Quale pastorale per i conviventi?

Nell’ordinario delle comunità cristiane, manca spesso uno sguardo per le coppie conviventi che non abbia come primo e spesso unico scopo il matrimonio.
21 Giugno 2022

Inizia domani, a Roma, il decimo Incontro mondiale delle famiglie, che concluderà l’anno Amoris Laetitia. In questi mesi, dunque, ci dovrebbe essere stata un’attenzione particolare al tema della famiglia nelle attività comunitarie, anche in sovrapposizione ai vari cammini sinodali. Varrà la pena allora porre luce su una situazione che interseca quella familiare e riguarda l’oggi in modo molto forte, ossia quella delle convivenze.

In Italia, nel 2020 si registravano un milione e mezzo di convivenze; un figlio su tre è nato in coppie conviventi. Sono dati che gli operatori pastorali impegnati nei vari cammini di preparazione al matrimonio conoscono bene, poiché nei vari ‘corsi fidanzati’ la maggior parte delle coppie è ormai convivente, non raramente con figli. Si tratta di coppie che arrivano alla scelta del matrimonio religioso (vuoi per convinzione, vuoi per convenzione) dopo anni di convivenza. E questa è comunque una percentuale minoritaria di tutte le coppie conviventi, dove cioè vi sia un’unione stabile tra un uomo e una donna (tralascio volutamente le coppie omosessuali perché ciò implica altri temi pastorali ed ecclesiali). Dunque, di fronte a questi numeri, che sono poi realtà quotidiana – chi non ha amici, conoscenti, parenti conviventi? — la domanda sorge d’obbligo: che tipo di pastorale ordinaria pensiamo e attuiamo per le coppie conviventi? Parlo delle coppie, prima che dei figli (questo meriterebbe un ragionamento a parte).

La nostra pastorale troppo spesso sembra oscillare tra l’oblio e la finta indifferenza da un lato e il proselitismo dall’altro, ossia da una parte facciamo finta che certe situazioni, che pur riguardano molte persone, non esistano; dall’altra, appena accostiamo una coppia convivente (magari per il battesimo di un figlio), avvertiamo il pregiudizio di una ‘mancanza relazionale’ e sentiamo subito il dovere di ‘suggerire’ le ‘nozze religiose’, quasi riflesso incondizionato ereditato dai tempi in cui sposarsi significava ‘sanare’ e ‘regolarizzare’ situazioni ‘irregolari’. O meglio: l’unica proposta pastorale che non raramente sappiamo fare e che riusciamo a pensare è quella del matrimonio religioso, per cui a una coppia convivente la comunità cristiana sembra poter offrire solamente il percorso del matrimonio religioso. Ma questo è davvero efficace, è davvero buono, è davvero evangelico, è davvero intelligente, cioè capace di leggere ciò che è la realtà?

Pensare a una pastorale per i conviventi, che colga i semi di amore, di fecondità, di stabilità, di grazia presenti in tali relazioni, valorizzarli, accoglierli, aprendo pure a un reciproco dialogo tra esperienze, non significa sminuire o negare la fede cristiana nel sacramento del matrimonio, ma significa invece cogliere le situazioni reali, guadare alle vite delle persone, saper comprendere i cammini, avere il coraggio di farci evangelizzare. Non possiamo relegare l’incontro tra la comunità cristiana e le coppie conviventi solo al momento in cui esse decidono il matrimonio religioso. Se questo non accade per anni, ci limitiamo a ignorare tali esistenze? Abbiamo fede nella forza e nella bellezza del sacramento matrimoniale, ma dobbiamo anche osare altro, evitando il terribile malinteso di strumentalizzare situazioni per raggiungere uno scopo che rischia di essere meramente ‘normativo’ se non nasce da una libera risposta a un cammino interiore e di coppia. Non sempre, non subito, non obbligatoriamente deve agire il ‘riflesso regolarizzatore’ (forma giuridica della purità sessuale come prima preoccupazione).

