La trasformazione della sessualità come segno dei tempi. Cinque spunti per una riflessione ulteriore – 2

“La società moderna si distingue dalle precedenti formazioni sociali per un duplice incremento: una maggiore possibilità di relazioni impersonali e relazioni personali più intense” (N. Luhmann, Amore come passione)
18 Novembre 2020

Alla luce del duplice dibattito qui richiamato, mi sembra che il tema della “omosessualità” implichi una “portata” molto più ampia di quanto noi mediamente riusciamo a riconoscere. Provo a riassumerla in poche questioni che si implicano a cascata. La questione sistematica che mi sembra decisiva è la seguente: è possibile o addirittura necessario considerare la omosessualità sotto la categoria delle “offese alla castità”? Ma forse, dietro la questione della omosessualità, sta una questione più grande, ossia la questione generale della sessualità. In altri termini il problema non è la variante “omo” della sessualità, ma la sessualità “tout-court”. Forse la omosessualità può apparire “disordinata” perché la eterosessualità viene pensata come ordinata alla generazione. Ma è questa una visione del tutto accettabile? Non affermo che non abbia qualche fondamento, ma mi chiedo se sia davvero così decisiva? Per andare ancora più avanti, possiamo chiederci: che l’esercizio della sessualità non sia “peccato” solo all’interno del matrimonio è davvero la risposta evangelica alla scoperta della sessualita, diversa dal semplice “sesso”? Non vi è, in tutto ciò, una indebita sovrapposizione tra natura, cultura e vangelo? Provo a elaborare in forma iniziale, come semplici spunti di riflessione, queste diverse questioni, cercando di mostrare la esigenza di una accurata elaborazione di nuove categorie, senza le quali la dottrina cattolica rischia di essere soltanto una “difesa” di principi sacrosanti, ma con strumenti teorici e operativi non più adeguati. Per difendere la tradizione, infatti, i “talenti” non possono essere “sepolti sotto terra”, ma devono essere impiegati con coraggio e con pazienza, nel dialogo culturale di oggi, non nella cultura di Agostino, di Tommaso, di Lutero o del Cardinal Gasparri.

Una comprensione “funzionale” della sessualità

Se per molti secoli la Chiesa cattolica ha definito il “contratto di matrimonio” come esercizio dello “ius in corpus”, ossia il diritto esclusivo, in capo ad ognuno dei coniuge, sul sesso dell’altro ai fini della generazione, è evidente che non si sia trovata attrezzata, concettualmente, ad affrontare la “trasformazione della intimità”. Quando il sesso diventa sessualità, cioè quando da strumento inizia a partecipare anche alla logica del fine, non solo il peccato è in gioco, ma diventa centrale in esso anche la definizione (autodefinizione e eterodefinizione) del soggetto. Così, la rappresentazione di una sessualità legittimamente esercitata soltanto nella cornice del rapporto matrimoniale è una forma esasperata di sostituzione del “compimento” con la realtà complessa della esistenza. In questo modo, inevitabilmente, tutto ciò che cade “fuori” del matrimonio (prima o accanto, per i fidanziati o per i celibi-nubili) è irrimediabilmente compreso soltanto con la categoria del peccato. Senza voler ridimensionare la serietà dei discorsi sulla continenza e sulla castità, è ovvio che essi presuppongono un orizzonte di esperienza comune – sul piano personale e sociale – che è molto cambiato negli ultimi due secoli. Ma qui, evidentemente, nelle reazioni, il rischio di un massimalismo morale si sposa di continuo con una organizzazione sistematica delle cose troppo astratta. Una riequilibratura tra i “beni” del matrimonio implica, necessariamente, un’altra ripartizione tra bene e male, più sfumata e meno drastica. Che impone una ridefinizione della sessualità in ordine non solo alla generazione, ma alla relazione e al “bonum coniuugum”, in un matrimonio pensato non più anzitutto come “atto”, ma come “percorso” e come “processo”. Che la sessualità stia, nel processo, solo alla fine è una congettura astratta, che non riposa sulla esperienza reale.

Lo spazio teorico del VI comandamento e la sua estensione postridentina

Se restiamo nella percezione “peccaminosa” della questione sessuale, dobbiamo però riconoscere che anche il “sistema dei peccati” non è sempre stato il medesimo. La struttura “classica” di meditazione cristiana sul peccato non è stata costruita sul “decalogo”, ma sui “sette vizi capitali”. Questa organizzazione aveva un ordinamento dei peccati: superbia, invidia, ira, avarizia, accidia, gola, lussuria. L’ultimo livello era il meno grave. Con il Concilio di Trento si radica sul decalogo la struttura dei peccati. Ma il “de sexto” si estende agli “atti impuri” e assume un rilievo che farà del peccato sessuale, in età borghese, il peccato “per antonomasia”. Questa sproporzione fa parte della nostra eredità. Per questo la percezione della dimensione “di peccato” della omosessualità interferisce emotivamente e affettivamente sulla questione, distorcendo lo sguardo e la ragione. Può sembrare sorprendente, ma nell’inferno di Dante, il vizio della “sodomia” è prossimo alla usura e alla bestemmia. E’ peccato della società prima che della intimità. Anche la storia, anche la più lontana da noi, può dirci qualcosa di utile per “ricontestualizzare” il fenomeno e non fraintenderlo.

