Influencer cattolico: per Amore o per Narciso?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un estratto della presentazione al libro "Influencer digitali cattolici: effetti e prospettive", scritta dal vescovo Joaquim Giovani Mol Guimarães
20 Marzo 2024

La ricerca “Influencer digitali cattolici: effetti e prospettive” (qui) cerca di comprendere come si manifesta il fenomeno degli influencer digitali cattolici (IDC) e quali possibili conseguenze socio-ecclesiali esso comporta.

Dal punto di vista comunicazionale-culturale, l’esistenza di un gran numero di IDC e follower indica che c’è un vasto e diversificato pubblico interessato a esercitare la propria fede negli ambienti digitali. Nonostante i rischi, l’influenza digitale è già diventata una tendenza irreversibile nel campo cattolico, con l’esaltazione di alcune figure pubbliche e l’accettazione di strategie di influenza che, tuttavia, spesso non seguono le buone pratiche della Chiesa. Molti di questi profili seguono la logica dei media digitali, privilegiando nicchie di pubblico e un consumo individualizzato. Ciò porta ad un accumulo di discorsi e stili che spesso non si integrano e possono persino contraddirsi. La valorizzazione dell’autorità clericale e l’autoreferenzialità degli IDC analizzati possono evidenziare un tono altamente narcisistico, promuovendo un distacco dal senso del Vangelo e dalla comunità. Monetizzando le loro immagini, gli IDC si affermano anche sul mercato della comunicazione, correndo il rischio di compromettere il loro discorso. Si sottolinea, d’altra parte, l’importanza degli IDC minoritari, che manifestano pratiche digitali non allineate alle dinamiche professionali degli altri influencers digitali. Tali IDC possono promuovere un dialogo più autentico e vero con i loro pubblici, evitando la superficialità e il coinvolgimento con gli interessi del mercato.

Dal punto di vista sociopolitico, la ricerca rivela che le azioni degli IDC sono legate, in generale, alla radicalizzazione dei movimenti di estrema destra, alla disputa politica per la moralizzazione ideologica delle arene di discussione in Brasile e alla crescita degli attivismi digitali a favore delle cause sociali. Ci sono almeno tre ampi modi di azione politica tra gli IDC analizzati.

Il primo è l’ultraconservatorismo, che presenta una difesa delle disuguaglianze come qualcosa di naturale e frutto di scelte individuali, oltre a una lotta aperta ai movimenti progressisti. In tali casi, l’engagement digitale è al servizio di un progetto di Chiesa più conservatore. Il secondo è l’attivismo progressista, in cui l’IDC promuove cause sociali specifiche che funzionano come agende di lotta per esercitare pressione sui governi e su altri attori sociali. In questo caso, l’influenza digitale consente anche azioni di propulsione attivista. Infine, c’è un’esenzione programmata, attraverso la quale gli IDC si concentrano su questioni religiose, spirituali e, soprattutto, devozionali, evitando polemiche e posizionamenti aperti, senza preoccuparsi con la trasformazione sociale. Questa neutralizzazione discorsiva risponde a obiettivi di marketing e di visibilità. Il risultato è un processo di alienazione del pubblico e di rafforzamento dello status quo, oltre a una percezione individualista della dinamica sociale e della stessa esperienza cristiana.

Dal punto di vista teologico-ecclesiale, la ricerca indica che la presenza sui media digitali per comunicare a nome della Chiesa richiede un allineamento con gli elementi fondamentali della sua prassi: Bibbia, Tradizione e Magistero. Questa triade, tuttavia, deve essere interpretata in comunione con la comunità ecclesiale odierna e con l’attuale pontefice, Francesco, a partire dal riconoscimento delle trasformazioni della società e delle sue esigenze attuali, realizzando l’articolazione tra dottrina e pastorale.

In alcuni degli IDC, il discorso e la prassi denotano effettivamente un senso del Vangelo, in quanto sono in comunione con la Chiesa proposta da Papa Francesco, incarnando un’influenza digitale caratterizzata dalla testimonianza cristiana e dall’intenzione dichiarata di evangelizzare in una Chiesa in Uscita. In senso opposto, però, c’è un’influenza digitale apologetica-moralistica, che, sebbene presenti elementi legati alla devozione e alla fede popolari, è contrassegnata da una pretesa formativa e moralistica, basata su letture personali e particolari della verità, mediante un’autorità di insegnamento manipolatoria. Si promuove una formattazione della vivenza cristiana basata su formule di fede senza connessione con la realtà, centrata fortemente su moralismi permeati da elementi ideologici e politici. A ciò si aggiunge una critica smisurata e infondata alla struttura istituzionale e alla gerarchia ecclesiale. Infine, si manifesta un’influenza digitale contrassegnata dalla neutralità del messaggio o dalla proposizione light del Vangelo, in prospettiva psicologista-umoristica. Concentrandosi e rafforzando l’individualizzazione della soluzione delle questioni umane, tale influenza scarta l’elemento comunitario, il legame ecclesiale e la prassi cristiana.