È importante, mi pare, poter dire che in ogni situazione di vita c’è una Parola buona per le persone; in ogni situazione di vita c’è un seme dello Spirito; in ogni situazione di vita è possibile una sequela del Cristo, che sarà sempre un po’ zoppicante, un po’ incerta, magari con intensità differenti. Ma Cristo è per tutti, non per alcuni. È uno dei nuclei di Amoris Laetitia, ma soprattutto di Evangelii Gaudium. È urgente pensare a una pastorale che abbia a cuore anche le coppie conviventi, che superi la dialettica lecito / non lecito (che nel quotidiano parrocchiale diviene un semplice: chi può fare la comunione? Chi può confessarsi?), che non marchi differenze tra battezzati in classi di merito. Anche i recentissimi Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale (pur dentro spinte non sempre armoniche e armonizzate) dà qualche margine teorico di lavoro,[1] sebbene sempre subordinato a una proposta di matrimonio cristiano (come è ovvio, data la natura del documento).

Ancora con fatica tentiamo di uscire dal modello familiare ‘Mulino Bianco’, aggiornamento del ‘modello santino’, per una visione ben più concreta, complessa, meno schematica della vita familiare. Ma è il tempo di pensare oltre gli schemi, è tempo di farci sollecitare da quello che è vita quotidiana di molti. Al pozzo di Samaria, Gesù non disse alla donna ‘regolarizza’ la tua situazione, mettiti a posto con le norme della purità, ma si fece accanto per domandare, ascoltare, dialogare, dire che lì era giunta la salvezza della sua vita. Al pozzo di Sicar, forse, dovremmo tornare e capire che c’è acqua da attingere per tutti. Le scelte magari potranno essere conseguenti, nella libertà dei figli di Dio. Ma non saranno il fine del nostro farci accanto.

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[1] “Tuttavia, la presenza ormai diffusa di coppie conviventi e con figli che chiedono di sposarsi in Chiesa richiede, parallelamente alla pastorale vocazionale evolutiva che qui si propone, la messa a punto di percorsi locali centrati sulla realtà concreta di queste coppie, che senz’altro hanno bisogno di una speciale cura e attenzione rispetto alle coppie di fidanzati che in qualche modo già vivono un’esperienza cristiana di vita” (p. 98)

9 risposte a “Quale pastorale per i conviventi?”

  1. Anna Bortolan ha detto:

    Penso sia importante l’accoglienza delle persone. L’accettazione della diversità di vedute. Con questo però non posso non pensare ai tanti (o pochi?) credenti che hanno onorato il vincolo matrimoniale, anche con spirito di sacrificio; a chi ha rinunciato a costruirsi una vita con una persona separata per non trasgredire. A costoro che cosa potremmo dire?
    Grazie se, come sembra dalla anteprima, avete eliminato il mio cognome dalla pubblicazione dei commenti.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma Cristo ha delegato un Pietro che lo aveva prima anche rinnegato, a Capo della sua Chiesa!? Certo che un laico può non essere da meno di uno che si fa prete, perché si può anche trovare tra coloro che si sono dichiarati disposti a seguirlo, che dimostrano poi di non essere tali, una idea da sentirsi superiori, una idea falsa di potere, uomini deboli come tanti e questo danneggia il volto della Chiesa, ma se il laico e intelligente e ritiene avere Cristo come Maestro, va avanti fiducioso della Parola la quale predica il Servizio non la presunzione di gestire il potere cosa molto umana ma anche fuorviante. Il fedele laico sa anche discernere “siamo chiamati a libertà, di camminare secondo lo Spirito perché se ci lasciamo guidare da lui, questo darà frutto. Cristo e il Maestro e può capitare che uno si trovi anche solo a decidere la cosa giusta. Prima che la Chiesa fosse Dio ha pur scelto in libertà Uomini, come oggi lo Spirito agisce nei laici che edificano la sua Chiesa

  3. Paola Meneghello ha detto:

    Ho scritto teologico, ma intendevo dire dottrinale.
    ….
    Chiedo scusa.

  4. Paola Meneghello ha detto:

    Secondo me, però, tutto parte più da un discorso teologico, che pastorale.
    Nel senso di quale significato si dà al Sacramento, ad ogni Sacramento, direi.
    Cosa unisce due persone in corpo e anima, avvicinandole allo Spirito: il loro amore, o il rito sacramentale?
    Un Sacramento, è uno strumento, atto a dare concretezza e visibilità ad una Realtà superiore che entri in me, trasformandomi, (l’unione sessuale, è davvero Sacra, secondo me, perché ci vedo similitudine con il Soffio che dona Vita al creato, e non a caso attraverso di essa, si perpetua la Vita..), o è il fine?
    In ultima analisi: cos’è che mi trasforma, il Sacramento, o l’amore che provo, che quel Sacramento vuole amplificare ?
    E se l’Amore non c’è?
    Finché la teologia vedrà nel matrimonio religioso ciò che dona dignità all’unione sessuale, e non l’Amore che unisce, quale pastorale sarà mai possibile, che non sembri anche un po’ ipocrita?