Natura, cultura e fede: una relazione più complessa del previsto

Se il riferimento alla “natura” può certamente essere di rilievo, occorre badare accuratamente alle mille forme di “inculturazione del naturale” che accompagnano, inevitabilmente, il discorso sull’uomo e sulla donna. Che sono animali “mai soltanto naturali”. La parola e la mano cambiano la natura e la trasformano. Sempre. Perciò, gli argomenti che si fondano su un “dato naturale” debbono cautelarsi dal proiettare sulla natura l’ordine sociale, la paura affettiva o la diffidenza del carattere. Non vi è dubbio che la grande distinzione tra “secondo natura” e “contro natura” possa funzionare piuttosto bene nel mondo antico, medievale e primo moderno. Ma a partire dalla tarda-modernità occorre vigilare con cura su un uso del riferimento alla “natura” che presuppone grandi mediazioni culturali, alle quali debbono essere accuratamente dedicate considerazioni e distinzioni preziosissime. E’ evidente che la natura impedisce ad una relazione omosessuale diverse esperienze, che possiamo considerare decisive. Ma definire “contro natura” una relazione soltanto a partire da alcune differenze fisiologiche e biologiche rischia di esasperare solo alcuni aspetti di essa e di perdere la considerazione del fatto in sé. Direi, pertanto, che in questo caso la pur necessaria distinzione tra peccato e peccatore non è sufficiente. E’ la comprensione del peccato e della sua relazione al bene ad esigere un supplemento di intelletto e di cuore.

Il rilievo del “peccato” e la irrilevanza della “forma di vita”

Non vi è dubbio che, come ha giustamente messo in rilevo Gilberto Borghi, la “liberazione dalla questione del peccato” sia un punto che accomuna molte delle reazioni, da destra e da sinistra, alle parole del Papa. Accettare la omosessualità “senza problemi” non costituisce una soluzione. Ma la centralità del rapporto con il peccato dell’uomo, e con il suo superamento in Dio, non può essere l’orizzonte primo di comprensione della omosessualità. O, meglio, non dovrebbe esserlo della sessualità perché non lo è di tutto il resto della esperienza. E questo proprio perché, se il peccato è originale, più originale è la grazia. Qui facciamo ancora la esperienza, difficile e dura, di un “primato del peccato” nella autocoscienza cristiana e cattolica, che spesso diventa “colpevolizzazione di ogni diversità”. Se cerchiamo di addurre “argomenti naturali” – come la obiettiva “non differenza” tra due uomini o tra due donne, che esclude una “compenetrazione” – dobbiamo anche riconoscere che la loro gestione culturale influisce decisamente sulla stessa percezione naturale. E la stessa fecondità, che la natura esclude, la cultura non esclude. Su questo, io credo, una riflessione che non si polarizzi subito sulle “patologie personali o sociali”, ma consideri il bene reale che i soggetti possono vivere per loro e per il loro prossimo, impone una revisione delle categorie di fondo. Altrimenti ripetiamo evidenze che non corrispondono alla realtà. Così come accade per l’inizio e per la fine della vita, la natura e la cultura non si lasciano distinguere come evidenze. Questo vale anche per la sessualità.

La questione della “diversità” e la società aperta

Proprio a questo proposito possiamo anche notare come la assolutizzazione di forme naturali coincide non di rado con “patti sociali” di esclusione. Del tutto illuminante, per capire questa logica, che sistematicamente è ancora assai forte, possiamo leggere l’elenco con cui S. Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae, presenta i “motivi di impedimento” alla ordinazione. In quel testo troviamo un limpido elenco di coloro che la “natura” (ma in realtà la società) ci consegna come “privi di autorità”: le donne, i minori e gli incapaci, gli schiavi, i condannati per omicidio, i figli naturali, i disabili. E’ un modo di “guardare il mondo” che non è più il nostro. E nel quale anche il soggetto che qualifichiamo come “omosessuale” esige uno sguardo nuovo.

Ma questo modo di guardare “naturalmente” la società ha resistito fino al sorgere della “società aperta”, gradualmente dalla fine del XIX secolo. Ancora negli anni 50, in Europa, molti erano i luoghi, le nazioni e i popoli in cui questa logica “naturale” pretendeva di imporsi. E anche la “pedagogia della legge” ribatteva e ripeteva inesorabilmente questo “ordo”, ritenuto naturale o divino addirittura. La società “bene ordinata” conservava queste evidenze e le riproduceva. Per questo la qualificazione di “disordine morale” della omosessualità attinge, oltre che ad argomenti fisiologico-naturali, ad evidenze sociali e relazionali che in larga parte non sono più tali. Di questo la teologia non può non tenere conto. Questo non significa affatto sacrificare il bene per il male, dimenticare le logiche di peccato, ma acquisire una diversa calibratura tra il bene massimo e le porzioni di bene, che meritano di essere lette non anzitutto per il male che recano, ma per il bene che realizzano.