Sfide e prospettive pastorali

L’influencer digitale si configura come una professione. Le sue pratiche coinvolgono principalmente aspetti di marketing ed economici. Per ottenere un’ampia visibilità e engagement, gli influencer devono obbedire alle strategie algoritmiche delle piattaforme stesse. Queste, nella loro strutturazione, privilegiano elementi di conflittualità, di valore sensazionalistico e di dissonanza del dialogo, poiché operano per creare bolle di opinione tra persone di pensiero simile. Un IDC professionista, che cerca di agire secondo le logiche digitali, probabilmente avrà grandi difficoltà a strutturare le sue azioni a partire dai valori evangelici dell’ascolto e dell’amore, almeno nel loro aspetto più profondo e integrale. È possibile vivere i valori evangelici in rete, e la presenza digitale è ampia e possibile per tutti, ma la specificità dell’azione degli IDC entra in conflitto, spesso, con molte delle premesse organiche dell’evangelizzazione e della pastorale.

Anche se ci sono eccezioni, l’espressione dei contenuti degli IDC analizzati si ferma alla costruzione di stereotipi, basati su premesse moralistiche, fondamentaliste, dogmatiche, psicologiste, dottrinali. Emerge un cristianesimo solo di formule e non di significato, che porta alla caratterizzazione di gruppi conservatori, con discorsi escludenti e distruttivamente critici rispetto alla linea istituzionale della Chiesa, sia a livello mondiale che in Brasile, rappresentata dalla CNBB.

Ci sono anche molti influencer che sono ministri ordinati, ma questo non significa che ci sono ministri ordinati influencer. Molte delle pratiche di questi presbiteri, ad esempio, sono basate su pregiudizi narcisistici, utilizzando la propria vita ecclesiale come elemento peculiare e di attivazione della curiosità del pubblico, e azionando l’umorismo come strumento di engagement, di semplificazione dei contenuti religiosi, di una visione riduzionista della catechesi. Qui, il ruolo dei loro superiori diretti nel episcopato acquisisce rilevanza, nel senso di orientare l’azione di tali IDC, in comunione con la Chiesa e nel rispetto delle diverse sensibilità e esperienze sociali, e nel senso di correggere eventuali deviazioni.

La Chiesa istituzionale e coloro che parlano in suo nome, anche se è possibile e necessario accompagnare coloro che agiscono come IDC, avranno difficoltà se vorranno strumentalizzare il sostegno o la creazione di nuovi IDC. Un comunicatore diventa influencer digitale nella misura in cui si articola a una rete di follower, che legittimano, retroattivamente, i meccanismi della sua comunicazione digitale. I pubblici che compongono le piattaforme digitali (i cosiddetti “follower”) sono, in realtà, i principali responsabili dell’attribuzione dello status di fama e di influenza a qualcuno. Questa interdipendenza tra influencer e pubblici, sebbene sia un aspetto complessificatore, è anche importante, perché rivela valori, modelli, angosce e aspettative della società, anche se in modo soggettivo. Eleggendo i propri interlocutori della Chiesa Cattolica con cui vogliono dialogare, i pubblici evidenziano aspetti di distanza e avvicinamento rispetto agli obiettivi e alle prospettive dell’istituzione religiosa. Qui si apre un enorme orizzonte per future indagini scientifiche e accademiche.

In sintesi, è possibile promuovere la formazione di leader cattolici e cattoliche per agire sulle reti digitali, a condizione che l’intenzionalità non passi per il desiderio di fama, visibilità e engagement, secondo le logiche mediatico-digitali. Uno dei limiti tra un IDC e un evangelizzatore digitale è la cooptazione del primo nei meccanismi di marketing dei media digitali, lasciando in secondo piano il proposito dell’evangelizzazione, che ispira e spinge il secondo. Pertanto, una presenza significativa e qualificata in rete da parte di cristiane e cristiani si muove dal desiderio di “rendere presente nel mondo il Regno di Dio” (Evangelli gaudium, n. 176), attraverso la saggezza del lavoro collettivo, della solidarietà e della fiducia nella possibilità moltiplicatrice e di affettazione della Parola e del Regno di Dio, che agiscono come un granello di senape e lievito nella massa (cf. Lc 13,18-21).

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