insegnate Irc, moglie e madre (a breve per la seconda volta!).

Il libro è strano. Di per sé non sembra: breve, semplice, fatto a domande dirette e risposte dirette. Ma come cominci a leggerlo senti che “dice la verità”. Quella che tu dentro hai sempre sentito, ma che non hai mai avuto gli strumenti concettuali per formularla.

“Di cosa si parla, quando si parla di omosessualità? La sola cosa che esiste nell’omosessualità è il desiderio omosessuale. E’ un dato fisiologico innegabile che si impone all’individuo che lo prova, senza che l’abbia scelto a priori. (…) Non si sa se è un desiderio passeggero o duraturo. (…) Non si sa se è innato o acquisito. (…) L’identità omosessuale fondante o la specie omosessuale non esistono affatto. (…) Nonostante quello che cercano di farci credere, il mondo non si divide tra gli omosessuali da una parte e gli eterosessuali dall’altra, perché la divisione è in realtà, tra uomini e donne. Non si è mai totalmente omosessuali o eterosessuali e non ci si riduce mai all’orientamento sessuale del momento”.

“Come definire il desiderio omosessuale? E’ un desiderio debole e semi-artificiale (…) Fa fatica ad incarnarsi in maniera non problematica e quindi diventa violento e divisivo. Appare sempre nei contesti umani in cui la libertà è stata minacciata, diminuita, dove le fantasie e le pulsioni hanno preso il sopravvento sulla realtà. (…) Segno di un collasso di identità e d’amore, tanto che è più mancanza di desiderio che desiderio reale”.

“L’omosessualità è una malattia? E’ un desiderio che non può essere banalizzato ed è la spia di una incompiutezza. (…) penso che la parola più appropriata sia quella di “ferita”. (…) Non definisce la persona nella sua interezza, non colpevolizza nessuno (…). Non si può che prendere atto della sua esistenza, constatare che ha diversi gradi di profondità, senza essere sicuri se avrà delle conseguenze per tutta la vita o, al contrario, sparirà completamente”.

“L’omofobia non è, come cercano di farci credere oggi, un fenomeno odioso esterno alle persone omosessuali. (…) In realtà è un odio di sé, che può essere applicato sia alle persone che reprimono il desiderio omosessuale (inconsapevole), (…) sia alle persone omosessuali cosiddette non represse. (…) Entrambi pensano di essere totalmente al riparo dall’odio di sé. (…) Ma solo le persone che non si sentono bene nella loro pelle, dal punto di vista sessuale, si sentono minacciate da una persona omosessuale e possono aggredirla. (…) Per quanto suoni strano alle nostre orecchi di uomini del XXI secolo, l’omofobia è l’altro nome del desiderio omosessuale. Esso è espressione di un odio di sé che si è trasformato in orgoglio, identità, amore, per nascondersi il proprio orrore”.

La cosa che colpisce è che a dire queste cose sia Philippe Arino, che rivendica la propria appartenenza alla cultura omosessuale di cui, in Francia è uno dei massimi esperti. Non ha mai fatto mistero di aver scelto di convivere col suo desiderio omosessuale, riconoscendo vera la posizione della Chiesa cattolica su questo. In italiano il titolo suona: “Omosessualità controcorrente, vivere secondo la Chiesa ed essere felici”, alla terza ristampa in un anno.

“La chiesa non è forse disconnessa dalla realtà del nostro tempo? Non mi crederai, ma è percorrendo per anni le strade scristianizzate del “giro omosessuale” e facendomi un punto di onore nell’ascoltare le persone in quanto tali, senza riferimenti alla psicanalisi o alla mia fede cattolica, che ho indirettamente riscoperto tutto quello che dice la Chiesa, senza averlo cercato. (…) Quello che suggerirei alle persone credenti e agli ecclesiastici è (…) superare, nei dibattiti sull’omosessualità, l’idealismo, per confrontarsi con la sofferenza e sporcarsi le mani. La “positive attitude” cattolicamente compassionevole e “prolife”, anche se ancorata al reale non basta, non dice più niente alla gente”.

Nella premessa si dice che questo libro restituisce senso alla esistenza di un omosessuale in una prospettiva escatologica che solo la Chiesa cattolica è riuscita a cogliere. E un pensiero mi frulla in testa. E se la presenza di persone con desiderio omosessuale fosse per i credenti un segno escatologico per ricordarci che nelle relazioni l’unica differenza che resta e rimarrà sempre, anche in Dio, è quella tra persone e non tra sessi? Ma che, finché siamo sulla terra, quella tra sessi non la possiamo saltare?

“Si può essere omosessuali e felici? Certamente! Altrimenti io non esisterei! Si può essere omosessuali e santi? Certo! Dio si serve di qualunque legno per accendere un fuoco, compresa la segatura (la quale pare che bruci particolarmente bene!).

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