Questi cinque spunti, appena abbozzati, aprono prospettive che implicano, evidentemente, un “cambio di paradigma”. Anche i documenti ufficiali della Chiesa, come Veritatis gaudium, hanno assunto ufficialmente questo linguaggio. Il magistero della cattedra pastorale lo fa e può farlo in via di principio. Il magistero della cattedra magistrale deve provare a dare concreto profilo a questo nuovo paradigma di comprensione della tradizione. Occorre dunque predisporre, proprio sistematicamente, un nuovo paradigma. Senza illudersi che sia una cosa facile da realizzare. Senza pretendere che sia facile farne a meno.

[2^ e ultima parte]

6 risposte a “La trasformazione della sessualità come segno dei tempi. Cinque spunti per una riflessione ulteriore – 2”

  1. Francesca.Vittoria vicentini ha detto:

    Se è alla Parola di Dio il confronto al quale porre domande e avere risposte, ecco in Mt.19,10:” Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso.Infatti vi sono eunuchi che sono così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini,e vi sono altri che si sono resi tali per il regno dei cieli. chi può capire capisca.1Cor.6,12)Il corpo non è per l’impurità ma per il Signore, e il Signore e per il corpo.Dio che ha risuscitato il Signore,risusciterà anche noi con la sua potenza. Il vostro corpo e tempio dello Spirito santo che è in voi.Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenere a voi stessi.Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?prendero dunque le membra di Cristo e ne farò membra di prostituta?. Rendersi degni per il regno, mi sembra che questo sia lo Spirito e l’ammonimento.per chiunque lo voglia!Difficile,si.Impossibile?forse no on l’aiuto dall’alto

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Se una riflessione su cosa sia il vero Bene si voglia fare, è proprio da una verifica del fatto che ne scaturisce. Tra un uomo e una donna, l’unione di questi due li fa completi in una carne sola, ha origine un amore più grande, ricco di di un apporto dei reciproci doni. Nei fatti visibili : il figlio eredità dai due un patrimonio in natura, che a sua volta moltiplica e si moltiplica, fino a diventare sterminata moltitudine di esseri umani,tutti diversi tra loro;come le stelle del cielo brillano diverse nel cielo e, secondo la Parola del Creatore ad Abram, domanda se riesce a contarle !, Vita là si chiama. Un amore che non la generi così non è come quello che Dio Padre ha pensato e Buono! Se oggi siamo miliardi l’evoluzione da ragione al Creatore e ci sentiamo attratti, a ritenerla via da seguire, costi quel che costa manteniamo la Fede ; questo suo capolavoro ci fa simili a Lui, e il Suo amore eredi di una Promessa,

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Su questi ragionamenti si pretende che la Chiesa guardi a una vigna da coltivare che non viene considerata dal proprietario dal quale ha ricevuto norme sulla sua coltivazione. Il “chi sono io per giudicare?” Risposta data da Papà Francesco, sembra essere più che giustificabile. E’ questa da demandare a Dio, la sorgente..ma Dio e datore di doni, di bene, insegna sopratutto l’amore vero il quale significa anche come guardarsi da ciò che Egli ritiene sia male per il bene della sua creatura. Qui sembra si cerchi di imporgli un problema da risolvere facendo leva sulla paternità del suo capolavoro. Ha dato alla persona uomo capacità e volontà di essere responsabilmente impegnato a decidere in libertà. A tanti costa molto, ad altri poco dipende di quanto amore la creatura ha per il Creatore.Sono i Santi

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    A margine del sostanziale intervento noto come la diastole tra ciò che la CC insegna/va? e quello che invece pensa/crede l’uomo del popolo ( che è sempre Suo ) provoca una reazione di ribellione/ allontanamento fino al comico “sbattezzo” frutto, imo, di chi ha ricevuto un certo imprinting e vorrebbe liberarsene xchè lo trova assurdo/inaccettabile.
    E il delta sul sesso è pressoché TOTALE.

  5. Adelaide Baracco ha detto:

    Grazie per la reflessione, Andrea. Mi pare specialmente importante il riferimento che fai al “primato del peccato” nell’autocoscienza cattolica. Purtroppo la teologia occidentale ha ricevuto questa pesante zavorra da sant’Agostino, lasciando in secondo piano il primato della Grazia, o come dice Matthew Fox, della “benedizione originale”. Senza una revisione dell’antropologia cristiana alla luce della divinizzazione (già in atto) e non del peccato originale/redenzione, non sarà possibile avanzare. E ancor meno sulla questione della sessualità più o meno “contro-natura”. Grazie per la lucidità della riflessione.

  6. Gabriele Cossovich ha detto:

    Grazie per questi spunti! Mi hanno aiutato ad approfondire questioni che intuivo, ma non in modo così nitido.

Rispondi a Francesca Vittoria vicentini Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)