  5. Salvo Coco ha detto:

    Sig.ra Francesca Vittoria, come fa ad essere sicura di ciò che “Dio ha disposto per il bene dell’uomo” ? Come fa ad essere certa che fosse proprio quella la realtà che “Cristo ha ritenuto fosse la via da seguire” ? La storia della chiesa ci insegna che tante volte la chiesa ha cambiato la dottrina, le norme canoniche, la liturgia, le sue strutture. Perchè mai non dovrebbe e non potrebbe cambiare anche oggi ? Non ritiene che il cambiamento sarebbe più agevole se le decisioni potessero essere prese anche dalle donne e dagli uomini laici ? Basterebbe eliminare il clericalismo che (come dice il papa) “non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente”. Basterebbe restituire dignità ad ogni fedele. Lo Spirito si serve di ogni battezzato per ricostruire la Sua chiesa.

  6. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    In ogni modo, esiste il matrimonio civile, perché voler cambiare quello cristiano? E’ Dio che invita a un amore fedele perché implica tutto un comportamento tra le due persone che essendo diverse sono anche soggette per natura a doversi perdonare e riconciliare, una fedeltà che costruisce la persona stessa, fa dell’amore salvifico edificante per tutta la comunità, si diventa figli di Dio. A questo forse si arriva anche per da altre vie tutt’e quelle intraprese da un uomo che intanto voglia fare e seguire in libertà. La Chiesa esiste proprio per aiutare a ridare fiducia nella misericordia divina ma non può cambiare ciò che così Dio ha disposto per il bene dell’uomo. Lui solo sa e si fa vicino anche se può sembrare castigante, perché è sempre attraverso il sacrificio che si comprende anche di quante possibilità offre e apre l’amore cristiano.

  7. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Tra le testimonianze di ieri ,raduno delle famiglie, una con tre figli era proprio di genitori conviventi, lo hanno dichiarato platealmenten, dichiarando serio l’impegno di educazione cristiana dei figli e sentimenti di vivo impegno in questo. ! Certo che non è la Chiesa che impone castigo, ne vuole escludere anzi, ma è pur vero che non dipende da lei cambiare una realtà la quale si presenta diversa da quella che Cristo ha ritenuto fosse via da seguire, altrimenti “è il servo da più del Maestro? E’ L’Amore predicato da Cristo che conta, implica un impegno da sposi cristiani, cioè quello di fedeltà nella buona e cattiva sorte. alla accettazione quando le cose cambiano perché è proprio lì che Cristo si fa sostegno ha seguito questa via per primo, così i coniugi di Nazareth. Umanamente è un percorso difficile, implica fedeltà all’impegno di un amore santo quale e quello predicato e da vivere in Cristo.

  8. Salvo Coco ha detto:

    Nell’attuale contesto della chiesa clericalista, ogni pastorale, inclusa quella pre e post matrimoniale, è del tutto inutile, anzi dannosa. Quando la chiesa dismetterà il clericalismo ed assumerà una dimensione evangelica di laicità, allora ogni pastorale non sarà qualcosa che calerà dall’alto dei vertici vaticani, da quelli diocesani e da quelli parrocchiali, ma sarà elaborata e decisa dalla comunità locale e dai suoi organismi decisionali non più monopolizzati dal parroco e/o dal vescovo. Sarà uno dei frutti della effettiva uguaglianza battesimale di tutti i membri della comunità. Questo significa che il potere decisionale (il munus regendi) smetterà di essere un potere esclusivo nelle mani del clero. Come nella chiesa antica: “ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere deciso”. Non sarà impresa facile, ma nemmeno impossibile.

  9. Giuseppe Risi ha detto:

    Ma se la prospettiva (non so quanto effettivamente cambiata negli ultimi documenti della Chiesa da AL in poi) è che le coppie conviventi vivono in una situazione di peccato grave – mortale! – reiterato e continuato e, restando in questa situazione, sono votati alla dannazione eterna, come si può tacere loro la verità (con la “v” minuscola?).
    Se non si cambia prospettiva, accoglierle e valorizzare il loro cammino mi pare una fatica improba.

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